Ilaria Zaffino, la Repubblica 10/8/2014, 10 agosto 2014
SKYLINE 2020
Si era detto basta. Dopo l’11 settembre mai più giganti di vetro avrebbero dovuto svettare nelle skyline delle nostre città. Sembrava che per i grattacieli fosse stata irrimediabilmente scritta la parola fine, da quel momento la città sarebbe stata orizzontale. E invece. L’aspirazione dell’uomo a oltrepassare i limiti, che dalla torre di Babele alle piramidi egiziane, dalle cattedrali gotiche all’Empire State Building non si è mai fermata, è riuscita a superare anche quello choc estremo (le Twin Towers sono state rimpiazzate giusto quest’anno dal One World Trade Center, 541 metri di altezza, che non sono pochi) e a produrre e immaginare colossi che nel giro di qualche decennio saranno in grado di risolvere molti dei problemi che affliggono le nostre città.
Per i grattacieli il 2013 è stato il secondo anno migliore di sempre con il completamento di oltre settanta edifici alti più di duecento metri. Ma non solo: tante sono le “dream towers” sulla carta o quelle per le quali è già stata gettata la prima pietra, che vedranno la luce di qui al 2020. E ancora di più sono i megacolossi progettati, che ogni anno vincono concorsi di architettura futuribile, o anche solo immaginati da qualche utopista del XXI secolo innamorato di città verticali. Uno di questi è Vasily Klyukin, un imprenditore russo di trentasette anni, che nel suo Designing Legends ragiona per immagini sull’architettura di dopodomani. «Non di domani», precisa nell’introduzione al librone fotografico appena uscito in Italia per Skira (a cura di Paola Gribaudo), «perché i grandi edifici, in particolare le torri, hanno bisogno di parecchi mesi per essere progettati e di molto più tempo per essere costruiti». Per questo, parte da fotografie reali di oltre cento città di ogni continente sulle quali inserisce architetture verticali visionarie. Con risultati sorprendenti, che c’è da scommetterci potremmo vedere realizzati di qui a vent’anni.
Con il crollo delle Torri Gemelle però, sostengono architetti e archistar, a cambiare per sempre è stata l’idea stessa di grattacielo. «La tendenza per il futuro, soprattutto nel mondo occidentale, non è più la corsa all’edificio più alto per affermare la propria potenza, quanto la ricerca di quello più efficiente, produttivo, in un certo senso autosufficiente: come una macchina che respira, si autoalimenta e dà qualcosa in più all’ambiente in cui si inserisce. Di qui l’idea di grattacieli come grossi serbatoi per accumulare e recuperare l’acqua, o la spazzatura. Ma anche per filtrare l’aria e produrre energia» sostiene Davide Scrofani che, insieme a Ferdinando Mazza e Giuseppe Francone dello studio DFG Architetti, ha vinto quest’anno il premio internazionale Singapore Skyscraper, unici italiani tra i primi trenta classificati. Il loro progetto è anche arrivato primo al concorso Young Italian Architect 2014 riservato agli under35. Alla base, l’utilizzo del bamboo come materia prima per rivestire l’ossatura in acciaio del grattacielo. «Un materiale finora inedito per le megastrutture, ma altamente sostenibile, facilmente reperibile ed economico, soprattutto in contesti come quello di Singapore e dell’Asia in generale dove è molto più utilizzato che da noi» continua Scrofani. Le impalcature di bamboo, che ritornano anche in altri progetti premiati quest’anno all’eVolo Skyscraper Competition (l’altro concorso che mette in mostra le architetture più provocatorie, visionarie ed ecofriendly di domani), servirebbero infatti come giardino verticale, per restituire un po’ di verde alla città, e come stabilizzatori durante i terremoti. Tra i progetti allo studio c’è persino chi sogna una “Babele di sabbia” nel mezzo del deserto: abbiamo capito bene, un immenso edificio fatto tutto di sabbia (sintetizzata attraverso una stampante 3D). Per l’Amazzonia invece è stato pensato un enorme acquedotto in grado di catturare l’acqua piovana durante la stagione delle piogge per poi irrigare il terreno nella stagione secca. O, ancora, torri che funzionano come serre, altre il cui obiettivo è contenere i gas serra all’interno evitandone il rilascio nell’atmosfera. E per quanto riguarda i materiali “eco” che presto vedremo utilizzati non c’è solo il bamboo: ci sono quelli in fase di collaudo come i nuovi cementi, le nuove leghe metalliche e quelli ancora solo immaginati come il grafene e le bioplastiche, in fase di studio in laboratorio o sotto forma di piccoli prototipi.
In questo contesto, non sorprende che la corsa a sfiorare il cielo sia tutta spostata a est, con Cina e Arabia Saudita in prima linea, che se la battono colpo su colpo: l’attuale primato della Burj Khalifa di Dubai, ben 828 metri di acciaio e calcestruzzo, sarà infatti presto battuto dalla Kingdom Tower di Jeddah che, prima al mondo, nel 2019 toccherà il chilometro di altezza. E tra i grattacieli che arriveranno nel prossimo futuro, l’ultimo annuncio risale a poco più di un mese fa: le Phoenix Towers di Wuhan, in Cina, due torri che ospiteranno all’interno una serie di stazioni per purificare l’aria. Con i loro mille metri di altezza dovrebbero uguagliare la torre di Jeddah. La sfida continua.
Ilaria Zaffino, la Repubblica 10/8/2014