VARIE 9/8/2014, 9 agosto 2014
APPUNTI PER GAZZETTA - OBAMA BOMBARDA L’IRAQ
REPUBBLICA.IT
BAGHDAD - Gli Stati Uniti hanno intensificato le loro operazioni in Iraq contro le forze dello Stato Islamico, lanciando nuovi attacchi aerei per bloccarne l’avanzata verso Erbil, capoluogo della regione autonoma del Kurdistan iracheno, e proseguendo nella distribuzione dall’alto di acqua e viveri alla popolazione yazida in fuga nelle montagne del nord-ovest dai fondamentalisti sunniti. Ma l’emergenza per la minoranza non è affatto risolta, anzi: trecento famiglie nei villaggi di Koja, Hatimiya e Qaboshi, in tutto quattromila persone, sarebbero state circondate da miliziani, che minacciano di ucciderle se non si convertono all’Islam. L’allarme è stato lanciato da alcuni testimoni.
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Nuovi raid. I raid dei caccia americani contro gli estremisti sunniti dello Stato Islamico, ha detto il presidente Barack Obama in un messaggio alla nazione, "proseguiranno finché sarà necessario". Obama ha anche spinto la politica irachena a trovare finalmente un accordo sul governo, su cui la trattativa è bloccata da mesi, dopo il voto della scorsa primavera. E poi ancora: "Non credo che basteranno settimane per risolvere la situazione in Iraq", per far sì che l’esercito iracheno sia autosufficiente.
Obama: "Ma non torneremo in Iraq". Il presidente sta cercando di rassicurare più che può gli americani, spaventati da un impegno Usa in Iraq. E lo stesso Obama, che ha fatto del ritiro delle truppe Usa da Iraq e Afghanistan un pilastro della sua presidenza, teme i contraccolpi di questo intervento. E infatti, nel messaggio settimanale agli americani, ha detto che "come comandante in capo, non permetterò che gli Stati Uniti siano trascinati in un’altra guerra in Iraq. Le truppe americane non torneranno a combattere lì perché non c’è una soluzione militare americana alla crisi".
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E ha concluso: "Gli Stati Uniti non possono e non devono intervenire ogni volta che c’è una crisi. Ma quando innocenti si trovano ad affrontare un massacro e noi abbiamo la possibilità di prevenirlo, gli Stati Uniti non possono guardare da un’altra parte". In un’intervista al New York Times, Obama ha anche ribadito la posizione di Washington rivolgendosi alle varie fazioni irachene: "Saremo vostri partner, ma non faremo il lavoro al posto vostro. Non invieremo nuovamente le nostre truppe sul terreno per mantenere il coperchio sulle cose. Dovrete mostrarci che avete la volontà e siete pronti a mantenere un governo iracheno unito e fondato sul compromesso".
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Caccia Usa contro gli jihadisti. In una nota del Pentagono, si legge che droni e jet militari hanno colpito due volte una posizione dei combattenti sunniti "eliminandoli con successo". In seguito, i jet hanno neutralizzato con otto bombe un convoglio di veicoli e una postazione d’attacco vicino Erbil, dove gli Usa hanno una sede diplomatica. E dove torneranno ad atterrare i voli della Turkish Airlines, limitati ai collegamenti diurni, sospesi ieri per motivi di sicurezza. Poi, in serata (ora irachena) l’aviazione Usa ha lanciato nuovi raid contro i militanti dello Stato islamico nell’area di Khazar, località situata tra la città di Mosul e quella di Erbil. Qui sarebbero stati uccisi almeno 20 jihadisti, e feriti altri 55. Il Comando centrale degli Stati Uniti ha diffuso un video che mostra il primo attacco aereo Usa sull’Iraq, realizzate con una termocamera. Mostra vari obiettivi colpiti da quattro jet da combattimento della marina militare F/A 18, vicino alla città di Erbil.
