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 2014  agosto 12 Martedì calendario

LA REALTÀ ROMANZESCA


La Caienna del Mediterraneo oppure l’Alcatraz d’Italia. Il bandito dagli occhi blu oppure dallo sguardo di ghiaccio. Tra paragoni con infernali penitenziari e nomignoli fatti apposta per le coordinate d’un noir, di letteratura ce n’era già prima: figurarsi dopo quell’evasione dal carcere sardo dell’Asinara del bandito e sequestratore Matteo Boe nato a Lula, in provincia di Nuoro. Nessun altro l’aveva fatto prima, nei cent’anni d’esistenza del penitenziario nato come colonia penale: Boe fu il primo a scappare. Sfidò il mare che fin lì aveva inghiottito e sputato i cadaveri di altri detenuti, convinti di potercela fare, nonostante le implacabili correnti, guardie naturali della prigione. Era il 1986. Ma siccome questa non è soltanto una storia criminale ma, a modo suo, anche una storia d’amore, bisogna subito introdurre un’altra persona. Una donna. Laura Manfredi.
Laura e Matteo s’erano conosciuti e follemente innamorati all’università di Bologna; lei abitava in città e lui, grazie ai risparmi dei genitori, era arrivato per studiare. Alla facoltà d’Agraria, Boe aveva però presto preferito le frequentazioni con Prima linea; dall’eversione era passato ad altri criminali che più gli andavano a genio, non soltanto per le comuni origini: i banditi sardi che rapivano e sognavano l’indipendenza. A Laura, tutte queste cose, le derive, le avventure, il male al prossimo per guadagnarci sopra, non dispiacevano. O quantomeno: se le fece piacere. S’incollò al bandito. Fu sua complice, salvezza e libertà. Il primo settembre del 1986 c’era Laura Manfredi, su un canotto, in solitaria, nelle acque dell’Asinara, a recuperare Boe il quale aveva tramortito una guardia penitenziaria, si era rifugiato in una grotta, ben nascosta, eludendo la disperata caccia dei poliziotti e infine s’era buttato a mare raggiungendo la compagna. Non aveva fatto tutto da solo, Boe, che era stato spedito in cella dopo l’arresto per il sequestro della 17enne Sara Niccoli, in Toscana. Boe era evaso con un socio: le strade si erano separate e l’altro era stato ripreso in poco tempo. A differenza del bandito, che disponeva di furbizia e forza, di appoggi e di logistica. Oltre che di un futuro già pronto.
Boe si buttò di nuovo, con maggior furore e fame, nella «fabbrica» dei sequestri, venne coinvolto in rapimenti (Farouk Kassam come l’imprenditore Giulio De Angelis) e fu inserito nella lista dei venti ricercati più pericolosi. Su di lui, nel frattempo, insieme al fascino perverso della primula rossa, cresceva un’aneddotica che, lo volesse o meno il diretto interessato, ingigantiva il mito. In un senso e nell’altro. Se infatti cominciava a destare addirittura simpatia quel bandito che, proprio durante la prigionia della Niccoli le aveva donato dei libri dei grandi maestri russi, dall’altro il suo nome tornava buono per trovare un responsabile a ogni gesto criminale in Sardegna. Fosse un attentato e fossero delle bombe lanciate contro i soldati, era sempre colpa di Boe. Nel 1992, in un’intervista esclusiva al Corriere, Laura Manfredi disse ad Alberto Pinna: «Non ha commesso tutto ciò che gli viene attribuito... Accusare un latitante è facile: non può difendersi». Laura chiese una cortesia: di non chiamarla «la donna del bandito». L’ottobre dell’anno suc-
cessivo i poliziotti, seguendo i movimenti della compagna, incinta e in compagnia dei due figli piccoli avuti con Matteo, arrivarono in Corsica. A Porto Vecchio. Un albergo. Un turista italiano registrato come Giulio Manca, residente in provincia di Nuoro. Una falsa carta d’identità lasciata come documento. E Matteo Boe alias Giulio Manca, un uomo alto e dagli occhi blu oppure dallo sguardo di ghiaccio, che quando scese nella hall finì arrestato. Non reagì, non volle sparare un proiettile per paura che nello scontro a fuoco venisse colpita la sua famiglia, verso la quale provava e prova un amore sfrenato, accecante.
Nel 2003, Luisa, figlia 14enne di Boe, fu uccisa a Lula. Forse una vendetta per un corteggiamento rifiutato, forse uno sbaglio del sicario che in realtà voleva assassinare Laura Manfredi (mamma e ragazza si somigliavano), forse un agguato per antichi rancori che affondavano nei segreti di banditi e rapimenti, bottini e appoggi, malavita e servizi segreti, alleanze svanite e patti non rispettati. Il delitto non ha colpevoli.