Isabella Bossi Fedrigotti, Corriere della Sera 8/8/2014, 8 agosto 2014
IL COLORE DELLA PELLE E I DIRITTI DI UN FIGLIO
Il buon senso? Non pervenuto. Quella salvifica, domestica ragionevolezza, un tempo molto apprezzata perché capace di risolvere questioni spinosissime, ancora una volta sembra essere rimasta fuori dalla porta. La politica, perché a questo in fin dei conti si riduce quasi ogni dibattito, da anni non ne vuole sapere, quasi si trattasse di disprezzabile sapienza di seconda classe cui è disonorevole ricorrere.
Cosa direbbe, questa sapienza minore, a proposito della fecondazione eterologa cui il ministro Beatrice Lorenzin ha dato il via libera in Italia? Che sarebbe bene se il bambino concepito attraverso il seme di un donatore somigliasse il più possibile ai suoi genitori, al fine di facilitargli al massimo la vita, non facendolo sentire diverso da suo padre e sua madre, eventualmente dai suoi fratelli. Direbbe, perciò, il buon senso che meglio sarebbe se genitori di pelle scura potessero avere un bambino di pelle scura, genitori bianchi un bambino bianco, genitori dai tratti orientali un bambino dai tratti orientali. E se, in più, anche il colore degli occhi e dei capelli e magari anche il gruppo sanguigno coincidessero, probabilmente padri e madri più fortemente si identificherebbero nel loro ruolo, e altrettanto i figli più strettamente si sentirebbero legati ai genitori. La somiglianza, la familiarità dei caratteri fisici sono tradizionalmente elementi di unione.
Questi dettami di buon senso non sono peraltro una trovata estemporanea, bensì stanno iscritti nei protocolli internazionali che regolano la fecondazione eterologa e anche i componenti del tavolo tecnico convocato dal ministro si sono espressi per la compatibilità. Invano, a quanto pare. Perché subito, da varie parti, cominciando dal ministro, il molto comprensibile desiderio di compatibilità è stata definita razzismo, pretesa indegna di avere un bambino su misura, da scegliere come merce al supermercato; o, ancora peggio, eugenetica. Con il risultato, così sembra, di scoraggiare il più possibile chi vorrebbe ricorrere all’eterologa, e chissà che, dopo tutto, un poco non sia questa l’intenzione.
In caso di adozioni — è un’ argomento degli avversari del buon senso — non si va tanto per il sottile, si accolgono bambini di tutti i colori, senza badare (in genere) a capelli, occhi e gruppo sanguigno; e così deve andare anche per le fecondazioni, unico legame l’amore. Nei mondi perfetti probabilmente funziona così, nel nostro l’amore da solo a volte non basta. E il bambino adottato è un orfano che viene da miseria e abbandono, cui spetta una procedura d’emergenza e perciò anche nero con bianco, bianco con nero, occhi azzurri con occhi a mandorla. Primario, per lui, è trovare genitori che poi cercheranno di affrontare come meglio potranno le future, non così rare complicazioni. Il figlio dell’inseminazione, per contro, non ha passato: ha senso preparargli appositamente, ancora prima che nasca, attraverso una non compatibilità, un percorso che potrebbe rivelarsi difficile, per lui prima di tutti?