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 2014  agosto 10 Domenica calendario

I DOLCI TORMENTI DI INDRO

«Ripensando alla sua lunga esistenza, alle relazioni che ebbe, ai suoi affetti, credo oggi che la vera donna della vita di Indro Montanelli sia stata sua madre Maddalena. Fino alla fine cercò quella stessa figura: intelligente, carica di umorismo, accogliente e affettuosa. Lei non lo abbracciava: lo avvolgeva. Ritrovò questa figura nella piena maturità, lo dico sinceramente, con Marisa Rivolta». Estate, un agosto romano non rovente. La casa di Roberto Gervaso si affaccia sul Colle Oppio, sulla destra si scorge il Colosseo. L’ideale per una incursione nella miniera di ricordi di quel sodalizio Montanelli-Gervaso che professionalmente produsse diciotto milioni di copie de La storia d’Italia a doppia firma. E umanamente? «Ci fu sicuramente tra noi una componente legata alla mancata paternità di Montanelli. Lui aveva 28 anni più di me. Quando lo conobbi io avevo 18 anni, avevo appena sostenuto la maturità, era il 1956. Lui era da tempo un maestro del giornalismo. Cominciammo con il lei, poi passammo al tu, ma lui mi chiamava sempre Robertino». Si ironizzò su questo legame, si parlò di una paternità naturale… Gervaso sorride: «Una fesseria. Attribuirono molti figli a Montanelli. Nel 2003 incontrai a Milano Gabriella di Savoia che mi sorrise: “Eccoci qui, allora noi saremmo fratelli!”. Si era detto anche di lei, poiché Montanelli aveva avuto un flirt con Maria Josè, l’ultima regina».
Il gomitolo delle memorie montanelliane di Gervaso parte proprio da un luglio romano, il 31 del 1956, e dalla governante Natalia, che gli aprì alle 13.30 la porta dell’appartamento di piazza Navona 93, piano attico e celebre terrazzo su sant’Agnese in Agone: «Gli avevo inviato una raccomandata espresso piena di ammirazione, chiedendogli di conoscerlo. Per un caso del destino, lui che non leggeva mai le lettere nella redazione romana del “Corriere della Sera” di via della Mercede 37, aprì la mia e mi invitò a pranzo. Natalia mi fece accomodare a tavola. Lei gli organizzava un po’ tutto. Aveva un bel carattere…». Ecco, il carattere forte, altro dato comune alle donne di Indro. Natalia lo aveva: «Si sentiva un po’ la padrona di casa. Più tardi scoprii che addirittura, finite le faccende, leggeva i dattiloscritti di Montanelli sulla scrivania. Se non le piaceva un verbo, un passaggio, prendeva la penna e cambiava». Ma come, Montanelli corretto dalla governante? «Lui era fatto così, alla fine era un buono e un accomodante, naturalmente solo quando voleva. Lasciava fare, capiva, e ricorreggeva».
Certamente dolce non fu, assicura Gervaso, la prima moglie di Indro Montanelli, Margarethe De Colins De Tarsienne, austriaca: «Si sposarono nel 1942 e nell’immediato dopoguerra erano già separati. Non poteva durare. Lei cercava di dominarlo, ma senza alcun romanticismo. Per esempio gli imponeva bagni a 40 gradi e poi lo vestiva all’austriaca, da tirolese. Figuriamoci Montanelli… Me lo raccontava ancora con un filo di terrore, dopo anni e anni».
E poi ecco il lunghissimo sodalizio con Colette Rosselli, all’anagrafe Colette Cacciapuoti: «Anche lei tentò di dominarlo e guidarlo per tutta la vita. E ci riuscì. Lui se ne innamorò davvero. Lei era alta, bella, imponente, dal tratto aristocratico. Francesco Cossiga mi confidò che era figlia naturale del re britannico Giorgio V. Montanelli ne subiva indubbiamente il fascino». Ma non fu, almeno questa è la percezione nelle memorie di Roberto Gervaso, una storia semplice né distensiva: «Colette, agli occhi di lui, aveva il gran merito di organizzargli perfettamente l’esistenza quotidiana. La casa, i rapporti con gli amici, addirittura il guardaroba: lei portava a domicilio il gran sarto Caraceni e gli sceglieva le cravatte. Ma quando andavi a pranzo da loro, lì a piazza Navona, sentivi l’elettricità nell’aria persino quando lui le chiedeva “passami il sale”. Per dirne una, fu lei a licenziare la famosa Natalia quando scoprì delle correzioni. Lui tollerava, l’ho detto. Lei non era disposta a farlo». Gervaso scoppia a ridere: «Non è un caso che la chiamassero Enterocolette. Non saprei dire, adesso, se fosse stato Indro stesso a coniare il nomignolo o Ricciardetto».
Che genere di differenze c’erano, tra loro? «A lei piaceva frequentare l’alta società, l’aristocrazia, se aveva in mente una bella serata pensava all’Excelsior, amava Proust, era una perfezionista, conosceva i migliori vini. Lui adorava le bettole toscane, avrebbe mangiato solo pasta e fagioli o la fiorentina, beveva vino allungato con l’acqua e lei inorridiva, non aveva mai letto Proust ma mi aveva insegnato i segreti del ritratto giornalistico spingendomi a studiare Svetonio, Tacito, Teofrasto, Cornelio Nepote, Plutarco». I due però si sposarono, anche se tardissimo: «Sì, nel 1974. Montanelli da poco aveva cominciato la relazione con Marisa Rivolta, a Milano. Gli chiesi il perché di quella strana scelta. E lui: “Perché non voglio sentirmi in colpa”. Come ho detto, penso che gli anni più sereni, quelli della pienissima maturità, siano merito di Marisa. Giocando con un parallelo con gli animali, Colette era un pitbull e Marisa un coniglietto d’angora. Magari Colette sarebbe stata capace di coccolare un gattino, anche d’angora, ma per temperamento non Indro. Con Marisa, sì, fu un’altra cosa».