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E gli aiuti umanitari. Per la seconda notte consecutiva, aerei militari statunitensi - cui si stanno aggiungendo anche aerei britannici e francesi - hanno anche lanciato viveri e acqua alle decine di migliaia di profughi iracheni, soprattutto cristiani, bloccati sulle montagne di Sinjar, nella zona nord occidentale dell’Iraq, dove si sono rifugiati a seguito dell’avanza dei miliziani dell’Isis che minaccia ora la regione autonoma del Kurdistan. Tra le decine di migliaia di persone in fuga sulle montagne aride del nord-ovest, senza acqua né cibo, c’è anche l’antica comunità curdofona religiosa degli yazidi, che gli estremisti sunniti considerano alla stregua di "adoratori del demonio". Per loro ha parlato Vian Dakhil, deputato e membro della comunità yazida, con una ferma richiesta di aiuto: "Ci restano solo uno o due giorni per portare loro soccorso. Dopo, cominceranno a morire in massa. Se non diamo adesso un po’ di speranza, il loro morale sprofonderà. E moriranno".
I curdi uccisi dall’Is. Da parte curda, Fouad Hussein, segretario generale della presidenza, in conferenza stampa a Erbil, ha dichiarato che circa 150 peshmerga, i combattenti curdi, sono stati uccisi e più di altri 500 sono rimasti feriti negli scontri che li hanno contrapposti ai jihadisti sunniti dall’inizio della loro offensiva, il 9 giugno. C’è poi la storia, confermata dalla polizia di Kirkuk, di una donna di 40 anni giustiziata dall’Isis per aver imprecato contro i jihadisti e cercato di convincere i commercianti di un mercato locale a non vendere loro alcuna merce. E’ stata uccisa a colpi d’arma da fuoco nei pressi della sua casa, nel villaggio di Al Zab, a sud-ovest di Kirkuk. Soraya al Jubury, il suo nome, era vedova di un membro delle milizie Sahwa (risveglio), fondate alcuni anni fa tra la comunità sunnita per combattere la presenza di al-Qaeda in Iraq. Anche il figlio fa parte delle stesse milizie, ma è in servizio in un’altra città.
Mogherini: "L’Italia con gli iracheni". Il ministro degli Esteri Federica Mogherini a SkyTg24 ha comunicato lo stanziamento di un milione di euro in aiuti umanitari e sottolineato la vicinanza dell’Italia agli iracheni e "soprattutto ai curdi, che stanno facendo un lavoro molto duro e difficile di contrasto" ai miliziani sunniti. I raid aerei Usa, infatti, ha spiegato Mogherini, riferendo di un suo colloquio con il presidente curdo Massoud Barzani, "sono effettivamente molto importanti" per il governo autonomo curdo, in quanto "consentono loro di organizzare la reazione militare" all’offensiva dello Stato Islamico. Alle parole del ministro sulla "reazione militare" curdo-irachena fa eco la notizia che almeno quaranta miliziani dell’Isis sono stati uccisi a Tuz Khurmatu, nella provincia di Salah al Din, dall’aviazione irachena in coordinamento con i peshmerga.
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I terroristi agli Usa: "Codardi, mandate soldati". Obama non ha per ora fissato una data per la fine dei raid, ma ha assicurato che non saranno inviate truppe di terra. Esattamente quanto chiedono i "terroristi", provocando la Casa Bianca in un video, pubblicato da vice media, in cui sfidano gli Usa a inviare i loro soldati invece dei droni. E’ il portavoce dell’Isis Abu Mosa a rivolgersi così all’America: "Dichiaro agli Stati Uniti che è stato creato il califfato islamico. Non siate vigliacchi, attaccandoci con i droni. Mandate i vostri soldati invece, quelli che abbiamo umiliato in Iraq. Lo faremo ovunque e alzeremo la bandiera di Allah sulla Casa Bianca".
REPUBBLICA.IT DI IERI
BAGDAD - L’aviazione Usa ha avviato i primi raid mirati contro i miliziani dello Stato islamico (Is) nel nord dell’Iraq. Il presidente americano Barack Obama ha reso noto di aver autorizzato l’operazione, così come il lancio di aiuti umanitari alla popolazione in fuga dalle zone occupate dagli islamisti. "Oggi ho autorizzato bombardamenti aerei mirati in Iraq per colpire i terroristi, proteggere il personale americano e prevenire un potenziale genocidio. Ho autorizzato anche il lancio di aiuti umanitari a favore della popolazione irachena in difficoltà", ha affermato il capo della Casa Bianca in una dichiarazione in diretta tv. "Non potevamo chiudere gli occhi", ha proseguito, precisando che i caccia americani entreranno in azione "se necessario e i bombardamenti saranno mirati". Per ora non c’è una data precisa per la fine dei raid: si continuerà a oltranza.
