Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  agosto 08 Venerdì calendario

ISIS, IL SILENZIO E LE COLPE

Non è più tempo di calcoli e alchimie geopolitiche. Le considerazioni stra­tegiche su vinti e vincitori dinanzi l’ascesa in Iraq delle milizie jihadiste, lasciamole nei cassetti. Fino a pochi giorni fa, tanti analisti ritenevano che per i curdi la catastrofica sconfitta subita dalle forze armate di Baghdad contro i guerriglieri di Isis fosse una be­nedizione, ma ora anche i peshmerga, le speri­mentate truppe curde, sono in rotta, e rischiano di perdere altro terreno. Contro questi qaedisti, più fanatici e crudeli della stessa al-Qaeda delle origi­ni, contro questa lebbra che infetta il mondo isla­mico e deturpa il Medio Oriente, specie in Iraq e in Siria, è tempo oggi di fare chiarezza e di agire, u­scendo dalla palude di ambiguità, scarso interes­se e calcoli di convenienza. Perché Isis - così come le altre formazioni salafite­jihadiste che insanguinano la Siria, la Libia e mi­nacciano altri Stati nella regione - non rappresen­ta un attore geopolitico come i tanti che si sono contesi in passato e si contendono oggi il Medio Oriente, ma è un’infezione che distrugge le società con cui entra in contatto. Ovunque vadano, i se­guaci dell’autoproclamato ’califfo’ al-Baghdadi seminano morte e terrore: conquistate le zone a­bitate da sempre dalle comunità cristiane dell’Iraq, hanno imposto l’esilio immediato, come avvenu­to ieri nella città di Qaradosh, città quasi comple­tamente cristiana, i cui abitanti sono stati di fatto deportati. Decine di migliaia di donne, bambini e uomini costretti a lasciare le proprie case senza neppure potersi rivestire, in fuga scalzi nel deser­to. La più antica comunità dell’Iraq, quella cristia­na, che rischia l’estinzione e per la quale ieri si è levato nuovamente il grido di dolore di Papa Fran­cesco. Ancora peggio va alla minoranza degli ya­ziditi, considerati dai fanatici terroristi islamici co­me ’adoratori del diavolo’ e quindi punibili con la morte immediata. O alle donne sciite, a disposi­zione per i piaceri dei miliziani sunniti. Tutto que­sto avviene mentre un’altra formazione jihadista, Jabhat al-Nusra, dalla Siria minaccia i confini li­banesi e rischia di trascinare il Libano nel gorgo si­riano, e in Libia gli islamisti radicali prendono il controllo di Bengasi, aggravando il caos nel Paese. Dinanzi a questa situazione, stupisce - e anzi de­prime - il livello di interesse solo svagato di buona parte della comunità internazionale, da un’Euro­pa ancora priva del suo nuovo alto rappresentan­te agli Stati Uniti, che pure hanno perso migliaia di uomini e parte del loro status di superpotenza proprio fra le sabbie irachene. Le riottosità del pre­sidente Obama a riaprire il ’file Iraq’ sono ben no­te e comprensibili, ma è chiaro che gli Usa, già de­molitori del regime di Saddam Hussein, non pos­sono assistere inerti a questa tragedia e al collasso definitivo del Paese come entità statuale unica. Ed è qui che tornano i calcoli geopolitici di cui si di­ceva all’inizio: quelli relativi ai possibili vantaggi di una tripartizione del Paese, fra curdi al nord, scii­ti a sud e a Baghdad, sunniti al centro. E al diavo­lo le altre minoranze. Chi conosce l’Iraq sa quan­to rozza e inattuabile sia questa divisione. E quan­to le minoranze irachene non siano un orpello, ma parte integrante del tessuto storico e sociale di quel popolo. Tanto più oggi, dato che la componente sunnita non è rappresentata dai tradizionali capi tribali locali, ma da questa internazionale del ter­rore jihadista. Contro la quale siamo ben lungi dal­l’agire in modo unitario. Nonostante i proclami, le monarchie sunnite del Golfo mantengono un atteggiamento ambiguo, ossessionate come sono dall’odio settario contro gli sciiti. È tempo allora che Washington e l’Occi­dente siano meno strabici e meno condiscenden­ti con questa ambiguità. Per il 15 agosto i vescovi italiani hanno lanciato l’iniziativa ’Noi non pos­siamo tacere’, per manifestare la vicinanza e il so­stegno alle comunità - cristiane e non solo cristia­ne - minacciate dalla follia jihadista. Ma è davve­ro tempo che tutti parlino e agiscano, facendo ca­pire che la comunità internazionale non è più di­sposta a tollerare questa strage di vita e di cultura della convivenza. Ma a non ’poter tacere’ do­vrebbero essere, prime fra tutte, proprio le auto­rità islamiche sunnite, spesso ancora troppo esi­tanti e impacciate nel denunciare questa aberra­zione ideologica e dottrinale come non islamica. Perché i jihadisti sì, sono i veri negatori della pro­pria religion