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 2014  agosto 10 Domenica calendario

ELLROY SFIDA LA PSICOSI GIALLA DELL’AMERICA


«Per uno scrittore ascoltare Beethoven è fondamentale: non esiste un libro che illustri l’importanza della struttura, dei temi che si ripetono, del crescendo e del diminuendo come le sue sinfonie. Vuoi imparare come si scrive un incipit scioccante, o come si fa crescere progressivamente la tensione? Ascolta la Quinta di Beethoven. Non esiste di meglio: Poe, i film di Hitchcock, sono tutti dentro lì». Qualche anno fa, Joe R. Lansdale spiegava così al «Corriere della Sera» uno dei motivi della sua passione per Beethoven: il compositore è, per lui, un maestro di scrittura.
James Ellroy è un altro scrittore di noir che adora Beethoven, e la sua passione non è mai stata visibile — nel suo abbondante corpus di romanzi, racconti, e libri di true crime — come in Perfidia , in uscita negli Usa il 9 settembre e in Italia a febbraio 2015, da Einaudi Stile libero, che «la Lettura» ha letto in anteprima. Perfidia è il primo capitolo di un nuovo «quartetto»: arriva dopo quello composto da Dalia nera , Il grande nulla , L.A. Confidential e White Jazz sulla Los Angeles immediatamente post-bellica fino al grande boom anni Cinquanta, dal 1946 al 1958, e dopo la trilogia di American Tabloid , Sei pezzi da mille e Il sangue è randagio che indaga nei bassifondi della storia americana dal 1958 al 1972, dall’ascesa di JFK al Watergate.
Perfidia racconta i giorni immediatamente precedenti e quelli successivi — dal 6 al 29 dicembre — all’attacco di Pearl Harbor (7 dicembre 1941), ed è popolato da molti personaggi dei suoi romanzi, sia di quelli della prima tetralogia losangelina che di quelli di American Tabloid . Ma con Perfidia — il romanzo prende il nome da una canzone classica degli anni Quaranta, la versione più famosa è quella di Glenn Miller e della sua orchestra — a Ellroy riesce, per la prima volta, un gioco di prestigio che lascia a bocca aperta anche chi lo considera un gigante della narrativa americana di questi anni: qui non solo affianca i suoi «vecchi» personaggi come il poliziotto supercattivo (ed ex terrorista dell’Ira) Dudley Smith a quelli realmente esistiti — il futuro capo della polizia William Parker, l’arcivescovo Cantwell, il sommo pianista Vladimir Horowitz e il direttore Leonard Bernstein in un cameo a una festa hollywoodiana, un’allarmante Bette Davis, Clark Gable in una bisca che sventola una foto compromettente di Cary Grant.
Stavolta Ellroy è interessato alla Storia con la maiuscola più che alle «controstorie» underground della trilogia di American Tabloid , Sei pezzi da mille e Il sangue è randagio . Il motore della trama di Perfidia (un pretesto) è l’indagine sulla morte misteriosa — un suicidio rituale? — di una famiglia giapponese, i Watanabe, sulla quale lavora anche un tecnico della scientifica nippoamericano, Hideo Ashida, un Csi ante litteram che cerca di salvare la famiglia dal campo di prigionia. Ma l’affresco che Ellroy dipinge in tempo reale, con il suo stile ridotto all’osso e martellante, è quello della psicosi del «pericolo giallo» con l’incombente progetto di Roosevelt che prevede l’internamento dei giapponesi d’America. Ma c’è già chi combatte un altro pericolo, quello sovietico, prima ancora che l’America entri in guerra dalla stessa parte dell’Unione Sovietica — Kay Lake, la protagonista di Dalia Nera , uno dei personaggi più belli della bibliografia ellroyana, qui ha soltanto 21 anni e finisce infiltrata tra i comunisti di Hollywood.
C’era già chi, alla vigilia di una Guerra mondiale, stava raccogliendo prove per combatterne un’altra, fredda, contro l’Urss. Se la prima tetralogia era incentrata su Los Angeles, la sua corruzione, la sua agghiacciante polizia, il ciclo di Underworld Usa aveva cercato di scrivere una «controstoria»: come spiegava l’autore nella prefazione di American Tabloid , «una nuova mitologia… è ora di tuffarsi nella storia di alcuni uomini malvagi e del prezzo che hanno pagato per scrivere, in segreto, la storia del loro tempo». E in quella trilogia mescolava personaggi storici — i Kennedy, J. Edgar Hoover, Howard Hughes — con i suoi eroi molto cattivi, personaggi inventati, certo, ma che per l’autore sono reali come quelli esistiti davvero. Ellroy infatti scherza su tutto, quando incontra i lettori e gli intervistatori (in primis sulle sue idee politiche che dipinge come grottescamente autoritarie con una serie di boutade che la sua ex moglie catalogava serenamente come bullshit ), ma non scherza mai sui suoi personaggi: inutile chiedergli cosa sia successo a qualche personaggio minore, come e quando siano morti, o se siano ancora vivi ai giorni nostri. Non lo rivelerà mai, e assicura di sapere perfettamente quello che è successo loro, anche se non l’ha (ancora?) raccontato nei libri.
Ellroy ha disegnato, nella sua mente, la genealogia dei suoi personaggi in un affresco che sta assumendo, con questa tetralogia che lo terrà impegnato ancora per un decennio, dimensioni ossessive da far impallidire anche l’ombra del povero J. D. Salinger, scomparso quattro anni fa dopo decenni passati nel New Hampshire, rinchiuso nel suo bunker a ripercorrere la genealogia della sua famiglia Glass. Ma la famiglia Glass di Ellroy è una versione infernale di quella di Salinger, fatta di poliziotti corrotti ed etilisti, ricche signore tossicomani.
Dal nichilismo di Ellroy non si salva neanche la religione: ecco alti prelati dall’antisemitismo conclamato, e il primo arcivescovo cattolico di Los Angeles, Sua Eminenza J. J. Cantwell, che nel romanzo se la prende con la Guerra scatenata a dir suo da «negracci e banchieri giudei», inveendo contro il democratico Roosevelt che chiama «il vigliacco ebreo Rosenfeld». Non poteva mancare uno dei protagonisti di American Tabloid , Ward Littell. Ed ecco Buzz Meeks e Lee Blanchard: tutti più giovani, non ancora trionfanti ma già molto cattivi. Mai però come J. Edgar Hoover: sempre con un fiore fresco all’occhiello, sempre dispiaciuto dell’altrui volgarità, ma il più cattivo di tutti. Che aveva già capito come la geopolitica — la Storia — giocava a suo favore.