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 2014  agosto 05 Martedì calendario

VOLUNTARY SOLA CARTA DISPONIBILE PER IL PREMIER

I conti non tornano. Ora lo ammette anche il governo. La crescita del pil nel 2014, ipotizzata allo 0,8%, nella migliore delle ipotesi sarà dello 0,2-0,3%. Su questo concordano le stime di Fmi, Mediobanca e Confindustria. E la spesa pubblica, nonostante tutte le spending review, continua implacabilmente a crescere. Nel solo maggio è aumentata di 20 miliardi. Il rapporto fra debito pubblico e pil, che con il governo Monti era passato dal 120 al 126%, è arrivato al 132% con il governo Letta e con quello Renzi ha superato il 135%. Si prevede che, a fine anno, sfonderà quota 140. Ecco perché molti analisti prevedono che il governo sarà costretto, tra settembre e ottobre, a preparare una manovra correttiva.
Per Jp Morgan, la stangata sarà nell’ordine di 20 miliardi di euro. Secondo Mediobanca, invece, sarà di 10-15 miliardi. Ma c’è chi ipotizza anche cifre superiori. Nella migliore delle ipotesi, anche ammesso che il governo riesca a evitare una manovra correttiva autunnale, la medicina amara sarà somministrata nella legge di Stabilità per il 2015, che deve essere predisposta entro il 15 ottobre e inviata a Bruxelles per l’approvazione, dove non c’è gente troppo in vena di scherzare. Per trovare 20 miliardi di euro (ammesso che sia questa la pezza necessaria a rattoppare il bilancio statale) ci sono solo due opzioni: tagliare le spese (o privatizzare) o aumentare le entrate.
Al taglio delle spese non crede più nessuno, nemmeno il commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, che nei giorni scorsi ha lamentato il fatto che governo e parlamento stiano spendendo le somme che dovrebbero essere recuperate dai tagli di spesa pubblica, prima ancora di averle incassate: «Si sta diffondendo la pratica di autorizzare nuove spese indicando che la copertura sarà trovata attraverso future operazioni di revisione della spesa o, in assenza di queste, attraverso tagli lineari delle spese ministeriali», ha spiegato Cottarelli, «era già successo nella legge di Stabilità del 2014, nel decreto legge 4 di fine gennaio 2014 e nel decreto legge sulla pubblica amministrazione. Ora questa pratica sembra sia utilizzata per finanziare il pensionamento di alcuni lavoratori arrivati alla cosiddetta quota 96 e tenuti in servizio in base alle regole di pensionamento vigenti. Il totale delle risorse che sono state spese prima di essere state risparmiate per effetto di queste decisioni ammonta ora a 1,6 miliardi per il 2015».
D’altra parte le privatizzazioni, che potrebbero consentire di incassare qualche miliardo, sono operazioni lunghe e complesse. E le previste cessioni di quote di aziende in mano pubblica procedono con tempi più lunghi di quelli ipotizzati.
L’alternativa è l’aumento delle entrate. Ma l’Italia ha già raggiunto il primato assoluto di pressione fiscale. Lo spiega un rapporto della Confcommercio, secondo il quale nel 2013 il nostro Paese è arrivato, per quanto riguarda la pressione fiscale effettiva, al netto del sommerso (17,3%), a quota 53,2%. Difficile pensare che si possa andare oltre.
Sembra non esserci via di fuga. Salvo una: la voluntary disclosure. Cioè la possibilità di far rientrare i capitali italiani detenuti all’estero e non dichiarati. I tempi sono quanto mai favorevoli, perché nessuno nutre più alcun dubbio che la stagione del segreto bancario sia ormai finita e che tra pochi mesi o pochi anni tutti i Paesi civili cominceranno a scambiarsi automaticamente i dati finanziari relativi ai rispettivi cittadini. In queste condizioni, avere un tesoretto in Svizzera o in Lussemburgo è come avere una pietra legata attorno al collo. Prima o poi tirerà a fondo. In queste condizioni l’operazione di rientro dei capitali, se ben gestita, potrebbe far entrare 10/20 miliardi in tempi relativamente brevi. Infatti negli altri Paesi europei dove è stata adottata ha dato generalmente buoni risultati. Ma il parlamento ne sta discutendo da nove mesi senza riuscire a cavare un ragno dal buco.
Il partito di maggioranza relativa, il Pd, è spaccato tra i realisti, disponibili ad allargare le maglie di quella che, tutto sommata, è un’imposta volontariamente accettata dai contribuenti, e i duri e puri, che avendo predicato per anni conto le sanatorie fatte dagli altri, ora non sono disponibili a sporcarsi le mani nemmeno con qualcosa che non è propriamente un condono. Se il governo opterà per la stangata fiscale bisognerà ringraziare proprio loro.
Marino Longoni, MilanoFinanza 5/8/2014