Donatella Stasio, Il Sole 24 Ore 6/8/2014, 6 agosto 2014
«I MERCATI NON POSSONO PIÙ ATTENDERE»
[Intervista a Michele Vietti] –
Vietti sferza il governo a varare le riforme finora annunciate. In questa intervista al Sole 24 ore, il vicepresidente del Csm fa un bilancio dei quattro anni di consiliatura (prorogati finché il Parlamento non eleggerà i componenti laici: prossimo voto l’11 settembre) e analizza (sia pure calibrando le parole) alcuni temi cruciali dell’attualità di politica giudiziaria.
Presidente, il quadriennio si è chiuso all’insegna delle polemiche. L’ultima nasce dal richiamo del Quirinale a nominare i capi degli uffici rapidamente e in ordine cronologico. Richiamo che ha bloccato la nomina del nuovo procuratore di Palermo, già in fase avanzata.
Napolitano ha, come sempre, esercitato le sue prerogative di presidente del Csm. La materia dei direttivi è stata oggetto, in questo quadriennio, di numerosi richiami del Capo dello Stato per sollecitare una copertura più tempestiva che evitasse vacanze troppo lunghe e quindi dannose per il buon funzionamento degli uffici. In questo contesto si inserisce anche il recente richiamo che, partendo dalle 38 procedure di nomina ancora aperte (una del 2012 e 12 del 2013), invita il Consiglio a coprire "in via prioritaria i posti direttivi vacanti da più lungo tempo", seguendo l’ordine cronologico delle scoperture, anche per evitare "scelte riferibili a una composizione del Csm diversa da quella del Consiglio che sta per insediarsi". Palermo non c’entra niente, se non perché è una delle sedi di scopertura più recente, che andrà coperta quando verrà il suo turno.
Lascerete la nomina in eredità ai vostri successori oppure, vista la proroga, la porterete al traguardo?
Procederemo nell’ordine indicato dal Capo dello Stato e se ci sarà tempo arriveremo anche a Palermo.
Il caso Bruti/Robledo, secondo lei, che cosa racconta?
Con tutto il rispetto per il lavoro del Consiglio e a titolo strettamente personale, mi sembra che la montagna abbia partorito un topolino. Dopo un dibattito troppo lungo e troppo enfatizzato mediaticamente, il Consiglio si è limitato a rilievi inversamente proporzionali al danno di immagine nel frattempo subíto dalla procura di Milano.
E allora chi è l’artefice di quel danno d’immagine? Chi ha sollevato il "caso"?
Non posso e non voglio sostituire il mio giudizio a quello del Csm. Certo, tempi e modi della polemica all’interno della procura non sono stati adeguati alla delicatezza delle indagini in corso e all’esigenza prioritaria di tutelare l’immagine di un ufficio comunque affidabile.
Dopo 4 mesi di annunci, il governo si è presentato all’appuntamento con la riforma della giustizia con 12 "linee guida". Anche se se ne parla come se la riforma ci fosse già, a parte le schede illustrative sul sito del ministero non è stato varato neanche un testo. Se l’aspettava?
Forse la necessità di rispettare la scadenza del 30 giugno, annunciata per la riforma, ha imposto una corsa contro il tempo che può aver determinato qualche approssimazione. Non ho esperienza di consultazioni in rete, tanto meno su una materia delicata e tecnica come la giustizia, però attendo fiducioso che a settembre il governo vari gli articolati, come promesso dal ministro.
Parlare di corsa contro il tempo per una riforma pluriannunciata equivale a dire che il governo era impreparato o non è coeso?
Ogni governo ricomincia da capo e durante i quattro anni della mia consiliatura si sono succeduti ben cinque guardasigilli. In queste condizioni di precarietà è difficile pensare a riforme di sistema. Mi auguro che l’orizzonte di questo governo lo consenta.
Che cosa devono pensare gli investitori stranieri di questi continui annunci e rinvii?
I mercati sono perennemente in movimento e la concorrenza riguarda anche gli ordinamenti giudiziari. Chi non li rende tempestivi ed efficaci ha già perso la partita per attrarre risorse. I giuristi a vario titolo non sono esenti da responsabilità per la mancata ripresa economica del Paese.
Se Berlusconi ha fatto scuola quanto a comunicazione politica (annunci), Grillo è diventato un modello quanto alla rete come luogo di consultazione di ogni decisione. È così che si cerca il consenso?
La rete, piaccia o meno, è la comunicazione di oggi. Come tutti gli strumenti, non esclusi giornali e tv, si presta a usi strumentali e a distorsioni che esigono cautela ma non possono metterne in dubbio la rivoluzionaria portata innovativa. Certo, la politica non può pensare di delegare alla rete la responsabilità delle sue decisioni.
Nonostante le priorità conclamate da tempo immemorabile - civile, prescrizione, corruzione - a un certo punto spuntano sempre la responsabilità civile dei magistrati e le intercettazioni, per poi non farne mai nulla. Sembra una mossa intimidatoria verso toghe e stampa.
Effettivamente anch’io sono stufo di parlare a vuoto di intercettazioni. Non credo che impedire la divulgazione di conversazioni irrilevanti di terzi estranei all’indagine sia un’intimidazione verso qualcuno. È semplicemente un’esigenza di buon senso. La responsabilità civile in passato certamente è stata agitata contro i magistrati, ma non si può negare che l’attuale sistema non funzioni.
In attesa del ddl, la scheda sul sito del ministero parla di "cattivo uso del potere giudiziario", elimina il filtro, prevede un rafforzamento dei rapporti tra responsabilità civile e disciplinare: l’Anm teme valanghe di ricorsi, soprattutto contro i giudici civili, i più esposti. Timori fondati?