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I jihadisti conquistano la diga più grande del Paese. Dopo quello del primo pomeriggio, i caccia-bombardieri Usa hanno effettuato in serata un’altra serie di bombardamenti aerei contro obiettivi degli jihadisti sunniti dello Stato Islamico (Is) nel nord dell’Iraq. Lo riferisce la rete Usa Cnbc. Il Pentagono ha chiarito che i bombardamenti sono stati due: il primo effettuato da un drone che ha neutralizzato una postazione di fuoco di mortai; il secondo da caccia-bombardieri contro un convoglio dello Is vicino a Erbil. Dallo staff del presidente della regione curda irachena è arrivata inoltre una brutta notizia: "I miliziani dello Stato Islamico hanno conquistato la più grande diga del Paese", nei pressi di Mosul. Una presa strategica, in quanto con la diga potrebbero aggirare blocchi alimentari ed energetici delle truppe ufficiali.
Centinaia di donne rapite dai jihadisti. Il portavoce del ministero dei diritti umani dell’Iraq Kamil Amin ha riferito che centinaia di donne della minoranza religiosa yazidi sono state prese come prigioniere dal gruppo dello Stato islamico. Kamil Amin ha detto che le donne hanno meno di 35 anni e che alcune vengono trattenute in scuole di Mosul. Il ministero, ha riferito il portavoce, è venuto a conoscenza delle prigioniere dalle loro famiglie. Decine di migliaia di yazidi sono fuggiti quando il gruppo dello Stato islamico ha catturato la città settentrionale di Sinjar, vicino al confine con la Siria. I commenti di Amin sono la prima conferma del governo iracheno che alcune donne sono in mano ai militanti.
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Obama: "Ma non invieremo truppe". Obama, che del ritiro delle truppe Usa dall’Iraq ha fatto un caposaldo della sua presidenza, ha ammesso che la prospettiva di un nuovo impegno militare sarebbe motivo di preoccupazione per l’opinione pubblica. E per questo ha assicurato che nessun soldato americano sarà inviato sul territorio iracheno e che la crisi non sarà risolta militarmente da Washington: oggi l’America interviene per aiutare le minoranze, ma "come comandante in capo non permetterò che gli Stati Uniti siano trascinati in un’altra guerra in Iraq", ha detto. Obama ha precisato che i lanci di viveri e acqua sono stati richiesti dal governo di Bagdad. Gli aiuti umanitari sono destinati alle decine di migliaia di Yazidi costretti alla fuga quando i miliziani dell’ex Isis hanno dato loro un ultimatum: si sarebbero dovuti convertire all’Islam o sarebbero stati uccisi. Due aerei C-130 e un C-17, scortati da due caccia F-18, hanno sorvolato l’area a bassa quota lanciando ottomila pasti pronti e ventimila litri di acqua potabile.
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Bagdad: "Riconquisteremo le aree perdute". Dopo il bombardamento americano, afferma il generale dell’esercito iracheno Babaker Zebari, "ci saranno enormi cambiamenti sul terreno nelle prossime ore", e i militari e i peshmerga curdi riconquisteranno terreno nei confronti degli jihadisti. "Le forze aeree americane stanno prendendo di mira le basi dello Stato islamico a Makhmur e nella zona di Sinjar. Ufficiali dell’esercito iracheno, i peshmerga ed esperti americani stano lavorando insieme per selezionare gli obiettivi", ha aggiunto il generale. La Federal Aviation Administration, l’ente che supervisiona l’aviazione civile statunitense ha bloccato tutti i voli commerciali americani sopra l’Iraq: "situazione potenzialmente pericolosa". La stessa decisione è stata presa anche dalla British Airways. Ma la battaglia è molto ardua: i peshmerga, i combattenti curdi, hanno perso almeno centocinquanta uomini in circa due mesi di scontri armati con le milizie sunnite dello Stato islamico nel nord dell’Iraq, mentre altri cinquecento sono rimasti feriti: lo ha riferito in conferenza stampa il portavoce del governo della regione autonoma del Kurdistan, Fwad Hussein, precisando che si tratta di un bilancio non comprendente le perdite più recenti.
