Francesco Alò, Il Messaggero 13/8/2014, 13 agosto 2014
LE NOTTI CON L’AMICO BELUSHI E IL VOLTO OSCURO DI HOLLYWOOD
«Riusciva a rendere felici tutti... tranne se stesso». Parola di Garry Marshall, l’uomo che fece di lui una star quando lo scritturò come alieno per quell’episodio di Happy Days che poi avrebbe dato vita a Mork & Mindy. Robin Williams è stato un genio ma anche un grande mistero. Perché un artista così amato, ricco e vincente si è tolto la vita quando sembrava aver raggiunto l’età della saggezza? La storia dei grandi di Hollywood è ricca di episodi di questo genere, lasciandoci pensare che l’arte recitativa da quelle parti porti fama ma anche demoni interiori in cerca di un sacrificio. Uscire così spesso dalla propria identità per assumerne altre, provoca un senso di straniamento da se stessi? La divina Marilyn Monroe, trovata morta per un overdose di barbiturici il 5 agosto del 1962, è solo uno dei nomi più importanti della pagina dei necrologi dello star system.
SEYMOUR HOFFMAN
Sembrava che il “maledettismo” e quel binomio ancestrale droga & arte in auge dai tempi di Rimbaud fino a Syd Barrett, Jim Morrison e Andrea Pazienza, avesse abbandonato le celebrità di Hollywood da quel lontano 1993 dopo la terribile morte per overdose di River Phoenix sul marciapiede del Viper Room lungo il Sunset Strip di Los Angeles. Invece, nel giro di sei anni, abbiamo assistito nel 2008 alla misteriosa overdose accidentale di psicofarmaci regolarmente prescrittigli del rampante Heath Ledger e, lo scorso febbraio, all’overdose da eroina, cocaina, benzodiazepine e anfetamine del geniale Philip Seymour Hoffman. Ledger vinse l’Oscar postumo nel 2009 per il suo delirante Joker di The Dark Knight mentre Hoffman la statuetta l’aveva già portata a casa nel 2006 per Capote. Nemmeno il traguardo più ambito della sua professione lo aveva rasserenato. Per Robin Williams è stato lo stesso. Anzi peggio.
BELUSHI
Dopo aver sofferto di dipendenza da cocaina dalla fine dei ’70 ed essere stato compagno di party drogherecci gomito a gomito con John Belushi fino a poche ore prima della morte per overdose dell’indimenticabile protagonista dei Blues Brothers presso lo Chateau Marmont il 5 marzo del 1982, Williams si ripulì del tutto dalla polvere bianca negli ’80 per poi attaccarsi alla bottiglia dal 2004 in poi. Fuori e dentro dai centri di riabilitazione con la diagnosi degli psicologi servita su un piatto: disordine bipolare. Se Marilyn veniva da un’infanzia traumatica e Phoenix, Ledger e Hoffman avevano sempre flirtato da attori con ruoli pericolosamente tendenti a una rappresentazione affascinante di dannazione e perdizione, non dimentichiamoci che Williams è quasi sempre stato quel clown buffo, simpatico e solare che ha fatto ridere tre generazioni di spettatori dai ’70 di Mork & Mindy all’imminente natale 2014 dove lo rivedremo come Teddy Roosvelt in Una notte al Museo 3. E allora? Perché tutto questo tormento? Chi lo conosceva bene, come il primo scopritore Garry Marshall, ricorda questa timidezza e fragilità interiore che lo portavano ad essere allegro e positivo per tutti gli spettatori del mondo tranne uno: Robin Williams.