Paolo Baroni, La Stampa 6/8/2014, 6 agosto 2014
“CRESCITA, ORA ARRIVA IL CONTRATTACCO”
[Intervista a Federica Guidi] –
Ministro Guidi, oggi arrivano i dati del Pil e tutto fa pensare che non saranno bei numeri. Preoccupata?
«Se devo dare una risposta secca, dico di no. Non sono preoccupata. Naturalmente veniamo da un periodo orrendo e sono d’accordo col presidente del Consiglio quando dice che un +0,1 o un -0,1 fanno poca differenza. Quello che è importante dire però è che ormai dopo mesi terribili ci siamo stabilizzati e quello di oggi non è un rallentamento solo italiano ma quanto meno di tutta la zona euro. Certo questi sul Pil sono dati che non ci fanno stare contenti, ma tutto quello che stiamo mettendo in campo lo stiamo facendo proprio perché ci rendiamo conto della straordinaria urgenza della situazione.
L’operazione bonus non risolleva i consumi, il pil stenta. Serve altro, qualcosa in più, evidentemente.
«Capisco le preoccupazioni e tutti noi siamo ansiosi di vedere risultati positivi. Ma i primi segnali di inversione di tendenza ci sono: ad esempio sono tornati a salire i mutui per le famiglie. E questo di solito è un dato che precede una ripresa su più larga scala. Anche il credito al consumo sta migliorando e gli stock di crediti per le piccole e medie imprese si sono stabilizzati. Tutti vorremmo di più, ma non è vero che non ci siano dei segnali. Ovviamente non ci accontentiamo: stiamo cercando in tutti i modi di corroborare l’economia. Le riforme che stiamo facendo vanno proprio in questa direzione».
Scusi se insisto, ma forse tutto ciò non basta ancora.
«E’ chiaro che qualche mese di lavoro non basta a invertire il trend, bisogna aspettare che un certo ciclo si compia. Bisogna avere tutti i nervi saldi: nessuno ha la bacchetta magica. Però, ad esempio, sul fronte dell’export ci sono imprese che crescono del 10-15%. Certo, accade più al CentroNord che al Sud, per cui le medie poi sono quello che sono, ma segnali che le imprese stanno iniziando a crescere ci sono tutti. Ci si chiede si più? Intanto la legge Sabatini per il finanziamento dell’innovazione tecnologia degli impianti industriali sta andando molto bene: siamo già a 5200 domande e 1,5 miliardi di fondi richiesti e certamente a fine anno esauriremo il plafond di 2,5 miliardi. E poi c’è il pacchetto competitività che è in fase di conversione alla Camera. Non solo, proprio in queste ore, stiamo lanciando una task force, che abbiamo denominato “Industrial compact”, perché dopo anni di vuoto è giunto il momento che il Paese metta a fuoco un nuovo progetto di politica industriale. Dobbiamo analizzare le cause che ci hanno portato a soffrire in parte un processo di deindustrializzazione, mettere a fuoco una nuova visione sull’evoluzione dei processi industriali e dei sistemi produttivi, individuare nuovi modelli di fabbrica intelligente e quindi predisporre interventi di policy making che di qui a tre mesi ci consentano di riattrarre, o corroborare ancor di più, il comparto industriale».
Chi c’è in questa task force?
«Innanzitutto Roland Berger, consulente di fama internazionale, che ci darà un contributo ed una visione soprattutto sull’Europa. Assieme a lui, tra glilaltri, Fulvio Coltorti, per anni responsabile centro studi Mediobanca, grande esperto di piccole e medie imprese, e poi economisti del calibro di Giorgio Barba Navaretti dell’Università di Milano, Tommaso Nannicini e Carlo Altomonte della Bocconi, Enrico Moretti che insegna a Berkeley. A loro fianco di saranno anche alcuni esperti del ministero dell’Economia allo scopo di costruire assieme le misure da adottare. Anche questa, come tutte le altre, è una riforma che poi vogliamo presentare in Europa. E che ha l’ambizione di rappresentare un nuovo modello».
Visto che l’export è più vivace del resto pensate di spingere anche su questo terreno?
«Abbiamo già annunciato un piano straordinario per il made in Italy che come obbiettivo punta ad aumentare il pil di un punto all’anno e di attrarre almeno 20 miliardi di investimenti esteri. L’idea è che ci siamo almeno 70mila imprese, soprattutto piccole e medie, che possono diventare esportatrici stabili. Abbiamo messo in cantiere un pacchetto di azioni in Italia e all’estero, ma adesso – soprattutto – è diventato indifferibile avere un unico numero di telefono al quale gli investitori stranieri e le imprese si rivolgono per venire ad investire da noi. La frammentazione che abbiamo oggi non funziona: senza spendere un euro di più dobbiamo accorpare le strutture esistenti, dall’Ice a Invitalia, e renderle più efficienti. Quindi puntare ad avere una cura maniacale nell’attrarre investimenti con una attenzione alle esigenze di ogni azienda».
State progettando il futuro, ma grandi realtà soprattutto nel campo della siderurgia, dall’Ilva all’Ast, oggi sono a rischio. Come si procede?
«Bisogna fare di tutto per difendere la presenza nel nostro paese dell’industria siderurgica. Perché oltre alla questione occupazionale, che va certamente tutelata, occorre salvaguardare la gestione di alcune materie prime che sono alla base di intere filiere industriali, dall’elettrodomestico all’automotive. È anche per questo che dobbiamo mettere rapidamente a punto l’Industrial compact».
Paolo Baroni, La Stampa 6/8/2014