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 2014  agosto 13 Mercoledì calendario

IL MADE IN ITALY SEMPRE PIÙ «PREDA»

L’Italia sarà anche in crisi, ma le sue aziende – di moda e non solo – continuano a far gola agli investitori stranieri che, secondo Mergermarket, hanno realizzato metà delle acquisizioni fatte nel nostro Paese nel primo semestre.
L’M&A è calato del 13,7% rispetto al 2013, ma resta pur sempre un segnale di attenzione nei confronti dell’Italia e dei suoi "gioielli". Molto attivi, stando ai dati Mergermarket, i fondi di private equity, che hanno concluso operazioni per 5,7 miliardi (+81% rispetto al primo semestre 2013) e tra le cinque principali per valore, quattro M&A sono di operatori esteri: Rosneft in Pirelli, Allianza su Milano Assicurazioni, Charterhouse Capital Partners in Nuova Castelli e Renova Group su Octo Telematics. Il trend sembra proseguire: in luglio è stata annunciata la vendita del controllo della Indesit dalla famiglia Merloni al colosso americano Electrolux per un corrispettivo intorno ai 750 milioni. Qualcosa si muove anche in senso inverso: le imprese italiane hanno realizzato all’estero acquisizioni per 4,3 miliardi di euro, il livello più elevato dal primo semestre 2009.
Tornando alla moda, il cambiamento più interessante, negli ultimi tre anni, ha riguardato il tipo di target e nei prossimi mesi a guidare le operazioni nel comparto, secondo uno studio PriceWaterhouseCoopers, saranno i brand maschili. «Fino ad oggi il traino delle operazioni nel settore moda è stato rappresentato dal segmento femminile – spiega Francesco Giordano, partner PwC –. In Italia, però, abbiamo tutta una serie di brand della moda uomo interessanti per gli investitori». E chi potrebbe acquistare? «In particolare gli operatori del Far East perché da loro la spesa nella moda degli uomini supera quella delle donne. Tra i potenziali target ci sono Kiton, Marinella, Tombolini, Jacob Cohën (jeans di lusso) e molti altri marchi del sartoriale. Ci sono, poi, brand specializzati in un prodotto, come Cover della famiglia Fassino, famoso per i pantaloni PT01, indossati spesso dal presidente Obama. Naturalmente non è detto che questi marchi siano sul mercato».
Il segmento del lusso resta uno dei target più interessanti e oggi l’Italia attira anche l’attenzione dei fondi sovrani. «La cosa importante è che dietro i grandi marchi c’è una filiera produttiva fatta di aziende che sono delle eccellenze del made in Italy e sono target strategicianche per i fondi di private equity», commenta Anna Gervasoni, direttore generale di Aifi. Sull’importanza della produzione torna Giordano: «Negli ultimi anni ci sono state operazioni apripista che hanno innalzato le aspettative in termini di multipli, come la quotazione di Brunello Cucinelli e di Moncler o le acquisizioni di Valentino e Loro Piana. Bisogna, però, distinguere tra i marchi che hanno lavorato sullo sviluppo di prodotto, come Loro Piana e Brioni, e marchi che hanno puntato sulla notorietà del brand. Ai primi viene riconosciuto un multiplo più alto».
Nel complesso, nel periodo 2011-2013 ci sono state circa 50 operazioni in Italia, sia investimenti di private equity sia acquisizioni corporate. Una peculiarità degli ultimi due anni è stato l’interesse da parte di investitori del Middle o Far East, come nel caso di Valentino, oggi di Mayhoola (Qatar) o di Mandarina Duck da parte dei coreani di E-land. Non sempre si tratta di acquisizioni di quote di maggioranza. «In particolare ultimamente stanno prevalendo operazioni di minoranza, come nel caso di Blackstone in Versace e Triatlantic in Betty Blue. Si tratta di operazionidi conferimento di capitale per la crescita e l’espansione dei brand, che devono competere a livello internazionale e devono per questo affrontare investimenti importanti», conclude Giordano, che sottolinea come in questi casi si pongano problemi di governance da risolvere per attirare l’interesse dei private equity. Come insegna il caso Cavalli.
Monica D’Ascenzo, Il Sole 24 Ore 13/8/2014