La diplomazia internazionale. Della crisi irachena è tornato a occuparsi anche il Consiglio di sicurezza dell’Onu: in una dichiarazione approvata all’unanimità ha lanciato un appello alla comunità internazionale affinché sostenga il governo iracheno, condannando le violenze dello Stato Islamico e quella che viene definita una vera e propria "persecuzione" nei confronti delle minoranze religiose. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, si è detto sconvolto dalle notizie che arrivano dall’Iraq e ha invitato tutti a intervenire per aiutare Bagdad. Papa Francesco ha nominato il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, suo inviato personale in Iraq "per esprimere la sua vicinanza spirituale alle popolazioni che soffrono e portare loro la solidarietà della Chiesa". Filoni ha poco dopo commentato così la nomina: "È un gesto che manifesta la sollecitudine del Papa verso la situazione di questi cristiani, che in questo momento sono in sofferenza: quella di aver lasciato la casa e di vedere tutte le loro radici tagliate, di essere stati anche umiliati, lasciando le loro case così come erano e cercando rifugio altrove". Ieri il Pontefice aveva chiesto alla comunità internazione di proteggere i cristiani in Iraq.
La reazione del governo italiano è affidata al sottosegretario agli Esteri Mario Giro: "Sosteniamo l’iniziativa di Obama in Iraq, ma ci vuole molto di più. E’ una situazione molto grave di cui il governo italiano si sta occupando. Il viceministro Pistelli è a Erbil dove sta portando gli aiuti ai cristiani che sono scappati da Karakosh e dalla piana di Ninive, e a tutte le minoranze. Il governo è preoccupato. Occorre un’azione forte per proteggere le minoranze".
Iraq, l’esodo degli yazidi: la minoranza perseguitata dai jihadisti
Come si è arrivati al caos di oggi in Iraq. Da diversi mesi, in Iraq è tornato il caos. Dopo l’invasione statunitense nel 2003, che ha provocato la caduta del dittatore Saddam Hussein, nel Paese si sono accentuate notevolmente le già nette divisioni tra le tre principali etnie locali: gli sciiti, i sunniti e i curdi. Nel frattempo, l’influenza dei gruppi estremisti, anche a causa della fragilità del governo centrale e delle politiche per molti esclusive del premier sciita Al Maliki, è cresciuta sempre più nel tempo. Tra questi, lo Stato Islamico, ex Isis, è il gruppo jihadista sunnita che mette più paura a Bagdad e all’Occidente, anche grazie al supporto di parte della comunità sunnita, appunto. A nord, invece, sono presenti i curdi, una comunità che da moltissimo tempo invoca l’indipendenza ma che, sinora, paradossalmente ha rappresentato un collante per lo Stato iracheno: i suoi miliziani peshmerga, infatti, sono stati quelli che hanno contrastato più efficacemente l’avanzata degli estremisti. Almeno fino a ora.
GLI YAZIDI
GLI YAZIDI, i seguaci dell’"Angelo-Pavone", stanno morendo. Una intera popolazione sta per scomparire dal Medio Oriente sterminata dall’avanzata dei miliziani sunniti dell’Isis. I combattenti dello Stato islamico in Iraq hanno già colpito migliaia e migliaia di sciiti e di cristiani, ma adesso nel mirino ci sono i membri di questa misteriosa comunità millenaria che da una settimana è in fuga tra le montagne e nei deserti ai confini con Siria e Turchia.
I numeri sono incerti, gli yazidi dovrebbero essere fra i 100 mila e i 700 mila. E anche la loro storia, le loro origini sono poco conosciute se non del tutto misteriose. Come altre minoranze religiose in Medio Oriente, come gli Alawiti di Bashar el Assad o come i Drusi che vivono in Libano e Israele, gli yazidi nascono membri della loro religione: nessuno può convertirsi al loro credo. Sono una setta della popolazione curda che incrocia Islam, cristianesimo e zoroastrismo, un gruppo millenario che ha continuato a sopravvivere a persecuzioni e violenze in un’area del mondo (fra Iraq, Siria e Turchia) in cui imperi e regimi si sono combattuti e inseguiti per secoli.
