MilanoFinanza 5/8/2014, 5 agosto 2014
UN DESTINO IDENTICO PER I DUE PROTAGONISTI DELLA SVOLTA DEL LINGOTTO?
Fu Gianluigi Gabetti, tornato in servizio permanente come presidente dell’Ifil per la morte di Giovanni Agnelli, a scegliere Luca Montezemolo come presidente della Fiat alla morte di Umberto. Con una telefonata dalla sede dell’Ifil, dopo il rito funebre per Umberto, e con il consenso di tutta la famiglia che era stata convocata d’urgenza per scongiurare le pretese di Giuseppe Morchio, Gabetti nominò Montezemolo. Accanto a lui Susanna, che parlò anch’essa a telefono con Montezemolo per confermargli che la scelta della famiglia era unanime. Dopo arrivò la nomina (ancora una scelta di Gabetti) di Sergio Marchionne come amministratore delegato. Gabetti, da quando lasciò la guida dell’Olivetti America, ha trascorso più di 40 anni ai vertici delle finanziarie della famiglia Agnelli, costruendone la fortuna, partendo da quella dotazione di pochi milioni di dollari che fu assegnata all’Ifi International e che si è trasformata in un patrimonio miliardario in euro. È stato lui, con Franzo Grande Stevens, a immaginare e realizzare lo swap delle azioni per scongiurare la perdita del controllo della Fiat da parte della famiglia. Per questo ha trascorso otto anni di sofferenza fino a quando recentemente la Cassazione lo ha assolto da ogni accusa originata dalla Consob per quell’operazione.
Montezemolo è stato per molti anni a fianco di Giovanni e Umberto Agnelli, a capo della Ferrari negli anni dei successi di Niki Lauda e poi di nuovo di Michael Schumacher. Per 12 anni è stato nel consiglio d’amministrazione della Fiat. Per sette ne è stato presidente, prima di lasciare il vertice al giovane erede John Elkann. Destino comune, quello di Gabetti e Montezemolo, perché al momento della loro uscita dai vertici del gruppo non una parola ufficiale è stata spesa dagli attuali vertici. Non una parla per Gabetti neppure al momento della completa assoluzione. Per Gabetti qualcuno potrebbe pensare che sia avvenuto su sua richiesta, schivo com’è, da ex ufficiale di cavalleria. Ma non è così. Non una parola di ringraziamento neppure per Montezemolo nell’assemblea di pochi giorni fa, quando è stato letto l’elenco dei consiglieri della nuova Fca, holding con più patrie per pagare meno tasse e anche per dare una lezione (Marchionne) all’inefficiente Italia, benché lo Stato italiano abbia salvato più volte e con molti contributi e favori la Fiat nella sua storia torinese. A porre la domanda sull’uscita dal consiglio di Montezemolo è stato un azionista, che si è rivolto a Marchionne. Il quale ha passato la palla a Elkann, essendo tema proprio dell’azionista. Il giovane presidente ha spiegato che, per via delle nuove regole, c’era spazio solo per tre consiglieri italiani non indipendenti: Elkann, Marchionne e Andrea Agnelli. E Montezemolo non è né azionista né indipendente, conservando al momento la presidenza della Ferrari. In cda è stato fatto entrare Ermenegildo Zegna, con l’obiettivo di segnalare il carattere made in Italy del gruppo ex Fiat. Ma non una parola di ringraziamento a Montezemolo nel comunicato ufficiale. Come per Gabetti al momento dell’uscita dai vertici operativi o a quello della completa assoluzione. La gratitudine non è di questo mondo? No, a Torino non lo è. E dov’è finito il vecchio stile Agnelli, almeno quello un tempo autentico?
MilanoFinanza 5/8/2014