Paolo Mereghetti, Corriere della Sera 13/8/2014, 13 agosto 2014
FANCIULLESCO, GOLIARDICO, ANGOSCIATO I MILLE VOLTI DI UN ISTRIONE IRRESISTIBILE
Chi era il vero Robin Williams? Quello gommoso e fanciullesco di Braccio di ferro o quello cupo e angosciato di La leggenda del re pescatore ? Quello caricaturale e goliardico di Piume di struzzo o quello ribelle e sognatore dell’Attimo fuggente ? O magari quello funambolico e irresistibile del genio della lampada di Aladdin ? Difficile trovare una sintesi tra i mille volti (e le mille voci) cui aveva dato vita in quarant’anni di carriera. Ma difficile anche far coincidere quell’immagine survoltata e irrefrenabile con la dichiarazione del suo press agent, che di fronte al corpo senza vita trovato lunedì dalla polizia di Marin County si è affrettato a dichiarare che l’attore soffriva di «depressione». Come se bastasse quella parolina a spiegare tutto.
Nel paradiso degli attori, dove sicuramente Robin Williams si è conquistato un posto in prima fila, l’attore di Chicago (lì era nato 63 anni fa, il 21 luglio 1951) verrà ricordato come una delle più straordinaria maschere comiche della New Hollywood. Maschera nel senso letterale del termine perché capace di adattare il proprio volto a ogni esigenza espressiva, come se la pelle fosse plastilina, ma anche maschera artistica, pronto a indossare quella che i registi gli offrivano. C’era un po’ di Jerry Lewis nel suo gusto/piacere per le smorfie, per i personaggi «oltraggiati» dagli uomini e dalle cose. E molto gli devono i comici che l’hanno seguito, a cominciare da Jim Carrey. Anche se nessuno dei due — e si parla di grandi — aveva saputo uguagliarlo nell’ampiezza dello spettro espressivo. Capace di passare dalla commedia al dramma, anzi, dal cartoon alla tragedia, visto che al suo attivo aveva anche il ruolo di Osric nell’Hamlet di Kenneth Branagh.
Cresciuto in un famiglia dell’alta borghesia, bis-bis-bisnipote del senatore (e governatore del Mississippi) Ansel J. McLaurin — il suo nome intero è infatti Robin McLaurin Williams — abbandona gli studi di scienze politiche per iscriversi alla Juilliard School di New York (quella di Saranno famosi ), da cui esce conscio dei propri mezzi espressivi. Mimo, stand-up comic nei cabaret di Manhattan, interpreta l’alieno Mork in un episodio di Happy Days e da lì diventa l’applaudito protagonista dello spin-off Mork & Mindy , che fa vincere all’attore il primo dei suoi sei Golden Globe (oltre ad altrettante nomination).
A farlo esordire al cinema è Robert Altman che scegliendolo come Braccio di ferro in Popeye (1980) ne sottolinea da subito il lato gommoso e fumettistico, più «rispettoso» dell’originale disegnato da Elzie C. Segar (e poi animato da Max Fleischer) che della psicologia o della recitazione. L’occasione per rifarsi gliela offre George Roy Hill che lo vuole per Il mondo secondo Garp (1982), dove deve fare i conti con l’invadente madre-infermiera interpretata a Glenn Close.
Ma è solo alla fine degli Ottanta che il suo talento ha modo di esplodere sullo schermo, prima con Good Morning Vietnam (1987) poi con L’attimo fuggente (1989), che gli procurano le sue due prime nomination all’Oscar. Nel film di Barry Levinson è Adrian Cronauer, il deejay più amato dalle truppe americane nel Sud-Est asiatico, nel cui ruolo Williams tocca vette di scatenato istrionismo, più trascinante — pare — del vero intrattenitore. Nel film di Peter Weir è un professore che sulle orme di Walt Whitman tiene infiammate lezioni di poesia e libero pensiero. Due ruoli lontanissimi tra loro ma capaci di dare la misura delle qualità interpretative di Robin Williams che fece centro ancora con l’ex professore impazzito in La leggenda del Re Pescatore di Terry Gilliam (1991, altra nomination) e poi con lo psicologo coriaceo di Will Hunting – Genio ribelle di Gus Van Sant (1997), per cui vinse la sua unica statuetta, ma come attore non protagonista.
In mezzo e dopo, una miriade di titoli spesso di diseguale valore, ma dove era sempre capace di ritagliarsi una performance sopra le righe o un numero di alta scuola. Ricordiamo almeno Cadillac Man (1990), Hook – Capitan Uncino (’91), Mrs Doubtfire – Mammo per sempre (’93), Jumanji (’95), Piume di struzzo (’96), Jack (’96), Harry a pezzi (’97), Insomnia (2002) fino ai più recenti Una notte al museo 1 e 2 (2006 e 2009) e The Butler (2013). Film che andavano più o meno stretti a un attore «bigger than life» e che deve aver molto faticato ad attarsi al cinema «smaller than life» che va di moda oggi a Hollywood.