Paolo Siepi, ItaliaOggi 12/8/2014, 12 agosto 2014
PERISCOPIO
Alfano ha raccontato più volte di essere politicamente nato con una cotta per il Cav. «Nel ’94 - ha detto - mi sono unilateralmente innamorato di Silvio Berlusconi. Innamoramento da tubo catodico: ho aderito vedendolo in tv». Giancarlo Perna. Il Giornale.
Matteo Orfini ha la faccia fisiognomicamente più arcaica della politica italiana, se si esclude quella del compagno Nico Stumpo, perfetto nel casting del Novecento bertolucciano. È perciò una faccia indimenticabile nei dibattiti televisivi, dove pure quelli del Pd, più che da sotto il sol dell’avvenire, sembrano reduci da un paio d’ore sotto la lampada dell’estetista. Stefano Di Michele. Il Foglio.
Si è urlato per decenni che era la paura che motivava il voto frontista, per Le Pen. Ridicolo! Queste sono le persone meno paurose di tutti. Ci vuole un bel coraggio che infilarsi in un partito il Fn, che, malgrado la sua crescita vertiginosa, è il più vilipeso dalle élites politiche, intellettuali e mediatiche. Non è quindi la paura che motiva l’adesione al Fn, ma, in maniera chiarissima, è la collera, che non ha niente a che vedere con la paura. Collera davanti al montare delle inciviltà, le auto bruciate, i furti, le aggressioni fisiche, le bande organizzate, il comunitarismo aggressivo, l’islamizzazione selvaggia dei quartieri davanti al menefreghismo generale e all’insicurezza crescente. Luc Ferry, ex ministro francese della pubblica istruzione con Sarkozy. Le Figaro.
Lucia Annunziata negli anni Novanta voleva collaborare all’Europeo da me diretto. A segnalarmela come una fuoriclasse fu la collega Alessandra Ravetta, moglie di Umberto Brunetti, fondatore e direttore del mensile Prima Comunicazione, un simpatico bastian contrario di origine umbra che, quando stavo al Corriere della Sera, mi pubblicava pezzi firmati con lo pseudonimo Claudio Cavina nei quali scorticavo il direttore filocomunista Alberto Cavallari e tutte le firme rossicce di via Solferino. A me, però, questa Annunziata più che una purosangue pareva una ronzina. La sua scrittura non mi entusiasmava affatto. Per cui non se ne fece niente. Devo dire che, in seguito, la signora non mi ha mai dato modo di pentirmene. Mario Luzzato Fegiz, che ha lavorato con lei al Corriere della Sera, sostiene che la Annunziata, come giornalista, è un equivoco storico: «Il suo vero limite è sempre stato la sintassi, la scarsa conoscenza dell’italiano». E racconta che, quando dirigeva il Tg3, andava in bagno scalza, lasciando da vera signora le scarpe sotto la scrivania, usava un linguaggio da caserma e dimostrava il carisma televisivo di una verza. «Quando Silvio Berlusconi la mandò a quel paese per la sua arroganza formale, fu una delle rare occasioni in cui tifai per il Cavaliere», e Luzzato Fegiz non si può certo considerare un reazionario. Ovunque la Annunziata abbia messo piede, con o senza scarpe, ha lasciato dietro di sé tracce indelebili. Ma non luminose. Vittorio Feltri e Stefano Lorenzetto, Buoni e cattivi. Marsilio.
I Ds non capirono l’originalità dell’Ulivo e la sua irriducibilità a una tradizionale alleanza tra i partiti. Hanno concepito Prodi alla stregua di un indipendente di sinistra, di un generale senza truppe che doveva assecondare e favorire l’egemonia dell’ex Pci. E il tonfo è stato inevitabile e fragoroso. E da allora i Ds non possono essere un partito alla ricerca di un’identità. Massimo De Angelis, Post-Confessioni di un ex comunista. Guerini e associati, 2003.
Per i mediocri che si sono incistati nella pubblica amministrazione il Grande Ritorno del comunismo è molto gratificante. Che cosa sono i paradisi terreni dei ricchi ereditieri al confronto della stanza dei bottoni, non dico di un ministro, ma pure del direttore generale, con la gioia narcisistica di poter continuamente decidere (anche se intorno a nulla; e comunque non con i suoi soldi) e la gioia sadica del sapere che i sudditi attendono per ore nell’anticamera accanto? Abolendo i capitali, lo spirito imprenditoriale, le competizioni del merito, tornerebbero a trionfare, come accade nei paesi comunisti le stanze dei bottoni, alla quale teoricamente ogni mediocre potrebbe accedere. Armando Plebe, Tornerà il comunismo?. Piemme.
Alcuni agricoltori che avevano organizzato una serata per sostenerci mi hanno chiesto che cosa avrei fatto come prima mossa da capo di un governo, e ho risposto che avrei tagliato tutti i sussidi agricoli. È quello che penso sia utile, ma la politica, lo riconosco, non fa per me. Io dico sempre ciò che penso. E in politica non si può fare. Michele Boldrin, economista alla Washington University di Saint Louis, Missouri, Stati Uniti.
All’Atm abbiamo fatto una spending review sui dirigenti, un taglio di 4,8 milioni sugli straordinari. Il bilancio si chiude in equilibrio nel panorama disastrato delle aziende di trasporto. Aumentano gli introiti dei biglietti: dal 2010 al 2013 siamo passati da 309 a 376 milioni. Quest’anno prevediamo un incasso di 387 milioni. Bruno Rota, presidente dell’azienda milanesi trasporti, Atm. la Repubblica.
Vorrei una moglie, possibilmente di prima mano. Per farmi innamorare, una donna deve essere bella e fedele, non mi piacciono i condomini. Bella, comunque, abbondante, una moglie a due piazze. Totò. Il Mattino.
Aleardo Aleardi era anarchico. Alla Proudhon: diceva che la proprietà è un furto, a me che sognavo di diventare ricco. Al liceo si era iscritto alla Federazione giovanile socialista. Diceva che io non capivo niente, i fascisti erano servi dei padroni, nemici dei lavoratori. Da piccolo era stato fascista pure lui. Tutti in quella casa (anzi in tutto il parentado) erano fascisti. Una buona parte, poi, votava Democrazia cristiana, ma dentro l’anima erano tutti fascisti. Solo papà era diventato democristiano per davvero. Zio Carlìn diceva che Aldo Moro era un comunista. Pure mia sorella Violetta, da piccola, era di destra (parlo di quando facevamo le elementari) e durante le campagne elettorali raccoglievamo i facsimile per le strade e giocavamo alle elezioni per conto nostro: facevamo sempre vincere i monarchici. Eravamo monarchici, io e lei. O meglio, io ero fascista e monarchico, lei solo monarchica. Volevano il ritorno dei Savoia. Adesso era comunista ma, in casa, lei non si dichiarava, diceva solo: «Sono di sinistra». Antonio Pennacchi, Il fascicomunista. Mondadori, 2003.
Chi non crede in niente è capace di tutto. Roberto Gervaso. Il Messaggero.
Paolo Siepi, ItaliaOggi 12/8/2014