Paolo Siepi, ItaliaOggi 6/8/2014, 6 agosto 2014
PERISCOPIO
Il ministro Maria Elena Boschi, della cui onestà non c’è motivo di dubitare, deve ancora dimostrare la sua competenza. Daniela Ranieri. Il Fatto.
La Francia d’en bas, degli invisibili, dei dimenticati, di cui voglio essere il portavoce, è in collera. Quella Francia che in molti credevano assopita, sta insorgendo contro la classe dirigente, contro i partiti, contro i media, contro le élite. Ivan Rioufol. Le Figaro.
L’alpinista è chi conduce il corpo dove un giorno gli occhi hanno guardato. Gaston Rébuffat, guida alpina marsigliese. La Stampa.
L’ultima baraccopoli politica della meglio sinistra si appresta ad essere smontata pezzo per pezzo dai suoi rissosi edificatori. Essendo la lista dei meglio, quella intestata all’ardito del Peloponneso (Tsipras) ognuno dei suoi componenti, il meglio si crede fico del bigoncio, sale della democrazia. Ma va da sé, per unanime riconoscimento, che il nome più pregiato, fra i tanti di elevata pezzatura, fosse proprio quello di Barbara Spinelli (tanta la contentezza di averla in lista e tanta la certezza, poi rivelatasi non tale, che poi si sarebbe dileguata rinunciando al seggio a Strasburgo) che quasi non pareva vero con quel cognome che, si capisce, con l’Europa fa tutt’uno. Vero che nell’eloquio (per rispettabile timidezza e giammai per spregio dell’interlocutore) trascinante non risultava, ma la sua scrittura, ah, la scrittura! e nelle sue idee, ah, le idee! chi, non poteva trovare impeto e consolazione? Stefano Di Michele. Il Foglio.
Sabato 15 gennaio 1994. Incontro, per caso, in piazza del Pantheon, un collaudato dirigente del Pci, che sa tutto del vecchio partito e del Pds. Mi dice: «Se perderemo, come è probabile, Occhetto salta e deve dimettersi da segretario. Dopo di lui potrebbe venire Veltroni. Ma ci sarà una lotta all’ultimo sangue fra Walter e D’Alema. Per avere una chance, Walter deve imparare ad esporsi, ad avere idee sue e a rischiare. Se vuole diventare un leader, non può dire sempre e soltanto sì a tutti». Giampaolo Pansa, Tipi sinistri. Rizzoli, 2012.
Noi italiani siamo indolenti, strafottenti, prepotenti o vigliacchi a seconda delle condizioni e delle opportunità, insofferenti alle regole e alle autorità e, nello stesso tempo, pecoroni e servili, irrispettosi, maleducati, pigri, meschini, gretti, invidiosi, provinciali, sbruffoni, mammoni, irresponsabili, volgari costantemente inclini al compromesso e al cambio di casacca, rumorosi piagnoni, opportunisti e fondamentalmente mediocri. Della via di mezzo («l’aurea mediocritas» degli antichi) abbiamo ereditato il suo contrario sfigurato: mai una scelta netta, mai un’uscita a viso aperto; e la convinzione, invece, di essere più furbi e di farla sempre franca, volando a pelo d’acqua. Fabrizio Rondolino, L’Italia non esiste - Per non parlare degli italiani. Mondadori, 2011.
Il mafioso teme la vista del volto del Signore, si deprime alla sola idea di dovere passare l’eternità in Sua compagnia, senza bambini da sciogliere nell’acido o magistrati da far saltare in aria. Santità, li mandi in paradiso, i mafiosi, dove, ogni giorno debbano ascoltare il clavicembalo di Bach o guardare un film del grande Ozu, «la cosa più simile al paradiso» assicura Wim Wenders. Non passerebbe un’ora che vedremmo i mafiosi dare segni inequivocabili di disperazione. Si rivolteranno reclamando l’inferno, si spareranno l’uno con l’altro dimentichi della loro immortalità. È vano, Santità, ricordare ai mafiosi che «il denaro è insanguinato e non potranno portarlo con loro nell’aldilà». Costoro non uccidono per lucro ma per andare all’inferno. Il denaro maschera la passione per il fuoco eterno e il rovente forcone. Pentirsi? In fine di vita si rammaricano solo di non avere accoppato tutta la gente che avrebbero voluto, di non aver abbastanza sputato alle stelle e calpestato le margherite. Umberto Silva, psicanalista. Il Foglio.
André Gide ha scritto: «Tutto si aggiusta: male». E infatti anche in Italia tutto si è aggiustato: malissimo. Abbiamo le città più scalcinate d’Europa, il sistema ferroviario più lento ed arretrato, i regolamenti più cervellotici, la magistratura più divisa, le Camere più inconcludenti, i partiti più esosi, le poste più grottesche, i porti meno efficienti, i fiumi più indisciplinati, le montagne più franose, la malavita più potente, il traffico più apoplettico, i parcheggi più sporadici e i tribunali più intasati del continente: tutte disfunzioni che non sono state compensate, ma inasprite dallo sviluppo economico e che potrebbero strozzarlo, dopo averlo stranamente consentito (qualcuno dice addirittura favorito). Saverio Vertone, L’ultimo manicomio. Rizzoli, 1991.
Mio padre non riusciva a capire come si potesse uccidere per il piacere di farlo. Mi parlava degli uccelli migratori con una grazia e un calore che non ho mai dimenticato. Diceva: vedi, hanno covato le uova, le hanno viste schiudere e hanno dato da mangiare ai piccoli; poi hanno deciso di partire assieme per il loro lungo viaggio. Parlava degli uccelli ma usava termini come «figli», «famiglia». E all’improvviso, per colpa di qualche incosciente, tutto questo percorso si interrompeva sopra un roccolo, dentro le reti o a fucilate. Elio Fiorucci, stilista. Corsera.
A proposito di letteratura impegnata, secondo me, il punto di partenza di uno scrittore deve essere quello del barista: non cercare di migliorare il genere umano. Horace Engdhal, svedese, scrittore, massimo responsabile nell’attribuzione del Nobel della letteratura. Le Monde.
Ieri ero sul lungomare, marciapiede stretto. Vedo arrivare di corsa un bambinone in costume e scalzo. Correva come un bufalo e avrà avuto dieci anni per 80 kg tutti. Mi sono preparato all’impatto. Mi sono fermato ben piantato. Ho alzato il braccio sinistro tipo scudo (reparto celere) e l’ho cercato, forse potevamo sfiorarci. Un bel colpo, entrambi siamo finiti per terra (sono 95 kg). Gli ho chiesto: «Ti sei fatto male?». Lui: «No, niente! Niente! Lei?». Niente neppure io, rispondo. Bambinone: «Ok. Domani ancora?». Tenete presente che non ci eravamo mai visti prima. Una signora anziana sull’altro marciapiede ha urlato: «Vergogna». Io: «Vergogna è rubare!». Lei: «Sì, è vero! In fondo siete solo due imbecilli, lei molto di più essendo un cabarettista comunista». Io: «Come fa a saperlo?». Lei: «Si vede dai ragionamenti che fa». Maurizio Milani. Il Foglio.
La vita non è una battaglia: è una guerra. Roberto Gervaso. Il Messaggero.
Paolo Siepi, ItaliaOggi 6/8/2014