Marianna Aprile, Oggi 6/8/2014, 6 agosto 2014
Roma, agosto La riforma del Senato si è sbloccata, e dopo risse e colpi di scena si avvia a essere approvata
Roma, agosto La riforma del Senato si è sbloccata, e dopo risse e colpi di scena si avvia a essere approvata. Quel Pin (copyright di Matteo Renzi) che secondo il premier doveva servire ad accendere il cellulare delle riforme strutturali del Paese ora c’è. Tutto a posto? Non proprio, o almeno non tutto. Perché i dati economici sono scoraggianti: cresciamo meno di Spagna e Irlanda e soprattutto meno di quello 0,8 % che era stato previsto e su cui s’era fatto affidamento; abbiamo un rapporto deficit-Pil al 134 %; la Ragioneria di Stato fa le pulci al decreto sulla Pubblica Amministrazione (mancherebbero molte delle coperture); il decreto Sblocca Italia (da approvare a fine agosto) va ancora messo a punto; il Jobs Act arranca in Parlamento; l’estensione degli 80 euro a pensionati e partite Iva non è più garantita, e via così, in un rosario di cattive notizie, stalli e marce indietro. Tutte le Voci contro Non c’è da stupirsi, quindi, che dopo mesi di agiografie diffuse del Governo Renzi inizino a levarsi voci critiche. Tra le più fragorose, quella di Diego Della Valle, un tempo tra gli imprenditori vicini al premier: «Da troppi giorni sentiamo parlare di cose che non spostano di una virgola il futuro del Paese. Mi sembra che siamo tornati al vecchio politichese», ha detto, prima di lanciare persino un appello al presidente Napolitano: «La Costituzione è stata scritta da persone come Einaudi, non la facciamo cambiare dall’ultimo arrivato seduto in un bar con un gelato in mano». Non proprio giri di parole. Ma il patron di Tod’s e della Fiorentina non è il solo. Economisti come Alberto Alesina e Francesco Giavazzi (sul Corriere della Sera) hanno criticato agenda e operato di Renzi: i mancati interventi sul piano economico, la mancata applicazione dei tagli suggeriti dal commissario alla spending review Carlo Cottarelli, “dimissionato” da Matteo. Il Sole24Ore, quotidiano della Confindustria, ha preso a ricordargli tutte le promesse fatte in Europa da onorare nel 2015. Ma non è che la luna di miele tra Matteo e gli italiani volge al termine? Le banche sono in allarme Perché opinionisti, economisti e mondo finanziario e produttivo del Paese (i famosi “poteri forti”) mostrano perplessità sull’operato del premier? «Ha sbagliato agenda e strategia: doveva cominciare dalle misure economiche non dalle riforme, sulle quali si è anche fatto fregare dalle minoranze interne del Pd», dice Maurizio Belpietro, direttore di Libero. Ma cosa avrebbe dovuto fare, Renzi? «Sfruttare il 40,8 % preso alle Europee per far approvare la legge elettorale anche al Senato oltre che alla Camera: oggi avrebbe in mano un’arma per zittire chi non vuole andare al voto e avrebbe la forza per interventi strutturali. Invece se si andasse a elezioni si voterebbe col cosiddetto Consultellum (la legge elettorale frutto della bocciatura di parte del Porcellum fatta dalla Corte Costituzionale, ndr), che confermerebbe la maggioranza incerta che c’è oggi in Parlamento». Ma agli italiani, questo, interessa? «L’economia va male e i nodi stanno venendo al pettine. Renzi ha fatto una politica di annunci: gli 80 euro, il tetto agli stipendi dei manager pubblici, la spending review. Salvo poi fare marcia indietro quasi su tutto: sugli 80 euro a pensionati e partite Iva; Cottarelli fatto fuori… la luna di miele sta finendo». «La luna di miele è tutt’altro che finita, invece», dice Antonio Polito, direttore del Corriere del Mezzogiorno ed editorialista (ultimamente critico) del Corriere della Sera: «Le difficoltà con la riforma del Senato e sul piano economico confermano Renzi nel ruolo di cavaliere solitario contro gli “amici gufi”, su cui ha costruito il suo successo elettorale. Cerca una drammatizzazione che renda evidente la differenza tra un “io” e un “loro”. Ci sono poi invece errori politici gravi e oggettivi». Quali? «Inaugurare il semestre di presidenza italiana dell’Ue chiedendo maggiore flessibilità e “licenziare” Cottarelli, due cose che hanno messo in allarme l’Europa e il mondo finanziario. Le grandi banche italiane e internazionali, l’indomani dell’annuncio dell’addio di Cottarelli, hanno indetto riunioni d’urgenza. I segnali di insofferenza di quegli ambienti sono tangibili. La vera prova saranno gli indicatori economici dei prossimi mesi, ma per ora tutto regge, pur con un grave difetto: Renzi pensa di poter fare tutto da solo, non ha costruito quella rete di tecnici che serve per governare un Paese. Lo schema del “Giglio magico”, il gruppo di fedelissimi, va bene per fare il sindaco e vincere le primarie, non per fare il premier», avverte Polito. Obiettivo: le elezioni anticipate «Il mondo economico e finanziario sono intimoriti dal fatto che gli interventi strutturali sulla situazione economica e sulle tasse non sono una priorità. Il siluramento di Cottarelli è stato letto come un siluramento dei tagli alla spesa pubblica che avrebbe potuto portare a un calo della pressione fiscale», conferma Antonio Padellaro, direttore de Il Fatto Quotidiano, che però sul rapporto tra Renzi e gli italiani la pensa come Polito: «Per ora regge, non ha competitor. Il passaggio cruciale sarà la manovra autunnale, che dovrà trovare i soldi per coprire gli 80 euro, le pensioni per 4 mila insegnanti e qualche altra falla di bilancio. Ma il premier dovrebbe cavarsela con l’innalzamento del rapporto tra deficit e Pil al 2.3 o addirittura al 2.8 %, sempre ammesso che riesca a farlo digerire all’Europa, che già ci guarda con sospetto». Misure-tampone? «Pre-elettorali. Superato il passaggio della manovra, a Renzi conviene puntare sull’Italicum e andare a elezioni in primavera e mettere a reddito il consenso che ancora ha e che non sarà eterno. Deve uscire da questa situazione in cui al “suo” 40,8% corrisponde il Parlamento uscito dalle politiche 2013 e tripartito tra Pd, FI e M5S. Alle elezioni può stravincere, non ha motivo di voler galleggiare in questa situazione. Ma deve farlo in fretta o il bluff verrà scoperto dagli elettori. È un Berlusconi senza impero (niente tv, soldi, potere), la sua unica risorsa è la popolarità e non può permettersi di dissiparla». Anche gli italiani vogliono votare Anche sull’eventualità del voto anticipato il Paese sembra andare d’accordo con gli interessi di Renzi: dall’ultima rilevazione fatta per il Corriere della Sera dalla Ipsos di Nando Pagnoncelli (il 2 agosto), solo 4 italiani su 10 sono dell’idea che il premier dovrebbe governare fino al 2018. E forse, dati alla mano, il voto gli converrebbe davvero; l’andamento della fiducia in lui secondo Ipsos è in calo: dal 70% di fine maggio al 61% di fine luglio; nello stesso periodo la fiducia nel governo è passata dal 62 al 59%. «Anche secondo le nostre rilevazioni le percentuali sono altissime, ma in calo», conferma Andrea Tozzi, vice presidente Istituto Piepoli: «A fine luglio, la fiducia in Renzi è passata dal 68 al 61%, quella nel suo governo dal 65 al 58%. Ma è un capitale solido: gli italiani non lo percepiscono come il responsabile di ciò che non va, e quindi, la fiducia reggerà ancora per mesi». Quanto? «Con l’inizio del 2015 si cominceranno a reclamare risultati sul fronte economico e del lavoro, ma fare previsioni è difficile: Renzi statisticamente è un nuovo genere di politico che stando alle premesse (l’antipolitica, il disinteresse degli italiani, la sfiducia) non aveva neanche i presupposti per nascere», conclude Tozzi. Comunque vada, c’è solo lui «Secondo il nostro Barometro politico, Renzi è ancora al 52% (e il Pd al 44%), e un italiano su due, interpellato, non vede all’orizzonte un leader in grado di impensierirlo in caso di elezioni: non è mai successo di registrare un dato simile», dice Pietro Vento, direttore di Demopolis. Il premier può star tranquillo, quindi? «Per ora. Gli italiani si mostrano realisti sui dati economici: a fronte di un ottimismo nella ripresa economica cresciuto dal 23 al 31% da novembre 2013 a luglio 2014, solo il 15% degli interpellati è convinto che l’occupazione aumenterà davvero». «Renzi beneficia di una apertura di credito personale, più che politica, che non ha precedenti statistici», dice Roberto Weber, presidente di Ixè: «Per ora non gli viene imputato nulla di quello che va male, neanche le difficoltà dell’economia. Prima o poi si inizierà a reclamare una contropartita, ma impossibile dire quanto tempo durerà questa quota di indulgenza. Al momento non abbiamo registrato cali né per lui né per il Pd: ha ancora un indice di fiducia personale del 52%, in un elettorato trasversale che va da destra a sinistra. A fronte di indicatori come la fiducia nella ripresa o nella società che segnano netti cali, il dato su Renzi rimane stabile», conclude Weber. Un capitale che non ha precedenti, insomma. Inverosimile credere che l’ex sindaco, non voglia puntarlo su una competizione elettorale.