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Al telefono da Bagdad uno dei leader della comunità, il deputato Mahma Khalil, ci aggiorna sulla fuga dei suoi fratelli dai villaggi del nord: "L’offensiva è partita da una settimana. Da allora io sono in contatto continuo con le Nazioni Unite, ho passato giorni al telefono con Washingotn, col governo americano, con la loro ambasciata qui a Bagdad. E’ in atto un genocidio di un popolo che non è conosciuto da nessuno e quindi non è protetto da nessuno. Sono 200 mila i miei fratelli in fuga dall’Isis nel Nord del paese assieme ai cristiani, sono fuggiti dai giorni nei deserti ". Khalil dice che chiedere aiuto al governo iracheno è inutile: "Qui l’autorità politica nazionale si è frantumata, gli sciiti pensano solo a come difendere se stessi, a come regolare i loro giochi di potere per il prossimo governo. Chi deve intervenire è la comunità internazionale, innanzitutto in sostegno ai gruppi crudi che ci stanno aiutando".
L’onorevole Khalil racconta che gli yazidi in fuga nel Nord si stanno avvicinando o sono già entrati nelle aree della Siria e della Turchia controllate dai vari partiti curdi: "Gli aiuti paracadutati dagli americani potrebbero salvare qualcuno, ma i numeri sono massicci, e soprattutto i miliziani dell’Isis continuano a devastare i nostri villaggi, a terrorizzare tutti".
Iraq, l’esodo degli yazidi: la minoranza perseguitata dai jihadisti
Domenica scorsa i jihadisti avevano conquistato Sinjar, la più importante città yazide: I cittadini sono fuggiti verso la "Jebel Shingal", la montagna Sinjar : si stanno ancora arrampicando fra le pietre, si nascondono le caverne per sfuggire ai sunniti e per trovare un riparto al sole infernale. La montagna è il primo punto in cui gli aerei americani hanno lanciato aiuti.
Oltre ad attaccare i cristiani i miliziani dell’Isis hanno dato l’assalto agli yazidi per allargare le aree che controllano, per mettere sempre maggiore pressione sugli avversari curdi, ma anche perché definiscono gli yazidi "i seguaci del diavolo". Secondo gli estremisti sunniti, il loro nome deriva da Yazid ibn Muawiya un odiato califfo della dinastia Ommaide. La verità è che gli yazidi non sono classificabili come anti-islamici, sono semplicemente autonomi e diversi: venerano sia la Bibbia che il Corano, adorano il sole e rispettano i culti della luce e della notte dello zoroastrismo. Pregano 5 volte al giorno quasi come i musulmani, dividono il pane fra i fedeli come i cristiani. I loro bambini vengono battezzati da un "pir", un sacerdote, ma i fedeli praticano anche ancora sacrifici di animali e circoncisioni come alcuni ebrei ortodossi.
Dal loro dio Yasdan promanano sette grandi spiriti tra i quali il più importante è l’Angelo Pavone, il "malak taus" che è fra i più rappresentati nei loro templi e nelle sulle loro tombe. L’altro nome dell’uccello è shaytan, che è simile alla parola araba che si usa per il diavolo, il maligno: appunto "satana". E questo è un altro degli elementi che li porta ad essere perseguitati dai sunniti appunto come "fedeli del diavolo".
IL GOVERNO DELL’IRAQ
BAGDAD - Il Parlamento dell’Iraq ha eletto il suo nuovo presidente. Nel corso della sessione legislativa a porte chiuse che si è tenuta oggi, ha scelto il leader del partito islamico iracheno, il sunnita Salim al-Juburi con 194 voti. Dalla sua parte l’appoggio del presidente del parlamento uscente, Osama al-Najafi, suo alleato all’interno della lista Mutahiddun in occasione delle ultime elezioni legislative.
