Federico Geremicca, La Stampa 10/8/2014, 10 agosto 2014
RENZI: “CLASSI DIRIGENTI INESISTENTI NOI SIAMO CAMBIATI, ORA TOCCA A LORO”
L’auto fila via veloce e silenziosa e lascia San Rossore, dov’è in corso la Route nazionale degli scout, diretta verso Pontassieve. Sono le sei del pomeriggio, Matteo Renzi è con la moglie Agnese (cosa rara) e mentre riassapora la vittoria nella Grande Guerra del Senato, dice che «l’umore è a mille, e non solo per la riforma varata a Palazzo Madama ma per l’intera cornice dell’azione di governo. Certo - aggiunge - se non avessimo fatto questa riforma subito, nei tempi annunciati, non l’avremmo fatta mai più. E’ la Madre di tutte le Battaglie: di questo sono sicuro».
Umore a mille, dice. Eppure: il quadro politico pare seriamente deteriorato, il Pd fibrilla, la maggioranza perde voti, Berlusconi rialza la testa e perfino Draghi - l’amico Draghi - lo richiama a darci dentro con maggior energia. Ma Matteo Renzi ha una risposta rassicurante per tutto. E potremmo, allora, dividere la lunga conversazione in tre grandi blocchi: l’incessante pressing europeo sull’Italia; le cose di casa nostra, tra rischio elezioni, tenuta del governo e rapporto con Berlusconi; e infine un inedito ed esplicito attacco alle «classi dirigenti» del Paese che «per vent’anni - dice il premier - hanno nascosto le loro responsabilità e le loro manchevolezze dietro quelle, ancor più gravi, della politica: ma ora la musica è cambiata, e sono prontissimo ad aprire un nuovo fronte polemico...».
Il crollo del Pil, dunque, l’Italia in recessione e l’allarme di Mario Draghi. Renzi ne parla, come sempre, senza fronzoli. «La frase di Draghi è: se non fa le riforme, l’Italia non è attrattiva per investimenti esteri. Bene: questa è la linea anche mia e di Padoan. Siamo d’accordo, nessun problema. Ma se qualcuno vuole interpretarla e far intendere che l’Europa deve intervenire e dire all’Italia quel che deve fare, allora no, non ci siamo. Oggi non è l’Europa che deve dire a noi cosa fare. Il Pd ha vinto le elezioni, è il partito che ha preso più voti in Europa, io e il governo siamo usciti più forti dal test di maggio e non abbiamo bisogno di spinte da Bruxelles: minimamente. Sono gli Stati, anzi, a dover indicare alla Commissione via e ricette per venir fuori dalle secche».
Gli Stati, dunque. Italia compresa. Pur in presenza di dati economici tristemente deprimenti. «Discuto volentieri di quei dati - avverte Renzi - perché paradossalmente mi aiutano a dire con più forza: dobbiamo andare avanti con le riforme. Però devo esser sincero e dirla tutta: la drammatizzazione del Pil è qualcosa che rispetto ma non condivido. Infatti, non è che l’Italia sia rientrata in recessione: non ne è mai uscita. Noi stiamo facendo cose importanti, che daranno frutti nel tempo: la riforma della Pubblica amministrazione curata da Marianna Madia, assieme alla semplificazione fiscale, saranno una rivoluzione; e l’intervento di Poletti sul lavoro ha creato 104mila nuovi occupati, dei quali - chissà perché - nessuno parla...».
