Luigi Zingales, Il Sole 24 Ore 5/8/2014, 5 agosto 2014
IL VOTO PLURIMO FAVORISCE «LE PIRAMIDI»
Nell’intervento sul Sole di Domenica il sen. Mucchetti risponde alle mie critiche sulle riforme al codice civile introdotte all’interno di un decreto sulla competitività. Non mi sorprende. Pur avendo un’enorme stima per Mucchetti, sono consapevole che siamo portatori di due visioni diverse dell’economia. Mi stupisce maggiormente che Mucchetti sia in disaccordo con le posizioni da lui stesso espresse in passato.
Nel suo libro Licenziare i padroni? Mucchetti aveva biasimato il fenomeno delle piramidi societarie in cui, «investendo pochissimo al vertice, si può governare una grande massa di attività alla base». Citando Einaudi, Mucchetti ribadiva che con le piramidi «i soliti furbi comandano con il capitale degli ingenui». Oggi con il voto plurimo e le facilitazioni alla sua introduzione per le società già quotate, Mucchetti favorisce le piramidi societarie. Chiunque è libero di cambiare idea. Ma Mucchetti ci dovrebbe spiegare il perché. O invece Mucchetti distingue tra piramidi buone (quelle in cui i soliti furbi sono gli amici delle fondazioni) e piramidi cattive (quelle al cui vertici ci sono gli altri)? Come Einaudi, io non mi sento di distinguere tra padroni buoni e padroni cattivi. Ci sono solo istituzioni buone (che favoriscono l’efficienza economica) ed istituzioni cattive (che l’ostacolano). Per me le piramidi sono sempre cattive, sia che a capo ci siano i miei amici o i miei nemici.
Nella difesa dei suoi emendamenti, Mucchetti fa anche di ogni erba un fascio. La mia critica era focalizzata sulla deroga temporanea che consente alle società quotate di introdurre il voto plurilmo con maggioranza semplice. È come se si permettesse temporaneamente di modificare la costituzione italiana con procedura ordinaria. Se simile norma fosse introdotta in parlamento per decreto, Mucchetti sarebbe il primo ad urlare che si tratta di una "legge truffa". L’emendamento da lui proposto fa lo stesso per quanto riguarda il diritto societario. Perché non dovremmo chiamarlo emendamento truffa?
Mucchetti lo giustifica come protezione contro la possibilità che le istituzioni oggi hanno di votare anche quando hanno già venduto il giorno prima. Ma quanto importante è questo fenomeno? Quanto mina la stabilità delle aziende? Anche il lupo della favola di Fedro adduce una giustificazione per il suo assalto all’agnello («mi hai fatto diventare torbida l’acqua che sto bevendo»). La giustificazione del lupo era chiaramente pretestuosa (si abbeverava a monte dell’agnello), in che misura lo è anche quella di Mucchetti?
Per quanto riguarda gli altri aspetti del decreto (voto plurimo, loyalty shares, e riduzione della soglia per l’Opa obbligatoria) la mia posizione è più sfumata. Non sono ideologicamente contrario al voto plurimo, soprattutto se introdotto in imprese non quotate. Per le imprese quotate, invece, il voto plurimo rischia di accentuare i mali del capitalismo nostrano. È vero che la Svezia ha il voto plurimo. È anche vero che il valore del controllo in Svezia è solo il 7% del valore di un’impresa, perché, anche grazie alle leggi svedesi, gli imprenditori locali non possono abusare del loro controllo. In Italia, invece, il premio del controllo è del 37% e le azioni a voto plurimo non faranno che aumentarlo. È questa la direzione in cui vuole andare Mucchetti? Quali sono i benefici economici di questa iniziativa se non di proteggere la posizione traballante di qualche amico?
Sono invece contrarissimo alle loyalty shares, ossia ad azioni che diventano a voto plurimo dopo essere state detenute per un certo periodo di tempo. Esse hanno tutti gli svantaggi del voto plurimo, senza i vantaggi. Concentrano eccessivamente il potere, senza riconoscere alcun vantaggio (in termini di prezzo inferiore) alle azioni senza voto plurimo. Per giunta hanno lo svantaggio di rendere estremamente difficili i cambi di controllo. Si consideri un’azionista storico, che detiene solo il 10% delle azioni, ma il 30% dei diritti di voto. Se non vende mantiene il controllo, se vende non riesce a trasferire il controllo perché le sue azioni torneranno ad avere solo il 10% dei voti. Questo significa che tenderà a non vendere, anche quando il nuovo compratore è in grado di aumentare il valore dell’impresa, perché non riesce a monetizzare il valore del suo controllo. Le loyalty shares tendono quindi ad ingessare la struttura del controllo societario, l’ultima cosa di cui ha bisogno oggi l’Italia.
Questo problema si pone anche per l’abbassamento della soglia per l’Opa obbligatoria. Sono il primo a voler difendere i diritti degli azionisti di minoranza, ma soglie molto basse di Opa obbligatoria non proteggono gli azionisti di minoranza, ingessano solo il mercato del controllo. Dato l’elevato valore del controllo in Italia, quando la quota azionaria con cui si controlla un’impresa è bassa, è difficile per un compratore soddisfare le esigenze di prezzo del venditore ed estendere questo prezzo a tutte le altre azioni. Il risultato è che nessuno compra e le imprese vanno a rotoli, ma non cambiano controllo. È forse questo un beneficio per gli azionisti di minoranza?
Anche ignorando le Opa ostili (estremamente rare), l’efficienza del mercato borsistico richiede pressioni esterne per un ricambio al vertice, che esso avvenga per pressione degli investitori istituzionali o per acquisto della quota di controllo da parte di chi è in grado di gestire meglio un’impresa. Le azioni a voto plurimo eviscerano la capacità di influenza degli investitori istituzionali. L’abbassamento della soglia per l’Opa rende ancora più costoso comprare il controllo da chi lo possiede. Entrambi gli emendamenti vanno nella direzione di congelare la struttura di potere esistente, con grave danno per la dinamicità del nostro sistema economico. Altro che «licenziare i padroni», Mucchetti li vuole imbalsamare, a patto che … odorino di sagrestia.
Luigi Zingales, Il Sole 24 Ore 5/8/2014