Il voto interrompe lo stallo politico che si era creato nell’assemblea, composta da 328 seggi e la scelta del nuovo presidente del Parlamento è il primo passo per la formazione di un nuovo governo. Stando a quanto previsto dalla Costituzione irachena, dopo l’elezione del presidente dell’assemblea, i deputati devono procedere alla designazione di un presidente della repubblica che a sua volta nominerà un premier. Non è chiaro se l’elezione di al-Jubouri indichi il raggiungimento di un più ampio accordo tra i blocchi politici per i posti di presidente e di primo ministro. La prima volta del nuovo Parlamento iracheno, dopo le elezioni di aprile, si era tenuta il primo luglio. Ma anche in quel caso i 328 parlamentari non erano riusciti a trovare l’accordo.
Nei giorni scorsi Najafi aveva detto di voler rinunciare a un secondo mandato per spingere alla rinuncia anche il premier uscente, lo sciita Nuri al-Maliki, intenzionato a candidarsi per un terzo mandato alla guida del governo nonostante la crisi politica e di sicurezza in corso. Al-Jiburi era rimasto l’unico candidato. Secondo la stampa araba, contro la sua elezione sarebbe però intervenuto il presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, il quale non vorrebbe un esponente dei Fratelli musulmani tra le massime cariche dello Stato iracheno.
Iraq, sunnita al-Juburi eletto nuovo presidente del Parlamento
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Si continua a combattere. L’esercito iracheno ha lanciato un’offensiva per riprendere Tikrit, città nel nord del paese caduta il mese scorso nelle mani dei jihadisti dello Stato Islamico (Isil). La tv satellitare al-Arabiya, citando fonti della sicurezza irachena, ha descritto l’avanzata notturna delle truppe regolari fino alle zone periferiche della città, distante 160 chilometri da Bagdad. Violenti combattimenti si registrano anche nel distretto meridionale di Shishin. Tikrit è una roccaforte dei lealisti dell’ex rais Saddam Hussein e di quegli ufficiali delle forze armate che hanno disertato unendosi all’Isil fin dall’inizio dell’offensiva jihadista nel nord dell’Iraq.
LA DIGA DI MOSUL
BAGDAD - E’ potenzialmente un’arma di distruzione di massa quella caduta in mano ai miliziani dello Stato islamico (Isis) in Iraq, che nei giorni scorsi si sono impadroniti della diga di Mosul, la più grande del Paese. Se decidessero di farla saltare, avvertono gli esperti, provocherebbero un’ondata devastatrice lungo la valle del Tigri che, dopo avere investito Mosul, sarebbe ancora in grado di causare danni fino a Baghdad, 350 chilometri a sud-est.
Gli stessi miliziani jihadisti, del resto, non hanno esitato a servirsi di quest’arma, sebbene su scala molto ridotta, dopo avere conquistato all’inizio di quest’anno la città di Falluja, 60 chilometri a ovest di Baghdad, e la vicina diga sull’Eufrate.
Almeno cinque persone erano morte, migliaia erano state costrette a lasciare le loro case e vasti terreni agricoli erano stati devastati quando i jihadisti avevano chiuso ogni canale di scarico dell’acqua, facendo straripare il fiume e inondando cittadine e villaggi fino alle porte della capitale.
Ma l’importanza strategica della diga di Mosul, 35 chilometri a nord di questa città, è ben superiore. Lo sbarramento, costruito negli anni ’80, alto 131 metri e lungo 3,2 chilometri, controlla l’irrigazione della provincia di Ninive. Si comprende quindi la preoccupazione con cui Bashar al Kiky, presidente del Consiglio provinciale, ha annunciato che "i miliziani dell’Isis hanno preso il pieno controllo della diga".
Difficile pensare che lo Stato islamico sia intenzionato a fare saltare la diga, visto che controlla vasti territori lungo il corso del Tigri, dalla stessa Mosul a Tikrit. Ma il suo possesso rimane comunque una potente arma di ricatto. Inoltre, non si possono escludere incidenti. Per esempio che l’impianto sia colpito da qualche bomba durante una controffensiva dei Peshmerga, che fino a due giorni fa la controllavano, con l’appoggio dell’aviazione di Baghdad.