Non si pensi, però, a un Renzi rivendicativo e lamentoso: non è nello stile. L’umore «è a mille» e il motore va a pieni giri: ancor di più quando si parla di cose italiane. «Non sono nelle mani di Berlusconi - dice - come ipotizza qualcuno. La maggioranza non ha problemi di numeri e non mi attende la via crucis che toccò a Romano Prodi. Mentre infuriava la Grande Guerra del Senato, il governo ha ottenuto più volte la fiducia: nessun problema. Magari non è esaltante per composizione, ma credo che la nostra maggioranza sia la più solida della Seconda Repubblica. Detto questo - conferma - è evidente che aver coinvolto Berlusconi nel processo di riforma è stata una mia, personale scelta: contestata duramente, lo so bene, dentro e fuori il Pd. Se lui non ci fosse stato, è chiaro, avremmo fatto le riforme con altri: ma io credo che, per metodo, vadano fatte con le opposizioni, con i nemici, piuttosto che con gli amici...».
E’ chiaro che se questo è lo scenario che tratteggia - ottimistico, roseo, con poche ombre - spazio o tentazioni di elezioni in primavera Matteo Renzi non ne ha. O dice di non averne. «Lei mi conosce: credo di esser l’ultimo ad aver paura del voto. Di più: personalmente mi converrebbe, perché porterei tante persone a me vicine in Parlamento. Ma quella avviata non è una battaglia che devono vincere i renziani: la deve vincere il Paese». I renziani, per ora, hanno vinto la Grande Guerra del Senato: ma anche su questo Renzi offre, il giorno dopo, una versione dei fatti meno aspra e più magnanima.
«E’ vero - dice - che la riforma del bicameralismo è passata grazie ad una sorta di patto generazionale: l’impegno e lo sforzo della giovane segreteria Pd, di ministri giovani come la Boschi, di senatori che hanno deciso di starci, favorendo un unicum costituzionale mondiale: una Camera che abolisce se stessa. Tutto vero. Ma questa riforma, se posso permettermi, più che al coraggio dei tanto irrisi “ragazzini”, si deve alla saggezza e alla lungimiranza del Presidente della Repubblica: sostegno, consigli, una parola quotidiana per tutti, per cercare di convincere i perplessi che la via imboccata era quella giusta».
Pontassieve è ormai vicina, Ma Renzi non ha finito: e proprio parlando dei vituperati «ragazzini» apre il nuovo e inedito fronte polemico di cui diceva all’inizio. «Professori, analisti, editorialisti, accademici... sono vent’anni che ci raccontano che la politica non sa fare nulla, nascondendo dietro questa incontestabile verità le loro inadeguatezze. Parlo di classe dirigente in senso generale, che ora deve fare i conti con una novità: la politica ha dimostrato di esser capace di metter mano e riformare se stessa. Non è cosa da poco. E fa risaltare una verità della quale sono sempre più convinto: in Italia non c’è una classe dirigente che resiste al cambiamento, c’è semplicemente una classe dirigente che non esiste...».
Renzi per una volta si accalora, pigia sul pedale della polemica: «Editoriali, convegni e seminari per ripetere che la politica è inconcludente e che è solo colpa sua se le cose non vanno. Luoghi comuni, tipo l’inadeguatezza culturale dei ministri più giovani che non hanno esperienza. La solita compagnia di giro che firma appelli su appelli, qualunque appello, senza nemmeno leggerlo: perché se avessero letto, come avrebbero potuto sottoscrivere la tesi che la riforma del Senato è autoritaria? Ora c’è una parte di questi salotti che, dopo aver pronosticato una nostra sconfitta alle elezioni, immagina di farmi avere una ripresa agitata a settembre: e non si rendono conto che ogni loro attacco mi spinge a darci dentro ancor di più».
E’ questo il nuovo «fronte polemico» che tenta Renzi: come se di fronti aperti non ne avesse già abbastanza. «Spero che si faccia tutti un salto in avanti, anche loro - annota mentre il viaggio è ormai finito -. E’ il Paese ad averne bisogno. Questa storiella che è tutta colpa della politica, non regge più: abbiamo dimostrato di saper cambiare. Ci provino anche loro, adesso. Ma ci provino sul serio, invece di firmare appelli perfino contro il raduno nazionale dei boy scout...».
Federico Geremicca, La Stampa 10/8/2014