Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  agosto 13 Mercoledì calendario

VOGLIAMO TUTTO «PIUTTOSTO CHE» NIENTE... LA CENA IN TERRAZZA CON «IO, DONNA ITALIANA AL CLUB DI CHURCHILL» SIMONETTA AGNELLO HORNBY A PASSO LEGGERO


Nella Coffee Room, a dispetto del nome, nessun caffé. Nella Strangers Room i soci amano ritrovarsi tra di loro. E nella Morning Room, con i giornali freschi di stampa, i soci del Reform Club (tra gli storici, Winston Churchill e Henry James, William Makepeace Thackeray e Lord Palmerston) indugiano perlopiù nel pomeriggio. Perché? «Fa parte del gioco esclusivo dei club: se non conosci le regole, bizzarre come queste, non puoi farne parte. Anche se da pochi mesi le regole sono un po’ allentate: ora nella Coffee Room si può anche prendere il caffé», sorride con ironia Simonetta Agnello Hornby, avvocato che conosce bene l’High Court di Londra dove ha dibattuto tanti casi che hanno fatto discutere, e scrittrice («La Mennulara» nel 2002 e molti altri, adesso «La mia Londra»). Intanto fa strada fra gli stucchi e le colonne disegnate da Charles Barry nell’Ottocento. Stesso architetto che, dopo l’incendio del Parlamento nel 1834, progettò le nuove Houses of Parliament a Westminster, in stile neogotico, apoteosi dello stile Vittoriano.
Questa estate le regole hanno dovuto fare i conti anche con l’ondata di caldo che ha sorpreso la capitale britannica. E così il rigido codice d’abbigliamento del club (giacca, camicia e cravatta per i gentlemen, banditi jeans e sneakers), si è dovuto piegare: finché il sole scotterà Londra, si potrà togliere la giacca, avvisa un cartello. Altra regola che il Reform ha spezzato prima degli altri è il divieto alle signore: «È stato il primo ad aprire alle donne, oggi siamo 800 dei 2.500 soci». E Barbara Beck, che per l’Economist si occupa di inchieste e servizi speciali, è riuscita addirittura a guidare il Reform, dal 1992 al 1994. Per capire questo club è il caso di passare anche dalla redazione del settimanale della classe dirigente globale, in St James’s Street: perché i princìpi ispiratori del Reform sono quelli «liberal» di cui è da sempre portabandiera l’Economist .
«Fish pie, o salmone e verdure? — domanda Hornby. — La cucina del Reform iniziò con uno chef francese (ma ora ai fornelli il capo è Alex Fulluck). Il Boodle’s rimane però il più quotato per la tavola. La verità è che la cucina londinese, che non è quella britannica, ormai è internazionale. E non è neanche quella di quando arrivai: il razionamento era finito da 10 anni appena!». Nata a Palermo nel 1945 è approdata sul Tamigi nel 1963 e si è fermata per viverci e lavorare dal 1972. Avvocato dei minori e presidente part time dello Special Educational Needs and Disability Tribunal, nei ‘90 si scontrò con il Sun di Rupert Murdoch per il caso «Baby P»: un bebé rapito dal St Thomas Hospital. «Il bambino fu rintracciato ma i genitori, incalzati dalla stampa, chiesero il mio appoggio legale prima di raccontare la storia. Domandai consiglio a un caro amico, Philip Basset, in seguito capo della comunicazione di Tony Blair: mi disse: “Convocali tutti alle 12 e chiudi la trattativa entro le 2 del sabato, i tabloid domenicali decidono le storie a quell’ora”». L’esclusiva se la aggiudicò il Sun , a caro prezzo. Hornby fece inserire la clausola che la somma avrebbe finanziato gli studi del bambino.
La luce naturale filtra dal soffitto e illumina l’ingresso: una rivisitazione della corte di una villa pompeiana. Per costruire il Reform, Barry si ispirò al Rinascimento italiano che a sua volta rielaborò il mondo della classicità. Il modello pare sia stato Palazzo Farnese a Roma, anche se siamo nel cuore della «London Clubland», il quadrilatero dei club, al 104 di Pall Mall. Pochi metri più in là il Travellers e l’Atheneum o ancora il Rac. «Di fronte, oltre il giardino, il Turf: aristocrazia purissima, non si accede se non hai quattro quarti di nobiltà — chiosa Hornby —. Quando lavoravo come avvocato tra i miei clienti privati c’erano molti esponenti della aristocrazia, ma la maggior parte erano indigenti e lo stato sovvenzionava le loro spese legali».
A proposito di potere e minori. Si sta scoperchiando il vaso di Pandora di un grande scandalo pedofilia sul Tamigi? Una rete di pedofili «dentro e attorno a Westminster» come ipotizza il «Dossier Dickens» stilato dal parlamentare Geoffrey Dickens già anni fa e tornato sotto i riflettori. Possibile? «È in corso un’inchiesta, ma non mi stupirei. Come non mi ha sorpreso il caso del presentatore della Bbc , Jimmy Savile: la depravazione si insinua ovunque». C’è più perversione oggi o se ne parla di più? «C’è sempre stata, ma oggi c’è più attenzione per questi temi: ho seguito tanti casi, spesso incredibili ma tristemente veri. Adesso preferisco dedicarmi ai miei libri: con i diritti de “La Mennulara” ho creato un fondo a favore dei miei quattro nipoti: Elena, Francesco, Lola e Oliver Hornby, servirà per l’università — dice —. Intanto, in autunno porterò “La cucina di Mosé”, la mia cucina di casa in Sicilia, in tv su Real Time per Discovery. Ora devo andare, mi aspetta Lady Greengross, un’amica straordinaria: ha creato un’organizzazione non governativa per l’aiuto e la ricerca sui problemi degli anziani. Anch’io ho un sogno...». Quale? «Insegnare cucina e alimentazione ai giovani che vivono al margine della città: imparando a cucinare ci si può salvare dal degrado».