Adriana Castognoli, Il Sole 24 Ore 10/8/2014, 10 agosto 2014
IL NUOVO SCENARIO STRATEGICO SUL PACIFICO
Il Pacifico è un’area di confronto sempre più ravvicinato fra grandi potenze. La ricorrenza del 120° anniversario d’inizio della prima guerra cino-giapponese, il 25 luglio 1894, ha scatenato commenti e discorsi dei leader cinesi che intendono dimostrare di aver appreso la lezione della storia con la sconfitta e l’umiliazione subite nel 1895 dal Giappone. Per rafforzare il messaggio Pechino ha dato corso a esercitazioni militari su vasta scala. Tuttavia, negli ultimi due anni, le dispute territoriali nel Mare della Cina e il varo del programma di riforme dell’esercito e del partito comunista, intrapreso dal presidente Xi Jinping, hanno risvegliato le tendenze militariste del governo nipponico di Shinzo Abe. D’altronde, conglomerate come Mitsubishi e Kawasaki possiedono conoscenze e capacità organizzative per produrre armamenti tecnologicamente sofisticati. Ma l’aumento congiunto delle spese militari di Giappone, Vietnam e Corea del Sud, in risposta alle iniziative cinesi, resta al di sotto di quello di Pechino.
I riflessi di un nuovo scenario strategico nel Pacifico sono riscontrabili tanto nelle decisioni di Washington, che sta spostando il centro dei propri interessi militari in Asia, quanto nei rapporti di collaborazione stabilitisi fra India e Giappone nelle esercitazioni navali, un tempo bilaterali fra Nuova Delhi e gli Usa. Ma la questione più controversa è che, per la prima volta, la Marina cinese ha ottenuto di unirsi alle esercitazioni navali in corso nel Pacifico (Rimpac), iniziate nel 1971 per impulso degli americani per far fronte all’allora minaccia sovietica, e che oggi coinvolgono 22 Paesi. Questo debutto di Pechino, se da una parte è un segnale distensivo nei suoi rapporti con Washington, dall’altro pone complessi problemi politici (oltreché legali in quanto la legge americana vieta ogni forma di cooperazione che possa permettere alla Cina di ottenere know-how di interesse militare) sia per i timori del Congresso, sia per la presenza nel Rimpac di Giappone e Filippine, alleati degli Usa, e con i quali Pechino ha in corso intense dispute territoriali.
Tuttavia lo snodo cruciale è che Usa, Cina e, in parte, Giappone sono modelli politici ed economici antitetici, i cui effetti in termini di potenza e leadership si misurano dall’influenza che esercitano sul resto del mondo. Secondo uno studio per il Committee of Foreign Relations del Senato, la Cina costituisce un modello di sviluppo e modernizzazione che può indebolire gli sforzi americani per promuovere democrazia, diritti umani e libero commercio nelle regioni in via di sviluppo come Africa e America Latina. I programmi cinesi di aiuti in Africa sono stati in parte mutuati da quelli di Tokyo. Ma il Giappone fa parte dell’Ocse, invece la Cina agisce unilateralmente.
Fra i modelli di ascesa economica del Giappone e della Cina ci sono stati alcuni elementi analoghi e altri di forte differenziazione. La National Development and Reform Commission cinese, per esempio, è un’agenzia con funzioni simili a quelle svolte dal Miti giapponese. A sua volta, il governo di Tokyo ha sovente lavorato insieme con il settore privato per far valere interessi nazionali. In particolare, il Giappone è stato un modello importante per la Cina alla fine degli anni 70, quando Deng Xiaoping dichiarò più volte che Pechino avrebbe dovuto imparare dal Giappone. Ma il gap tecnologico della Cina con i Paesi avanzati era elemento strutturale di debolezza che Tokyo, a suo tempo, non accusava. Così il Giappone ha potuto creare imprese di primordine in grado di competere a livello internazionale: tant’è che gli Usa rimasero preoccupati della potenza nipponica, negli anni 80 e i primi 90, fino a quando la stagnazione ne bloccò l’espansione nel 1997.
Oggi, fra le grandi imprese cinesi poche controllano le tecnologie core nei rispettivi settori. Se in passato l’Occidente pensava di avere qualcosa da imparare dal Giappone pochi considerano la Cina da emulare tranne alcuni Paesi in via di sviluppo. Sennonché è l’influenza che Pechino può esercitare su di loro che segna la preminenza geopolitica della Cina rispetto al Giappone.
Adriana Castognoli, Il Sole 24 Ore 10/8/2014