Giusi Fasano, Corriere della Sera 12/8/2014, 12 agosto 2014
«VESTITI, PELUCHE E LIBRI. LA MIA CHIARA È ANCORA QUI»
Chiara Poggi abita ancora qui, nella villetta di via Pascoli, a Garlasco. È qui, seduta al suo posto, al tavolo della cucina. È in camera che canticchia mentre sceglie un vestito.
Era il 13 agosto 2007 quando qualcuno l’ha colpita alla testa e l’ha buttata giù dalle scale che portano in cantina. Sette anni e lei non è mai più uscita da questa casa. Per sua madre Rita, suo padre Giuseppe e suo fratello Marco lei c’è più di sempre. Chiara è «un’assenza apparecchiata per cena», direbbe Fabrizio De Andrè. È un ricordo che non evapora mai, proprio come il profumo Chanel che sapeva di fiori e che le piaceva tanto. Il campioncino è ormai vuoto, eppure a Rita sembra di sentirlo ancora. Ogni tanto toglie il tappino e segue le tracce dell’olfatto che, vere o ingannevoli che siano, portano dritto a sua figlia, a un istante preciso vissuto accanto a lei. Eccola, rannicchiata sul divano a guardare Dirty Dancing, il suo film preferito. Sembra di vederla mentre sua madre la descrive.
Nella casa dei ricordi non c’è posto per Alberto Stasi, all’epoca fidanzato di Chiara, accusato dell’omicidio fin dall’inizio e finora sempre assolto. Non arriva nemmeno l’eco del secondo processo d’appello che deve ancora rispondere alla domanda delle domande: è stato lui oppure no a ucciderla? Per una volta qui c’è soltanto lei, troppo spesso lasciata in secondo piano dalla cronaca e dalle aule di giustizia, quasi fosse una figura minore di questa storia.
Chiara, i suoi 26 anni, i suoi sogni, le sue passioni e, soprattutto, i suoi oggetti, ancora tutti nel punto esatto in cui li ha lasciati lei. Due gattini della collezione Thun, per esempio. «Li aveva messi sul camino e lì sono» dice Rita indicandoli. La sua mente scova un vecchio flash: «Quando ci dissequestrarono la casa decidemmo di imbiancare...». Sospiro. Ci vuole un momento di pausa perché in quel ricordo ci sono le macchie di sangue per terra, sulle scale della cantina, sul muro... «Beh, abbiamo fotografato la cameretta di Chiara per poter rimettere tutto a posto esattamente dov’era».
Tutto immobile. I peluche e le bamboline, il libro sui gatti e il puzzle dorato con i putti di Raffaello Sanzio, la sveglia azzurra ferma alle 11.40 di chissà quale giorno e i libri dell’università con le note scritte a mano. Delle volte Rita li apre, appena uno sguardo sulla scrittura «e poi li chiudo subito. Qualcuno mi aiuta a non pensare cos’è successo in questa casa e come potrebbe essere oggi Chiara con i suoi 33 anni. Arrivo davanti a quel pensiero e mi fermo». Come sull’orlo di un burrone, una frenata obbligatoria per non precipitare. I quaderni con gli appunti di economia ricordano la professione sognata: da grande Chiara voleva fare la manager.
Anche i cerchietti per i capelli che lei usava spesso e i raccoglitori di fotografie sono sulla mensola dov’erano nel 2007, l’uno sull’altro. «Le foto di lei che preferisco guardare sono quelle da bambina» racconta sua madre. «Quelle degli ultimi anni mi ricordano la fine... e anche quelle delle indagini: non ho mai voluto vedere gli scatti di lei sulle scale. Ho immaginato... mi basta». Scendendo in cantina un giorno Rita ha notato «piccole ombre» sulla parte porosa di un gradino. È il sangue di sua figlia assorbito dal granito, niente potrà più eliminarlo.
Le riviste di moda sono dov’erano: accanto al letto di Chiara. E raccontano ancora un po’ di lei: «Era un’appassionata di giornali di moda – sorride Rita –. Adorava guardare le vetrine e ricordo una bellissima giornata fra un negozio e l’altro, in Val Badia, la nostra ultima vacanza insieme».
Rita era in montagna anche il 13 agosto del 2007. «Io e un’amica passeggiavamo, mio marito faceva un giro più in quota con degli amici. Mi chiamarono i carabinieri... Arrivai a un distributore di benzina che non sapevo cosa fare. La proprietaria smise di lavorare e mi aiutò mentre il soccorso alpino cercava mio marito. Sono tornata l’anno dopo dalla signora del distributore con una foto di Chiara in regalo. È stato un momento emozionante».
Emozionante è aprire l’armadio di sua figlia e vedere i suoi vestiti. Quello azzurro e la gonna nera con lo spacco, la maglietta rosa, il maglioncino a righe grigie, il vestito della laurea... Rita ogni tanto sale al piano di sopra e spalanca quelle ante. «Richiudo tutto subito», racconta. Per evitare che la disperazione vinca. Finora non è successo. «Cerco di mantenere tutto com’era. Anche in vacanza continuiamo ad andare a Falzes, in val Pusteria. C’è una radura piena di erica che mi ricorderà per sempre la meraviglia di Chiara quando la vide la prima volta. Ci torno ogni anno, ne raccolgo un rametto, glielo porto». Certo, «Chiara ne farebbe un dono prezioso», è sicura Rita. «Confezionava pacchetti bellissimi. C’è un cassetto, nel suo armadio, pieno di nastri, carta, fiocchi, coccarde...».
Anche quel dettaglio è un ricordo che luccica nel buio della sua assenza. Uno dei suoi «pacchetti bellissimi» lasciati a chi le ha voluto bene.