La responsabilità diretta avrebbe dato la stura a un contenzioso incontrollabile. Così non credo. Certo, occorrerà precisare bene il concetto di "cattivo uso" per evitare l’abuso di questo strumento. Sono d’accordo, invece, sull’abolizione del filtro, sull’obbligatorietà della rivalsa e sull’aumento dell’importo recuperabile. La responsabilità disciplinare è una cosa diversa ma l’una non esclude l’altra.
Manca un mese all’operatività della nuova geografia giudiziaria ma né Renzi né Orlando l’hanno citata, nemmeno en passant, tra i 12 punti. Distrazione?
Quello che si poteva fare è stato fatto e meno se ne parla meno si eccitano "i campanili". L’importante è non fare passi indietro. Anzi, dopo quella dei tribunali occorrebbe mettere mano anche a una razionalizzazione delle corti d’appello.
Nel ’98, con il centrosinistra al governo, l’allora ministro Flick presentò subito il suo pacchetto di riforme, che però fu stoppato dalla Bicamerale, cioè dalle riforme costituzionali. Quanto sta accedendo sembra un déjà vu.
Il rischio di aprire troppi fronti contemporaneamente c’è, ma è indubbio che questo Paese non può più rinviare la riforma della giustizia, neanche invocando l’esigenza di farne altre, pur necessarie.
Con l’assoluzione di Berlusconi nel processo Ruby si torna a parlare della legge Severino, dello spacchettamento della concussione, delle ricadute sui processi in corso. In attesa delle motivazioni, alcuni effetti già si sono verificati (prescrizione Penati). Il parere del CSM segnalò queste criticità, poi diventate realtà, ma il tempo era scaduto. Maggiore tempestività avrebbe limitato i danni?
In verità, il parere arrivò poco prima dell’approvazione finale da parte della Camera. Ma, con tutto il rispetto per i nostri pareri, non credo si possa addebitare alla loro tempistica quello che è successo sulla legge Severino. Ciò che avevamo da dire l’abbiamo detto e resta un utile suggerimento se e quando si deciderà di rimettere mano alla materia.
Non sembra che il governo voglia farlo, sebbene in campagna elettorale tutti (tranne Fi) lo avessero promesso. Eppure, sulla rivista «Cassazione penale» di maggio e di giugno, due autorevoli giuristi, Massimo Donini e Marco Gambardella, sostengono che la "continuità normativa" tra vecchia e nuova induzione sia stata una "scelta politica", più che giuridica, delle sezioni unite della Corte per evitare - come ai tempi delle leggi berlusconiane - che i processi andassero al macero. Tutto cambia, niente cambia?
Vediamo se la giurisprudenza, una volta assestata, riuscirà a compensare le incertezze interpretative manifestatesi finora. Altrimenti sarà inevitabile che il legislatore torni sull’argomento.
Il verdetto Ruby ha suscitato svariate letture: il clima politico è cambiato e anche i magistrati; una sentenza frutto dell’assedio contro la procura di Milano; un errore della procura (e del Tribunale) perché le accuse erano infondate fin dall’inizio; un epilogo dovuto alla legge Severino. Qual è la più realistica?
Aspetto di leggere le motivazioni. Non credo che le sentenze, come l’abbigliamento, dipendano dal clima. Il sistema si autocorregge al suo interno attraverso tre gradi di giudizio. Le modifiche rientrano nella fisiologia, anche se capisco il disorientamento dell’opinione pubblica.
Crede anche lei che Berlusconi sia stato un collante per la magistratura che ora, invece, procede in ordine sparso?
Indubbiamente l’identificazione di un avversario, o che tale si rappresenta, rinserra i ranghi. Il rischio in quella fase è che la psicosi del fortino assediato determini una chiusura corporativa e diventi un alibi per rifiutare qualsiasi cambiamento. Quando poi si è orfani del nemico si è costretti a fare i conti in casa propria, senza più giustificazioni. Allora o si ha una chiara idea di politica giudiziaria e degli strumenti per perseguirla, oppure si corre il rischio della diaspora, anche rispetto alla tradizionali forme associative della magistratura.
Un mese fa sembrava che il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, per la sua interferenza sul voto per i togati del Csm, dovesse essere "licenziato" dal governo. Poi tutto è finito nel silenzio...
Ferri mi è simpatico ma sono contrario ai magistrati che si danno alla politica e non recidono il cordone ombelicale con l’ordine di appartenenza. Se il governo, come dice, la pensa allo stesso modo, intervenga vietando alle toghe in politica di tornare in magistratura.
Tempo fa sia lei che il Capo dello Stato avete richiamato i magistrati a farsi carico delle "compatibilità" economiche e sociali delle loro decisioni. Anche di quelle politico-istituzionali? Ma così non si spinge il magistrato verso un ruolo politico?
Non è un problema di improprio ruolo politico del magistrato, ma di consapevolezza che le sentenze non restano nell’Iperuranio. Incidono sulla carne viva degli uomini nonché sul tessuto produttivo e sugli assetti economici dell’intero Paese. E qualche volta anche su quelli politico-istituzionali. Ciò non vuol dire subordinare l’interpretazione alla ragion di Stato, ma usare l’equilibrio e il senso di responsabilità. Non è vietato farne buon uso anche quando si applica la legge.
Progetti o programmi per il dopo-Csm?
Kafka raccomandava di lasciar dormire il futuro perché, se lo svegli prima, otterrai un presente assonnato.
Donatella Stasio, Il Sole 24 Ore 6/8/2014