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 2014  agosto 12 Martedì calendario

PETROLIO E AIUTI DAGLI SCEICCHI, IL TESORO DA 2 MILIARDI DELL’ISIS


IL CASO
ROMA Un tesoretto di 2 miliardi di dollari. Entrate che crescono a mano a mano che i 10mila e più miliziani dello Stato islamico della Siria e del Levante (Isis) guadagnano terreno a colpi di mitra e massacri, allargando i confini del neonato Califfato sunnita tra Siria orientale e Iraq settentrionale. Un fiume di dollari entra nelle casse dell’auto-nominato Califfo Abu-Bakr Al-Baghdadi grazie anche al petrolio estratto in Siria e rivenduto sottobanco al regime del nemico Bashar Al Assad, e a quello della raffineria di Baiji vicino Mosul, in Iraq, smerciato per un milione di dollari al giorno. Nella seconda città irachena conquistata in luglio le «bande nere» avrebbero fatto la «rapina del secolo», ammonterebbe a 500 miliardi di dinari iracheni (429 milioni di dollari) rastrellati in 20 banche private e 15 governative. Poi ci sono i proventi di decine di sequestri, del mercato nero dei reperti archeologici, del balzello islamico specie per gli infedeli (una vera estorsione). Ma se il Califfato ha messo in piedi il meccanismo tipico delle economie di guerra, il rebus politico di fondo è come avrebbero potuto i guerriglieri finanziarsi per anni senza il sostegno inconfessato dei «fratelli» sunniti degli Stati del Golfo (com’è avvenuto per Al Qaeda con Bin Laden, saudita) o i blandi controlli della Turchia alla frontiera con la Siria.
IL GIALLO
Patrick Cockburn su The Indipendent ha suscitato un vespaio scrivendo che l’ex ambasciatore a Washington e poi capo dell’Intelligence saudita il principe Bandar bin Sultan, prima dell’11 Settembre ha detto a Sir Richard Dearlove, capo dell’M16 britannico: «Richard, non ci vorrà molto tempo perché nel Medio Oriente si arrivi letteralmente al “Dio aiuti gli sciiti”. Più di un miliardo di sunniti ne hanno semplicemente avuto abbastanza». Per Cockburn-Dearlove, certe cose «non avvengono per caso». Privati sauditi e del Qatar, ma anche di Emirati arabi uniti e Kuwait, non avrebbero potuto far arrivare i loro milioni di dollari ai miliziani se le autorità del Golfo, saudite in primis, non avessero chiuso un occhio. Versione contestata però dagli stessi sauditi. Il principe Bandar è stato poi rimosso. La Casa Reale non si stanca di sottolineare che l’Isis minaccia gli sciiti e l’Occidente tanto quanto la stabilità dell’Arabia Saudita.
AL QAEDA
Ambiguità che si ripete. Bin Laden fu coccolato e poi combattuto e espulso da Gedda. «Follow the money». Segui il denaro. E il denaro dei ricchi sunniti del Golfo sarebbe finito all’Isis attraverso il Kuwait. Impiego ufficiale: la beneficenza. Effettivo: le armi. Il premier sciita iracheno, Nouri Al Maliki, ha puntato esplicitamente l’indice su Arabia Saudita e Qatar, ma non è credibile. Charles Lister, del Brookings Doha Center in Qatar, osserva che «non c’è prova pubblica accessibile che il governo di uno Stato sia stato coinvolto nella creazione o nel finanziamento dell’Isis». Ma il direttore del Centro di ricerca sul mondo arabo dell’Università di Mainz, Gunther Meyer, citato dalla Deutsche Welle, è tra coloro che accusano i Paesi del Golfo, uno per uno: «I cittadini sauditi formano la parte più consistente dei combattenti stranieri dell’Isis», anche se tornando nel loro paese potranno un giorno rivoltarsi come boomerang. Per Lori Plotkin, del Washington Institute, il Regno saudita vede l’Isis come «una minaccia», tanto che il ministro saudita dell’Interno li ha definiti «terroristi», ma avverte che le donazioni private transitano per il Kuwait, «a lungo considerato l’ambiente più permissivo per finanziare il terrorismo nel Golfo Persico». In ogni caso, si tratterebbe di una parte limitata dei fondi a disposizione. Otto milioni di dollari al mese arriverebbero al Califfato dalle tasse islamiche e da attività criminali.
LO STUDIO
Un rapporto della Brookings conferma che negli ultimi due anni e mezzo il Kuwait «è emerso come un hub finanziario e organizzativo per il supporto caritatevole e individuale a una miriade di gruppi ribelli in Siria». I fondi sono raccolti via Internet o su telefonini e account WhatsApp che indirizzano a volte a luoghi fisici. Una fonte dell’Intelligence ha detto al Guardian che sulle montagne a Ovest di Damasco il traffico illegale di reperti archeologici ha fruttato decine di milioni di dollari. E già prima delle rapine a Mosul, contante e asset dell’Isis erano stimati dagli 007 britannici in 875 milioni di dollari. Ce n’è per fare la guerra a oltranza.