Paolo Siepi, ItaliaOggi 9/8/2014, 9 agosto 2014
PERISCOPIO
Non mi interessa l’antipolitica ma l’ante-politica. Alessandro Bergonzoni nello spettacolo teatrale Nessi.
D’Arcais ha girato tutte le parrocchie di sinistra, ripudiando di continuo le sue scelte. radicali, verdi, Pds, Rete, Girotondi (di cui fu l’inventore), Pd, Idv, fino al 2013, quando ha votato Ingroia. Di quest’uomo insoddisfatto e malmostoso, irrazionale e apocalittico, lo stesso Formica ha detto: «È come un bevitore che fa il giro di tutte le cantine e sputa il vino che beve». Giancarlo Perna. Il Giornale.
Oggi nessuno pensa più seriamente ad abolire la proprietà. Ciò che si trova ad essere minacciato non è più il risparmio, ma un bene ancor più prezioso, la privatezza del singolo. Armando Plebe, Tornerà il comunismo?. Piemme.
Ma un detto rimane sempre vivo fra la gente del Caucaso: «Finché qui ci sarà il petrolio, non ci sarà la pace, perché tutti ce lo vorranno portare via». Piera Graffer, La Miliarda. LoGisma editore.
Gli americani sono sbarcati in Afghanistan per espellere i talebani che i dollari dell’amministrazione Clinton avevano finanziato abbondantemente in armi e dollari. Louis Meunier, Les cavaliers afghans. Edition Kero.
L’uso insistentemente negativo del termine populismo fa venire voglia di riabilitarlo. Dopotutto, democrazia non significa altro che potere e sovranità del popolo, benché mediata da filtri rappresentativi e da tecniche di reciproco controllo dei poteri. Si tratta di una forma di governo che deve restare in equilibrio fra due opposti, dispotismo e anarchia. La paura del populismo sembra giustificata dall’appello diretto al principio della volontà popolare compiuto da un despota, o da eventuali spinte centrifughe che portano all’ingovernabilità. Resta tuttavia un punto fermo: benché regolata da norme, una democrazia deve interpretare più fedelmente possibile le esigenze della maggioranza, trasformandole in volontà politica. Populismo non significa demagogia. Il primo è fiducia nelle qualità del popolo. La seconda è usare cinicamente argomenti emotivi per accecare gli elettori manipolando il loro bisogno di giustizia. Ma popolo non significa folla o massa o pubblico di spettatori e di consumatori. Popolo è l’insieme di coloro che svolgono fondamentali, indispensabili attività sociali, produttive e di servizio. È anche vero che occasionalmente il popolo si manifesta come massa, folla, pubblico demagogicamente manovrabili. In Occidente le due maggiori tradizioni, quella greco-latina e quella cristiana, avvertono che un pubblico o una folla possono approvare la condanna a morte di Socrate, chiedere la crocifissione di Gesù e divertirsi ai massacri del Colosseo. Alfonso Berardinelli. Avvenire.
Sono pieno in me, anche se non di me. Aldo Busi. Il Fatto quotidiano.
È come se l’Unesco, tutelando le Langhe, avesse messo sotto tutela il paesaggio descritto da Beppe Fenoglio (un «paesaggio morale» disegnato da un cartografo dell’anima) che si stende da Alba, dove Beppe è nato, verso la collina, la Langa, quella più alta, quella che Nuto Revelli ha percorso casa per casa per descrivere «il mondo dei vinti», tanta era la povertà che vi dominava. E dalla collina ridiscende giù, spesso in maniera scomposta, come quando i partigiani conquistano Alba per 23 giorni: «Fu la più selvaggia parata della storia moderna: solamente di divise ce n’era per cento carnevali». Aldo Grasso, Corsera.
Irene Brin, che sulla Settimana Incom fingeva di essere la Contessa Clara, la sua rubrica dovrebbe diventare libro di testo nelle scuole di giornalismo dove si insegna a far gli articoli telefonando a dieci persone a caso, pur di non far lo sforzo di leggere mezza pagina. Alberto Arbasino: «Ritratti italiani». Adelphi.
La forma più immediata in cui si presenta l’espropriazione del privato da parte della collettività è la programmazione pubblica delle iniziative e delle azioni private. La programmazione pubblica è l’uccisione dello spirito di iniziativa e della gioia dell’ideazione: ciò vale tanto per un intellettuale che scrive un libro quanto per il piccolo imprenditore che rischia di tasca sua. In compenso essa è la grande arma dei mediocri: chi è incapace di avere idee proprie si vendica di chi è meglio dotato facendolo oggetto di discussioni sindacali e assembleari che ne avviliscono la personalità e ne appannano l’iniziativa. Armando Plebe, Tornerà il comunismo?. Piemme.
Se esiste uno «stile Milano», in cui il lavoro si sovrappone perfettamente all’esistenza, Armani ne è il suo campione. Il successo facile gli dà sui nervi, detesta i furbi, i faciloni, quelli che si impossessano di allori che non meritano. Fa quasi paura tanto è concentrato sulla sua creatività. «C’è chi mi giudica poco disponibile, asociale, orso, perché per lavorare rinuncio spesso a stare con la gente e spesso mi dispiace», dice. Giorgio Armani, stilista. Corsera.
Viene l’epoca nella quale io emigro verso il Nord, perdendo di vista don Ignazio. L’artrite se lo mangia, denti e capelli si congedano per sempre da lui, ma egli, riflettendoci, scoppia a ridere come quando si avvide che gli ufficiali giudiziari gli sequestravano l’antico, polveroso, clistere. È diventato un virtuoso della chitarra. Suona nei festini nuziali, vi si distingue per la sua arguzia, come per la destrezza con cui intasca, senz’esser visto, interi vassoi di pasticcini; escogita bizzarri modi di dire, frasi canzonatorie e irriferibili insulti che prodigiosamente si diffondono in tutta Napoli e che le ciurme dei transatlantici portano all’estero. Giuseppe Marotta, L’oro di Napoli. Bur, 1987.
È scrivendo sulla danza che ho imparato a scrivere. Prima, scrivevo stretto, serrato, controllato. La danza mi ha liberato. Con essa bisogna inventare le proprie parole. Non a caso ho scritto un libro sulle grandi ballerine classiche dal titolo: Fare delle tracce nell’aria. Horace Engdhal, svedese, scrittore, massimo responsabile nell’attribuzione del Nobel della letteratura. Le Monde.
In un cinema due innamorati parlano tra di loro disturbando il signore della fila dietro. «Per favore, non si capisce nulla!». «Ma che cosa vuol capire lei», risponde il fidanzato. «Sono affari nostri!». Gino Bramieri, Barzellette. Euroclub. 1989.
Nessuno è più fesso del fesso impegnato. Roberto Gervaso. il Messaggero.
Paolo Siepi, ItaliaOggi 9/8/2014