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 2014  agosto 13 Mercoledì calendario

UN CULTORE DELLE REGOLE CHE NON TEMEVA LE INNOVAZIONI


IL RITRATTO
I lettori hanno potuto conoscere ed apprezzare la personalità di Piero Alberto Capotosti, trasmessa e filtrata dai suoi articoli di analisi e di commento delle vicende istituzionali. Ne hanno certamente apprezzato la esposizione, sempre chiara e comprensibile da tutti, anche quando si è trattato di descrivere gli aspetti più complessi offerti dall’esperienza quotidiana. Immagino che spesso i lettori abbiano anche condiviso il suo giudizio, basato su argomentazioni persuasive, sereno e mai legato a logiche di appartenenza o partigianeria, era la espressione di un orientamento moderato, non perché privo di convinzioni nette e profonde, o mediano rispetto a opinioni estreme, ma perché il suo giudizio, chiaro e lineare, era improntato a un criterio di percepibile ragionevolezza che gli era o era diventato naturale.
LA FORZA DELLE IDEE
L’autorevolezza di Capotosti non poggiava solamente sulla competenza del professore di diritto costituzionale, né sulla rilevanza dei ruoli istituzionali ricoperti, da vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura a giudice e presidente della Corte costituzionale. Era piuttosto una autorevolezza dovuta alla forza delle idee, frutto di convinzione e non di convenienza, ed alla credibilità personale, derivante anche dallo stile di vita. Le radici di questa autorevolezza e credibilità risalgono agli anni giovanili, della formazione e degli studi universitari. Capotosti appartiene alla “scuola romana” del diritto costituzionale. Quella formata nella Facoltà di giurisprudenza da Carlo Esposito ed in quella di scienze politiche da Costantino Mortati, e dai costituzionalisti ad essi vicini. Non uniforme nell’orientamento degli allievi, come avviene in un ambiente accademico vivace, che accoglie e fa crescere ricercatori di talento, e nel quale si coltivano la passione e la libertà della ricerca scientifica.
GLI ANNI UNIVERSITARI
L’Istituto di diritto pubblico della Sapienza, la biblioteca e la “sala assistenti”, erano il luogo di studio, di incontro e di discussione di giovani che costituivano una comunità scientifica informale e per molti di essi una cerchia di amici, della quale Piero Alberto Capotosti era partecipe e protagonista. Negli anni della contestazione violenta nelle piazze e negli stessi edifici universitari, accanto all’attesa della rivoluzione annunciata ed alla pretesa del diciotto politico, vi era chi fondava sul rigore dello studio l’ansia di rinnovamento e di apertura ai giovani, ed affidava a questo impegno la propria crescita personale ed il riscatto sociale.
L’INSEGNAMENTO DI VASSALLI
Non è un caso se Capotosti si sia trovato dopo molti anni, da professore nominato giudice della Corte costituzionale, a comporre lo stesso collegio assieme ad altri giovani di quel vivaio accademico, diversi per orientamento ideale e percorsi professionali, ma uniti nel ruolo di garantire la costituzione. In questo significativamente colleghi di un loro maestro, Giuliano Vassalli, quasi a segnare un rapporto di continuità tra generazioni nella fedeltà alla costituzione.
PUNTO DI EQUILIBRIO
Nella Corte Capotosti ha rappresentato un punto di equilibrio, offrendo una lettura rigorosa del testo e dei principi costituzionali, senza distorsioni interpretative. Il suo contributo nelle discussioni che caratterizzano l’esame collegiale di ogni questione, sino alla stesura ed alla lettura delle sentenze, è stato sempre rilevante, meditato e scrupoloso. Limpido nelle proposte, ma aperto al dialogo quando era relatore. Negli altri casi sempre incisivo ed apprezzato per la serietà degli argomenti, anche nei casi in cui fosse dissonante dall’orientamento destinato a prevalere.
GIUDICE E STUDIOSO
Capotosti è stato un ideale “custode della costituzione”, non solo nel ruolo di giudice costituzionale, ma anche come studioso delle istituzioni. Questo non significa avere una concezione ”monumentale” della costituzione, chiusa alle esigenze di rinnovamento. Anzi, Capotosti è stato un antesignano di un rinnovamento corretto, nel rispetto dei principi fondamentali e delle regole che disciplinano la revisione della costituzione, invitando sempre a riflettere sul largo consenso che deve responsabilmente accompagnare una operazione istituzionalmente così impegnativa. Uno dei temi di fondo è il carattere democratico e rappresentativo delle istituzioni, rendendo al cittadino il potere di scelta e di decisione. È significativo sin dal titolo, Il cittadino come arbitro, il saggio sulle riforme istituzionali che Capotosti ha pubblicato nel 1988 assieme a Roberto Ruffilli, il quale pagò con la vita il suo impegno riformatore.
I DUBBI DOPO IL PORCELLUM
La linearità ideale di Capotosti, lontana da valutazioni di opportunità e convenienza, si è manifestata anche nei dubbi che ha di recente proposto dalle colonne di questo giornale, sugli effetti che avrebbe prodotto la sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato la illegittimità del “porcellum”.
Un premio di maggioranza abnorme, previsto e consentito dalla legge elettorale, finirebbe con l’incidere sulla stessa rappresentatività del Parlamento, sino a limitarne i poteri in vista di un corretto rinnovo.
IL PRIVATO
Gli scritti e l’impegno istituzionale, per quanto possano riflettere la personalità, ne offrono solamente un aspetto parziale. C’è un Piero Alberto Capotosti privato, riservato, generoso, umanissimo, dalla fede religiosa profonda, non esibita e non occultata, dalla ricchezza del rapporto di simbiosi affettiva con la moglie Angela, dalla solidità delle antiche e disinteressate amicizie. Una vita straordinaria eppure come molte altre, silenziose e presenti nel tessuto solido di questo nostro Paese.