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 2014  agosto 06 Mercoledì calendario

LANDO BUZZANCA


Roma, agosto
«Davvero vuole vedere l’urna? Non me lo chiede nessuno, la gente s’impressiona».
Cominciamo con le ceneri della moglie, finiremo con Lando Buzzanca che mi mostra i polsi e, sui polsi, le cicatrici che si è fatto provando a tagliarsi le vene perché Lucia gli manca ancora, anche se se n’è andata da quattro anni.
Lando Buzzanca, 79 anni il 25 agosto, mi precede, attraversando saloni. L’ho appena visto in Tv, nelle repliche del Restauratore e sono a casa sua per parlare della seconda serie della fiction di Albatros e Rai 1 che parte in otto puntate il 7 settembre, un’altra impresa che unita a ruoli come quello nei Vicerè di Roberto Faenza l’hanno rivalutato attore drammatico dopo quegli Anni 70 in cui è stato identificato nelle maschere dell’Homo Heroticus o del Merlo Maschio.
È mezzogiorno, le tende sono serrate e la casa è buia. Nella stanza da letto, Buzzanca sposta i velluti scuri del balcone e una fetta di luce va precisa su un’urna in legno poggiata sul comò. Sopra, degli occhiali da donna.
Questi di chi sono?
«Di Lucia. In giro, c’è tutta la sua roba. Non ho messo via niente».
Buzzanca apre gli armadi. Quello delle gonne. Quello delle camicette. Quello dei cappotti dai colori accesi: giallo, rosso, azzurro. Le scarpiere sono tre e le apre tutte. Scarpe da giorno col tacco basso, scarpe da sera col tacco alto, pantofole di casa. «Ogni tanto, apro un cassetto, mi guardo le cose di Lucia e mi ricordo com’era. Guardi questa foto, guardi che classe, che eleganza…». Nella foto, Lucia avrà trent’anni, ha il caschetto cotonato biondo, ha in braccio due bambini, i loro figli, Mario e Massimiliano. Le sue foto sono dappertutto.
E se s’innamora di nuovo?
«Può essere, ma quell’altra starà sempre a casa sua».
La conversazione è partita da lontano. Con lui che mi raccontava del giorno in cui, a 18 anni, quando a Palermo faceva ancora il liceo, si era sentito di colpo come in catene e aveva deciso che sarebbe scappato per fare l’attore. Gli attori li aveva visti fin da bambino, nel cinema dove il papà faceva il proiezionista quando davano i film e il tecnico delle luci quando davano teatro.
Quel giorno, Lando prende un treno di nascosto. A Roma, fa la fame vera per tre anni.
Al Colosseo, trova un set di Dino Risi e lo prendono per dire una battuta: “Fatte sposà”. Campa così, alla giornata, dormendo nei portoni. «Camminavo con lo sguardo a terra per vedere se trovavo 10 lire». Racconta: «Ho rischiato di morire sparato».
“Morire sparato”?
«Sapevo del Cinema Odeon, frequentato da signore disposte a pagare per andare coi giovani. Vado e rimorchio subito. Mi portavano in una pensioncina e mi davano 250 lire. La terza volta, trovo una, strabica, ma con un corpo bellissimo. Dico che mi fermo per la notte, poi cambio idea e quella si piazza sulla porta e tira fuori la pistola».
Dopo due anni di Roma, Lando torna a casa per la prima volta e la sorella le chiede di portare a una festa una lontana cugina figlia di gioiellieri. Arriva Lucia ed era un amore. «Alla festa non ballava. Domando perché. E lei: “Perché voglio ballare solo con te”. Ho provato una sensazione come se io ero suo e lei mia. Come se fosse così da sempre e potesse essere così per sempre. A fine sera, le dico: non ti ho ancora baciata. Ed è rimasta incinta».
Sta correndo.
«Di poco: sono tornato l’estate dopo ed è rimasta incinta. Ma l’avrei sposata lo stesso, ero innamorato. I suoi ce ne hanno dette di tutti i colori, ma siamo andati a vivere con loro. E lì arriva la chiamata per il provino all’Accademia Sharoff di Roma».
Lucia ha avuto l’intelligenza di lasciarla andare?
«Io mi stavo consumando: o facevo l’attore o morivo. Le ho detto: se non vado, tra due anni muoio e tu rimani vedova. Se mi aspetti per i tre anni di scuola, faremo famiglia dopo».
Tre anni passati come?
