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 2014  agosto 08 Venerdì calendario

E L’ARGENTINA PORTA L’AMERICA ALLA CORTE ONU


L’Argentina trascina in tribunale persino il governo degli Stati Uniti pur di difendersi dal secondo fallimento in appena 13 anni. E lo fa al più alto livello politico, ricorrendo alla corte internazionale di giustizia dell’Onu all’Aia (Cij), in quanto «le decisioni giudiziarie adottate dai tribunali Usa costituiscono violazioni della sovranità argentina e di altre immunità». Il governo di Cristina Fernandez de Kirchner prova così a uscire dall’angolo nel quale è finito dopo che una settimana fa il giudice di New York Thomas Griesa ha emesso una sentenza a favore di un gruppo di fondi speculativi guidati da Nml Capital, controllata del fondo Elliott Management del miliardario Paul Singer e da Aurelius Capital, che non avevano accettato la ristrutturazione dell’originario debito dell’Argentina. Bisognerà intanto vedere se Washington accetterà la giurisdizione dell’Aia su questo caso, altrimenti «nessuna azione sarà intrapresa», come ha precisato ieri la stessa Cij. Il ministro dell’Economia argentino, Axel Kicillof, martedì ha chiesto al governo Obama comunque di intervenire sulla vicenda «perché un giudice municipale non può bloccare i pagamenti di un intero Paese, qui è in gioco la nostra sovranità. Non è possibile che non si possano porre limiti a questo magistrato».
Per preparare il terreno ieri il governo argentino ha acquistato due intere pagine sul New York Times e sul Wall Street Journal in cui in cinque punti spiega che il Paese non ha fatto default visto che il mancato pagamento degli interessi è stato causato da una sentenza di un Paese estero, gli Usa, che hanno congelato soldi di proprietà dei creditori e non dell’Argentina.
Al momento del default nel 2001, i «tango bond» vennero scambiati (swap) con nuovi titoli pari al 30% circa del valore nominale. Alcuni fondi hedge, come appunto Elliott e Aurelius — che avevano acquistato i titoli dopo il default per appena 48 milioni di dollari — hanno però portato in tribunale il governo di Buenos Aires per ottenere il rimborso integrale del credito, pari a 1,6 miliardi di dollari. Lo scorso 30 luglio il giudice Griesa ha dato loro ragione imponendo all’Argentina di non pagare gli interessi sui «tango bond» ristrutturati nel 2005 e nel 2010 prima di aver rimborsato o aver trovato un accordo transattivo con i fondi. Per questo motivo ha anche bloccato i conti dell’Argentina presso la Bny Mellon dove si trovano i 539 milioni di dollari destinati a pagare gli interessi. Da qui il default su tutti i 29 miliardi di titoli di Stato in scadenza nel 2033.
Da più parti comunque si sta lavorando a una soluzione finanziaria. Un gruppo di banche — Jp Morgan, Citigroup, Hsbc e Deutsche Bank — starebbe trattando con i fondi per acquistare i loro titoli all’80% del valore. Il mercato crede in una soluzione imminente, tanto che i bond e la Borsa argentina da due giorni continuano a guadagnare. E anche Kicillof ha fatto sapere che non si opporrà a un’eventuale mossa delle banche per risolvere la questione. Che poi è l’unica possibile, visto che una clausola dei bond ristrutturati impone all’Argenti na la parità di trattamento dei creditori. Se riconoscesse di più ai fondi hedge, dovrebbe pagare anche tutti gli altri. Ma questo potrebbe davvero mettere a rischio i conti di Buenos Aires.