Roberto D’Alimonte, Il Sole 24 Ore 5/8/2014, 5 agosto 2014
PREFERENZE, LA VIA D’USCITA È IL «TOSCANELLUM»
Forse il ritorno del voto di preferenza è alle porte. Se ne parla ormai apertamente come di una delle possibili modifiche dell’Italicum. Nell’Italicum, così come è stato approvato alla Camera, il metodo di selezione degli eletti è la lista bloccata.
Va bene a Berlusconi che così si sceglie i candidati che vuole e va bene a Renzi per lo stesso motivo. Non va bene alla Cgil, e a altre organizzazioni di interessi, che senza voto di preferenza sono costrette a negoziare con le segreterie di partito posti in lista per i propri candidati, mentre con le preferenze se li eleggerebbero da soli. Ma Renzi è un pragmatico. È disposto a rinunciare alla lista bloccata per attenuare le resistenze alle riforme dentro il suo partito. Berlusconi non si sa per certo. Ma il partito delle preferenze è ben presente anche in Fi e forse anche il Cavaliere ha capito che in fondo le preferenze – quanto meno in numero limitato – possono far comodo anche a lui. Poi ci sono gli altri tra cui il Ncd e M5S che le preferenze le vogliono, l’uno per motivi pratici (la tradizione democristiana di raccolta del consenso in cui Alfano e Casini eccellono), l’altro per motivi ideologici. E così forse le preferenze arriveranno.
È un bene per il Paese? No. Le preferenze non sono il male assoluto, o la farina del diavolo, ma nell’Italia di oggi sono una scelta sbagliata. Tra una generazione o due forse funzionerebbero. Oggi no. Certo, suona bene dire che con le preferenze sono gli elettori, e non i partiti, a scegliersi i candidati. Ma questo è un ragionamento astratto. Sul piano concreto invece ne conosciamo bene gli effetti nefasti: lotte fratricide dentro i partiti, corruzione, finanziamenti illeciti, influenza delle lobbies e della criminalità organizzata. Ma pare che il superamento della lista bloccata sia un prezzo da pagare per sbloccare le riforme, compreso il superamento del bicameralismo paritario. E allora in nome del realismo ingoiamo il rospo e andiamo avanti sperando che di compromesso in compromesso non si vada all’inferno. Ma che almeno sia un compromesso accettabile.
A dar retta alle voci di corridoio sembra che le proposte in campo siano per ora due. Entrambe tendenti a introdurre un sistema misto tra lista bloccata e lista aperta (cioè voto di preferenza). Una soluzione prevede che in ogni collegio dell’Italicum i capilista siano bloccati e gli altri candidati siano invece scelti con le preferenze. Però, se restano gli attuali collegi dell’Italicum questa rischia di essere una soluzione insoddisfacente. Infatti con i collegi piccoli attualmente previsti succederebbe che il vincente avrebbe certamente una parte dei suoi candidati eletti con le preferenze, mentre i perdenti avrebbero tutti o quasi candidati eletti con lista bloccata. A ben vedere è un compromesso perfetto tra Pd e Fi. Il Pd salva l’anima e accontenta la Cgil e tutti quelli che vogliono avere voce in capitolo nella selezione degli eletti. Fi fa finta di accettare il voto di preferenza, ma in realtà sarebbe sempre Berlusconi a decidere chi entra alla Camera. E così sarebbero tutti contenti. Per correggere questo problema bisogna allargare i collegi, ma così facendo si creano altri problemi.
Esiste però un’altra soluzione di compromesso, simile a quella prevista nella recente proposta di riforma elettorale in Toscana. In ogni regione potrebbe esserci un listino con un certo numero di candidati bloccati. Gli altri sarebbero scelti con il voto di preferenza nei collegi plurinominali previsti dall’Italicum per ogni regione. Quanti candidati eletti con l’uno o con l’altro sistema? La soluzione toscana non è applicabile a livello nazionale. In Toscana ogni partito indica un massimo di tre candidati nel listino bloccato. Nell’Italicum dovrebbe essere una percentuale degli eletti di ciascun partito a livello regionale. Supponiamo che la percentuale concordata sia il 30% degli eletti in ogni regione. Se un partito ottiene tre seggi, uno va al primo dei candidati nel listino bloccato e gli altri due ai due candidati nei collegi della regione. Se un partito ottiene uno o due seggi si dovrà decidere se privilegiare i candidati "bloccati" o quelli "preferenzabili". È una decisione politica, non tecnica. Così come quella sulla percentuale dei candidati da eleggere nell’uno e nell’altro modo.
Quali sono i problemi che pone una simile soluzione? Il maggiore è che diventa più difficile fare in modo che a ciascun collegio plurinominale nella regione vengano dati i seggi che gli spettano in base alla popolazione. Ma qualcosa ci si può inventare per minimizzare il problema. Alla fine avremmo una parte degli eletti scelti dai partiti e una parte scelti dagli elettori. Se l’Italia fosse un paese normale non sarebbe una cattiva soluzione. Ma l’Italia non è un paese normale. Non è normale che in Lombardia il 12% degli elettori abbia usato il voto di preferenza nelle regionali dello scorso anno mentre in Calabria alle ultime regionali lo abbia fatto quasi il 90%. Detto ciò, in nome del realismo politico meglio fare di necessità virtù e augurarsi che la reintroduzione delle preferenze a livello nazionale dia risultati migliori che nel passato. Ma è un atto di fede.
Roberto D’Alimonte, Il Sole 24 Ore 5/8/2014