«Studiando, facendo la comparsa, mangiando grazie alle ragazze che s’innamoravano di me e mi prestavano soldi. Sa? C’è l’uomo, che è etica, pensiero e dignità e c’è il maschio che, quando vede la donna, non capisce più niente».
Ma Lucia le mancava?
«Che era la mia vita e che facevo tutto per lei l’ho capito poi: dopo Divorzio all’italiana, è venuta a Roma e mi è sempre stata vicina. Io ho fatto sesso con tante, ma l’amore l’ho fatto solo con lei. Lei lo sapeva che ero suo. In 55 anni insieme, mi ha dato solo tre schiaffi».
Schiaffi meritati?
«Io con le donne ci andavo, ma finiva lì».
Girava film con attrici da sogno.
«Ho conquistato pure Joan Collins. La vedo: truccata, bellissima. E mi apro la zip dei pantaloni».
Così, subito?
«L’abbiamo fatto lì, nella sala trucco. Poi, la vidi senza trucco e non mi piacque più».
I tre schiaffi?
«Il primo non lo ricordo. Il secondo fu per l’attrice Katia Moguy. Esco da casa sua e trovo sotto Lucia: qualcuno gliel’aveva detto. L’ultimo schiaffo fu quando, a 40 anni, andai con una di 22. Sylva Koscina, che mi voleva, per gelosia lo disse a Lucia».
Rifiutò la divina Koscina?
«In scena, mi aveva messo la lingua in bocca, era asciutta».
Perché Lucia era il suo punto fermo?
«Perché era moglie, amante, mamma. Era tutto. Pensi che io, se esco, do mance a tutti, ma lei mi faceva uscire coi soldi contati. Se andavo dal barbiere, mi dava 20 euro giusti».
Quando si è ammalata?
«Negli Anni 90, di tumore al fegato. L’ho curata in ogni modo. Quando è morta, ancora non me l’aspettavo. L’avevo mandata a Milano per guarire, ma lei sapeva che ci stava andando per morire. Ci è andata per non farsi vedere morta. È arrivata alle nove di sera e a mezzanotte è morta».
Chi glielo ha detto?
«Mio fratello. Ho cacciato un urlo da animale. Ho cominciato a piangere e ho pianto sempre. Anche un mese fa. La notte, ho ancora paura di urtarla nel sonno. E, una notte, mi sono svegliato di soprassalto perché ho sentito che c’era. È lì che è nato il tentato suicidio».
L’hanno scritto i giornali e lei ha smentito.
«Era esattamente un anno fa. Il 6 di agosto. Venivo da due mesi di set faticosissimi, con 42 gradi, a Roma. Giravo Il Restauratore 2, quello che andrà in onda dal 7 settembre. Quel giorno, giravo la scena in cui, al cimitero, parlo sulla tomba di mia moglie uccisa. Me l’hanno fatta rifare 11 volte, per sette ore. E io l’ho sempre fatta come se parlassi a Lucia. Poi, ho avuto una discussione che mi ha fatto male. Contestavano il mio personaggio, dicevano che non era credibile che fosse un sensitivo. Ero già stremato e mi sono sentito pure attaccato in quello che facevo con passione. Torno a casa ed ero solo. Ho preso a chiedermi che senso avesse quella vita senza Lucia. Io tutto il mio successo l’ho creato per lei, per farla sentire fiera di avermi scelto, anche se la sua famiglia mi rifiutava perché ero povero. Quella sera, parlavo da solo, dicevo: Lucia, io ho sempre fatto tutto solo per te».
E poi?
«Sono andato in bagno, ho riempito la vasca e ho preso delle pillole di melatonina, di quelle che fanno dormire. Le ho buttate giù con un bicchiere di gin. Poi, ho spaccato il bicchiere sul lavabo. Ho preso un pezzo di vetro e l’ho affondato nei polsi. Ma piano, guardi le cicatrici: non sono profonde».
Lei guardi me: voleva uccidersi o no?
«Avevo preparato la vasca apposta, per morire lì, ma era strano: ero tranquillissimo, guardavo il sangue sui polsi e non sentivo il dolore. Poi, ho perso i sensi e mi hanno trovato la mattina. Alle otto: dopo 12 ore».
Potrebbe riprovarci?
«No, perché ho visto i miei figli disperati».
Non ha pensato di lasciare questa casa?
«Tutto al contrario. Mi piace starci, tocco tutte le cose che sono i ricordi miei e di Lucia e mi sento ancora vivo».