Guido Salerno Aletta, MilanoFinanza 13/8/2014, 13 agosto 2014
PIL E RIFORME, PRESSING SU RENZI
Il vento è cambiato, improvvisamente, sull’Italia. Dapprima l’intervista di Mario Draghi, che ha auspicato un coordinamento europeo per le riforme strutturali, con una cessione di sovranità analoga a quella conseguita con l’approvazione del Fiscal Compact; poi il gelo sulle prospettive di ripresa, con i dati dell’Istat relativi all’andamento del pil nel secondo trimestre dell’anno, ancora negativi; quindi, le nuove previsioni di Moody’s, che calano dal +0,5 al -0,1%. Infine ieri sulla stampa c’è chi si è accorto che il vero incubo italiano adesso è il debito. Si è ipotizzato che una parte cospicua venga cartolarizzata per essere acquistata a sconto da una bad bank europea che poi la rimetta sul mercato. È uno scenario da default controllato, quasi auspicato.
La manovra di bilancio da effettuare con la legge di Stabilità per il 2015 incute timore per la sua entità, così come preoccupa il probabile, ulteriore, slittamento del pareggio strutturale: siamo sul crinale di una possibile riapertura della procedura di infrazione per deficit eccessivo da parte della Commissione Europea. La politica del rigore senza riforme non ha pagato e così si assiste alla continua ammirazione per la situazione della Spagna, che sarebbe di gran lunga migliore di quella italiana: lì c’è la ripresa e anche la disoccupazione comincia a calare.
C’è così chi addirittura rimpiange il fatto che l’Italia non abbia accettato il commissariamento da parte della Troika, quasi imposto durante il vertice di Cannes del novembre 2011: a quest’ora la riforma del mercato del lavoro sarebbe stata sicuramente approvata. Avremmo avuto anche noi il triplo dei licenziamenti come è accaduto in Spagna, senza neppure l’ausilio degli ammortizzatori sociali, ma almeno, ora, avremmo la ripresa. C’è chi, come Angelino Alfano, vuole dimostrarsi capace di riforme sociali incisive, ma solo all’apparenza, proponendo la non applicabilità dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori ai nuovi assunti. Sarebbe la soluzione ad un non problema, perché l’obiettivo di chi chiede maggiore flessibilità è il licenziamento di coloro che già sono assunti a tempo indeterminato, visto che i pochi nuovi assunti hanno solo contratti a termine.
Il vento di cambiamento che aveva accompagnato l’esordio del semestre di presidenza italiana si era infranto sugli scogli della diffidenza con cui la Germania aveva accolto la nostre richiesta di maggiore flessibilità nell’applicazione del Fiscal Compact, approdato solo ad un compromesso lessicale senza alcun impegno a rivedere l’impianto del Trattato. Anche sulla nomina di Federica Mogherini all’incarico di Alto Rappresentante della Unione siamo allo stallo: tutto è stato rinviato al vertice di fine agosto, dopo l’opposizione della Polonia, portavoce di un dissenso forse più ampio.
È il quadro internazionale che sta evolvendo pericolosamente: da una parte c’è l’acuirsi della crisi in Ucraina, e dall’altro lo scacchiere arabo in fiamme, dalla Libia fino all’Iraq. L’Italia è in una morsa geopolitica: se la nostra debolezza economica interna permanesse, rischiamo di essere stritolati tra l’escalation delle sanzioni verso la Russia e le ritorsioni di quest’ultima verso l’Ue: la Polonia è già in ginocchio, la Grecia assiste impotente al rientro delle merci già spedite, mentre dalla Ucraina non arrivano altri segnali diversi dall’inasprirsi del conflitto sul controllo delle regioni russofone. Meglio se la passano l’Argentina e il Brasile, e financo l’Algeria: le importazioni russe di prodotti agroalimentari hanno ben altri mercati di approvvigionamento. Per l’energia, invece, tema ancora tabù sul tavolo delle misure di ritorsione da parte della Russia, l’Europa ha ben poche alternative: se la dipendenza tedesca dal gas russo è estremamente elevata, l’Italia sconterebbe anche il venir meno dell’approvvigionamento dalla Libia. L’Italia è su un crinale. Da una parte c’è chi vede con favore un aggravamento della nostra situazione economica e finanziaria, perché il deflagrare del rischio di insostenibilità del debito pubblico renderebbe finalmente inevitabile una cessione di sovranità, passaggio indispensabile ed irreversibile per la costruzione di una Europa federale. Il pericolo di un default del debito pubblico italiano sarebbe usato come acceleratore di un processo altrimenti assai ostico da far digerire per via ordinaria. La Storia procede per strappi, violenti.
Dall’altra parte c’è chi ritiene indispensabile una via nazionale alle riforme: così la pensano a Palazzo Chigi e lo ribadiscono continuamente. Ma occorre creare uno spazio, politico e temporale, per procedervi che solo l’abbattimento del debito pubblico con misure straordinarie può determinare. Una soluzione interna ai problemi italiani, debito pubblico e riforme, eviterebbe non solo uno slittamento dell’Italia all’interno di un’orbita europea a trazione tutta tedesca, ma soprattutto garantirebbe un maggior equilibrio atlantico e mediterraneo. Anche il presidente Obama nel corso della sua visita a Roma ha d’altra parte chiaramente assegnato questo ruolo decisivo all’Italia.
Abbattere il debito pubblico con misure straordinarie, senza svenare gli italiani, non sarebbe un atto di insolente superbia, così come accettare il commissariamento non sarebbe un gesto di apprezzabile umiltà. L’Europa ha necessità di un immediato riequilibrio, di un forte contrappeso internazionale, strategico, politico e militare che solo un’Italia risanata può garantire. Una crisi economica e finanziaria italiana non sarebbe il passaggio indispensabile per accelerare la costruzione europea, ma aggiungerebbe un ulteriore elemento di instabilità che nessun può illudersi di controllare. Soffiare sul fuoco della crisi italiana è pericoloso: chi semina vento raccoglie tempesta.
Guido Salerno Aletta, MilanoFinanza 13/8/2014