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 2014  agosto 10 Domenica calendario

L’ATTRAZIONE FATALE DELLE STELLE

Novantanove anni fa, mentre l’Europa si lanciava baldanzosa verso la sua catastrofica ecatombe, un Albert Einstein trentaseienne inviava a una rivista scientifica l’articolo con le equazioni finali della relatività generale, certo non sospettando quanti e quali straordinari aspetti del mondo queste avrebbero svelato. Le equazioni erano complicate e Einstein non si aspettava di poterne trovare soluzioni esatte. Invece, solo poche settimane dopo, nel gennaio del 1916, Einstein riceve una lettera da un tenente d’artiglieria dell’esercito tedesco. «Come vedrete, la guerra è stata abbastanza indulgente da autorizzarmi, nonostante il fuoco delle mitraglie, una escursione nel territorio delle vostre idee». Così gli scriveva Karl Schwarzschild annunciandogli che aveva trovato una soluzione esatta delle sue equazioni. Quattro mesi dopo, Karl Schwarzschild muore per una malattia contratta sul fronte russo.
La soluzione di Schwarzschild descrive l’attrazione di una massa sferica, come la Terra o una stella. Se la massa è abbastanza estesa, questa è esattamente la forza di gravità descritta da Newton tre secoli prima e che abbiamo tutti studiato a scuola. Ma se la massa è più concentrata, la forza descritta dalle equazioni di Einstein è più intensa della forza di Newton, e ha come effetto di rallentare gli orologi. Ma c’è qualcosa di strano nella soluzione trovata da Karl Schwarzschild: se la massa è estremamente concentrata, esiste una superficie dove qualunque orologio si fermerebbe. Dove il tempo smetterebbe di passare. Che significa?
Einstein prende subito una delle sue (numerose) cantonate sostenendo che questa superficie, chiamata oggi la «superficie di Schwarzschild», o «la superficie del buco nero», sia comunque irraggiungibile. Scrive addirittura un articolo (sbagliato) per sostenere che non ci possono essere oggetti descritti dalla soluzione di Schwarzschild. Gli altri teorici non sono da meno, e molte sciocchezze vengono dette e scritte. Per capire cosa davvero succede al «raggio di Schwarzschild» si sono dovuti attendere gli anni sessanta quando matematici e fisici cominciano a sbrogliare la matassa e comprendono che la «superficie di Schwarzschild» non è per nulla un limite invalicabile. Anzi, lo si può attraversare senza alcuna difficoltà. Invece, è il limite della regione dove la gravità è così forte che nulla, neppure la luce, può più uscire. John Wheeler, maestro nell’uso delle parole, trova subito il nome fortunato per questo fenomeno: buco nero. Un buco nero è una massa così compatta, così schiacciata su sé stessa che nulla può più scappare dalla sua tremenda forza di attrazione, neppure la luce. Un raggio di luce sulla sua superficie, resta lì, senza muoversi, senza riuscire a uscire, congelato. Niente esce da un buco nero, tutto può entrarvi.
La questione tuttavia sembrava più accademica che scientifica, perché affinché esista questa «superficie di Schwarzschild» bisogna avere una massa davvero esageratamente compatta. Per esempio dovremmo comprimere l’intera massa della Terra dentro una biglia di un centimetro, prima che diventi un buco nero. Non ci possono essere cose così compresse nell’universo, non si può mica schiacciare l’intero pianeta Terra dentro una pallina da ping pong!... così almeno sembrava chiaro a tutti. Ancora quando ho studiato la relatività generale all’università verso la fine degli anni settanta, il capitolo del libro sui buchi neri sosteneva che questi fossero una curiosità matematica e nient’altro. Strane soluzioni delle equazioni di Einstein, così diceva il mio libro di testo, «ma non c’è nulla di simile nel nostro mondo reale».
Si sbagliava. Come spesso si sbagliano i libri di testo. Già nel 1972, un oggetto molto compatto e oscuro nella costellazione del Cigno suscita la curiosità degli astronomi. Viene chiamato Cigno X-1. Un’altra stella gli ruota intorno molto veloce. Un buco nero, dirà John Wheeler, è come un uomo vestito di nero che balla il valzer in una sala poco illuminata con una dama vestita di bianco. Sappiamo che c’è solo perché vediamo una stella chiara volteggiargli intorno. Gli astronomi si concentrano su Cigno X-1. Riescono ad osservare la luce della materia che si incendia spiraleggiandogli intorno sempre più vicina, per poi scomparire inghiottita dal nulla. Ben presto si vedono altri oggetti simili nel cielo. Tutte le altre spiegazioni diventano via via sempre meno plausibili. La conclusione alla fine è inevitabile: il cielo è pieno di buchi neri. Oggi si stima che solo nella nostra galassia ci siano diverse decine di milioni di buchi neri simili a Cigno X-1.
Ma c’è di più. Già dai primi anni trenta si sapeva che le comunicazioni transatlantiche erano disturbate da una strana sorgente di onde radio. Nel 1974 ci si rende conto che la sorgente di queste onde è fuori dalla Terra: le onde vengono dalla costellazione del Sagittario, dal centro della nostra galassia. Le osservazioni si concentrano su questa sorgente, chiamata Sagittarius A*, e pian piano emerge qualcosa di impressionante: nel centro della nostra galassia c’è un buco nero immenso. La sua massa è un milione di volte quella del Sole. Gli ruotano intorno molte stelle. Ogni tanto qualcuna di queste si avvicina troppo a questo mostruoso Polifemo galattico e l’intera stella viene ingoiata come fosse un pesciolino.
Oggi gli astronomi stanno mettendo a punto una rete di grandi antenne radio, estesa dall’Artico all’Antartico lungo le Montagne Rocciose e le Ande, che dovrebbe riuscire presto a "vedere" la superficie ribollente del mostro, dove si accalcano stelle, polvere galattica e detriti di ogni genere, vorticando furiosamente in un tumulto infernale prima di precipitare nel pozzo nero e senza fondo.
Simili buchi neri /giganteschi sono stati osservati nel centro di quasi tutte le galassie. Alcuni di questi sono oggetti furenti, che divorano enormi quantità di stelle a gas interstellare in continuazione, la materia che vi precipita ribolle violentemente raggiungendo temperature di milioni di gradi, producendo raggi di energia gigantesca, che illuminano gli spazi intergalattici. Gli eventi più violenti che osserviamo nell’universo, come i segnali intensi e misteriosi che nel passato erano chiamati quasar, sono prodotti da questi titani, talvolta luminosi come un’intera galassia di cento miliardi di stelle. Potete immaginare una tempesta galattica prodotta da un mostro grande un miliardo di volte il Sole che si dibatte?
E questo non è che l’inizio della fantastica storia dei buchi neri... Il resto ve lo racconto le prossime due settimane.
Carlo Rovelli, Domenicale – Il Sole 24 Ore 10/8/2014