Davide Giacalone, Libero 13/8/2014, 13 agosto 2014
IL CONDONO È BRUTTO MA SE VA FATTO ALMENO PORTI SOLDI
Sono anni che contestiamo l’irragionevolezza dei dati sull’evasione fiscale, diffusi dall’Agenzia delle Entrate. Da anni ripetiamo che non ha senso aizzare l’opinione pubblica contro un’evasione non recuperabile, contestando 100 e portando a casa 10. Ora che la nuova direttrice dell’Agenzia, Rossella Orlandi, ci conforta con la sua convergente opinione, non vorremmo s’eccedesse. Non possiamo scordarci il passato, lasciando che chi ha evaso la faccia franca. Vediamo, allora, in quale contesto la parolaccia potrebbe non essere bestemmia.
L’anno scorso l’Agenzia rese noto che dal 2000 al 2012 si erano accumulati 807,7 miliardi che sarebbero dovuti andare al fisco e che invece mancavano all’appello. Un’evasione pazzesca: se la si recuperasse il debito pubblico sarebbe ricondotto al di sotto del pericolo. Da quella montagna si dovevano però togliere 193,1 miliardi, perché i contribuenti interessati avevano già dimostrato di non doverli; 69,1 erano stati pagati; 20,8 erano ancora in contestazione. Già si scendeva da 807,7 a 524,7. Da quelli si dovevano togliere altri 107 miliardi, perché dovuti da soggetti falliti. 19 miliardi erano già stati rateizzati, quindi in corso di riscossione. Da 807,7 si passava a 398,7. Non è la stessa cosa. A questo si aggiunga che una fetta assai rilevante di quel gettito mancante era ed è composto da sanzioni: il contribuente che non aveva pagato veniva gravato di ulteriori oneri.
Dato tutto ciò, che si fa, ora, si molla la presa e ci si dedica agli evasori più freschi e perseguibili? Scelta pragmatica, ma non giusta. Il Parlamento ha già approvato la delega fiscale. Posto che l’obiettivo principale deve essere quello di far scendere la pressione fiscale, perché di tasse ne paghiamo troppe e il terrore (fondato) della loro crescita è la principale causa della mancata ripresa dei consumi, e posto che il secondo obiettivo è quello di avere un fisco che non agisca da despota ( prima prende e poi ascolta la contestazione), degno compare di uno Stato che pretende d’incassare ma continua a non pagare; posto tutto ciò, una volta provveduto ai decreti delegati e riformato il fisco, ci può anche stare che si chiuda il passato con un condono. Lo so: fa schifo. Ma agli evasori veri è meglio togliere qualche cosa, piuttosto che continuare a far bau bau. Tanto più che sono già due i ministri in carica che, interrogati sulla possibile manovra autunnale, rispondono: Pier Carlo Padoan la esclude e noi ci fidiamo di lui. Prima Marianna Madia e poi Maurizio Martina. Lasciamo perdere che ai due deve essere sfuggito che il Consiglio dei ministri è un organo collegiale, e prima di giurarci sopra la Costituzione potrebbe anche essere letta, ma le loro parole significano una cosa precisa: il governo non ha collegialmente discusso dei conti, chiarendo a tutti i ministri in quali condizioni reali si trovano, sicché loro, in mancanza di numeri, si affidano alla fede. Con un pizzico di viltà: perché Padoan ha ripetutamente segnalato che ci sono dei problemi, quindi la garanzia che non ci saranno manovre è da intestarsi al capo del governo, Matteo Renzi.
Il Paese ha bisogno di un’operazione verità. Abbiamo la forza di rimediare a conti squilibrati, ma ce la giocheremo e la neutralizzeremo se continuiamo a prenderci in giro da soli, strizzando l’occhio a qualche fetta di elettorato. Tanto più che una parte degli italiani adora farsi prendere in giro, campando alle spalle dell’altra. La forza ce la giochiamo, se lanciamo una chiamata autarchica contro le istituzioni europee, chiedendo a Mario Draghi di farsi gli affari suoi, come se la riduzione dello spread e il minor costo del debito lo dovessimo a qualche politica di risanamento e riduzione e non alla Bce.
Operazione verità, quindi. La direttrice dell’Agenzia ha dimostrato che vedevamo bene nel contestare quelle declamazioni propagandistiche. Ma servono fatti, quantificabili e incolonnabili.