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 2014  agosto 13 Mercoledì calendario

LE RELAZIONI PERICOLOSE


Il protagonista di questa storia è l’amore. Bella forza, di una relazione a due stiamo parlando. In questo caso, però, l’amore non è quello fra i personaggi principali. È
invece quello che i due hanno raccontato, celebrato, omaggiato, reso immortale in quindici anni di canzoni.
La storia di Lucio Battisti e Mogol comincia nel 1965. E non nel migliore dei modi. Non è amore a prima vista. Non quel colpo di fulmine che raccontarono, dal punto di vista del lui che vede la sua lei folgorata dall’altro, qualche anno dopo in «Mi ritorni in mente».
Un passo indietro. Chi erano i due prima di diventare il tandem più famoso della canzone italiana con 141 brani (142 se si aggiunge l’inedita «Il paradiso non è qui» di cui girano provini in rete) e milioni di dischi venduti? Lucio Battisti era un ragazzo di provincia, nato a Poggio Bustone in provincia di Rieti e cresciuto a Roma, con la passione per la chitarra. Mogol, all’anagrafe ancora solo Giulio Rapetti (dal 2006 ha ottenuto di avere nel suo cognome anche il nome d’arte), era il responsabile della promozione della casa discografica Ricordi guidata dal padre Mariano. Il suo era un curriculum di successi: aveva fatto vincere Sanremo 1961 a Luciano Tajoli e Betty Curtis con «Al di là» e aveva firmato «Una lacrima sul viso» di Bobby Solo.
Si incontrano a Milano. A fare da intermediario è Christine Leroux, editore musicale e talent scout per la Ricordi, la prima a far firmare un contratto a Battisti. Lucio fa sentire i suoi pezzi a Mogol. Che storce il naso. «I tuoi testi sono deboli, modesti». Il commento è più o meno quello. Non è l’ennesima porta chiusa in faccia. Mogol sente forza nella musica di Lucio, fiuta un autore di razza in quella penna e trova qualcosa che altri non sentono in quella voce. «Lavoriamoci assieme».
I due iniziano a scrivere in coppia. Il primo pezzo Mogol-Battisti è dell’aprile 1966: «Dolce di giorno» dei Dik Dik. Scrivono anche per i Ribelli e i Profeti. Funzionano. Mogol convince la Ricordi a mettere Lucio alla prova come cantante. Il 23 luglio 1966 esce «Per una lira/ Dolce di giorno», il loro primo 45 giri.
Non è un successo. A dargli un’altra possibilità sono nuovi successi conto terzi: su tutti «29 settembre» per l’Equipe 84. Arriva la seconda chance: un 45 giri con «Luisa Rossi/ Era». Anche qui la risposta del pubblico è fredda. Nel 1968 «Balla Linda», il lato b di «Prigioniero del mondo» inverte la rotta. «Un’avventura», e siamo a Sanremo 1969, lancia definitivamente la coppia. Da lì in poi è un’infilata di successi impressionanti: «Acqua azzurra, acqua chiara», «Mi ritorni in mente», «Fiori rosa fiori di pesco», «Pensieri e parole», «La canzone del sole». E siamo solo al 1971.
Il rapporto fra i due va oltre le canzoni. Nel 1969 Mogol e il padre avevano fondato la Numero 1, etichetta che divenne una sorta di factory per la musica italiana. Battisti ne divenne azionista. Erano anche amici. Nel 1970 avevano attraversato l’Italia, da Milano a Roma, a cavallo. Mogol-Battisti diventano qualcosa di inscindibile.
Le classifiche sono tutte per loro e la loro musica viene studiata, analizzata, vivisezionata. Sono accusati di maschilismo dalle femministe, qualcuno gli riconosce il merito di aver letto in anticipo i cambiamenti di una società che stava attraversando anni duri ma di rivoluzione, gli danno dei fascisti per non avere il seme dell’impegno cantautoriale. Forse erano canzoni d’amore e basta. In cui anche chi teneva Battisti come uno scheletro nell’armadio, una passione di cui è meglio non parlare con gli amici che ne sanno di musica, si è riconosciuto almeno una volta. L’amore che non fa rima con sole e cuore ma quello che segna una trasformazione nel racconto letterario della canzone italiana. Quell’amore che non è di destra e non è di sinistra. Come senza implicazioni ideologiche fu la cavalcata Milano-Roma. «Lo spirito è quello di provare a noi stessi che possiamo farcela, e quello di godere, senza preoccupazioni, di un vero contatto con la natura», scrisse Battisti
su Sorrisi&Canzoni. Sul perché della rottura si è detto di tutto.
Una questione di soldi sulla divisione dei diritti. L’influenza della moglie di Battisti, la Yoko Ono del duo. Una lite di vicinato nel residence Dosso di Coroldo a Molteno, profonda Brianza, dove entrambi vivevano. Mogol non ha mai chiarito. Figuriamoci Battisti che aveva scelto di non avere una figura pubblica. Ci ha pensato Celentano, sul Corriere, pochi giorni dopo la morte di Lucio.
Ricordando un loro incontro di quattro anni prima. «Parlasti per non farmi capire o forse per dirmi che la colpa non va ricercata dentro la persona di Mogol o di Lucio Battisti, ma nell’uomo in generale, che fin dalla nascita si porta dentro questo desiderio assurdo di voler dimostrare che lui non ha bisogno di nessuno e può andare avanti benissimo da solo». Così Lucio se ne andò per un disco con la moglie (che si firmava Velezia) e poi con il poeta Pasquale Panella; Mogol con altre voci, Cocciante, Gianni Bella, Celentano... Successi, anche importanti, ma il primo amore, almeno noi, non lo scordiamo mai.