Bruno Ventavoli, La Stampa 5/8/2014, 5 agosto 2014
BONNIE
& CLYDE ANCHE I CATTIVI DIVENTANO EROI –
Galeotta fu un’amica comune che s’era rotta un braccio. La leggenda della coppia criminale più celebre del mondo cominciò così, molto banalmente, nel Texas mortificato dalla grande crisi. Correva l’aprile del 1930, quando Bonnie andò a trovare l’inferma per aiutarla a sfaccendare. Da lì, passò anche Clyde per un saluto di cortesia. Fu subito amore. Semplice e tragico al tempo stesso, quindi perfetto. In soli quattro anni si bruciarono la vita, tra passione, crimini, fughe sconfinate, sogno di chissà che cosa. Finché una tempesta di spari esplosi da una squadra speciale di sceriffi li spedì al creatore e nella fama imperitura. Era il 23 maggio 1934.
Il destino di Clyde (Barrow) avrebbe potuto essere molto diverso, se le moire e il sistema penitenziale americano non ci avessero messo lo zampino. Nacque nel 1909 da una famiglia di agricoltori con otto figli e campi che non germinavano più nulla, impolverati dal furore della depressione. Quando prese un’auto a nolo e non la restituì passò dalla parte sbagliata della legge. Peggiorò la situazione con un furto di tacchini. Entrò in carcere come ladruncolo di pennuti, ne uscì duro, rabbioso, come una belva ferita, assetata di libertà.
Bonnie (Parker), invece, era una ragazza piccolotta, carina, intelligente, la migliore del liceo. Troppo romantica per terminare la scuola o diventare cameriera, si sposò a 16 anni con uno sfigato delinquente. Continuò però a sognare, componendo poesie che scarnificavano la malinconia e la solitudine della provincia.
Perfetti per giurarsi amore eterno e resistere insieme alla miseria, al grigiore dell’esistenza, al codice penale, al mondo intero. Lei lo aiutò a evadere (per pochi giorni), dopodiché finì in galera a sua volta. Di nuovo liberi, camparono di piccoli crimini, furtarelli, scassi, truffe, in combutta con altri scalcagnati balordi. Nell’aprile del ’32, durante la rapina a un negozio, ci scappò il morto. Nonostante Clyde avesse fatto solo il palo, fu riconosciuto colpevole dalla vedova della vittima in base a una foto segnaletica. Per non beccarsi l’ergastolo, si mise on the road, in un crescendo di violenza, disperazione selvaggia, sfide alle leggi. Sempre al fianco della fedele Bonnie. Prima rapine a empori e pompe di benzina smarrite nella grande piana americana come nei quadri di Hopper, poi le banche, poi gli omicidi (otto poliziotti e sei cittadini inermi). Impazziva per le auto, soprattutto le Ford: ne rubarono dozzine per passare da uno Stato all’altro sfruttando l’antico cavillo che impediva a uno sceriffo di inseguire il fuggitivo oltre la propria giurisdizione. Talvolta si divertivano a sequestrare sbirri e scaricarli disarmati (consegnando loro qualche soldo) centinaia di miglia lontani. Razziavano, facevano l’amore, irridevano lo Stato federale, galoppavano inconsapevoli verso il nulla.
Un giorno i poliziotti braccatori trovarono in un covo le romantiche poesie che Bonnie vergava su pezzetti di carta e un rullino di fotografie, selfie che si scattavano abbracciati, armi in pugno, sigaro in bocca, felici e ingrugniti, come se fossero in un’avventurosa luna di miele e si baloccassero a stare in posa nelle fiera di paese. Le immagini uscirono sui giornali. Il mito deflagrò. E il loro destino peggiorò. Ormai chiunque li riconosceva, come i giocatori di baseball nelle figurine. Divenne arduo trovare motel dove rifugiarsi. Clyde e la sua bella dagli occhi blu dormivano in auto, nei boschi, si lavavano nei fiumi, si confondevano nella natura. Lei si ustionò in un incidente e rimase con una gamba dura. Testimoni oculari giuravano di vederli ovunque, come gli ufo, inventando aneddoti assurdi pur di guadagnarsi un po’ di fama parassita.
Nell’era dei «nemici pubblici» che terrorizzavano e affascinavano l’America, Bonnie e Clyde furono una variante romantica, ingenuamente rozza, benché sanguinaria. Rubarono somme risibili rispetto agli imperi costruiti da Al Capone sul proibizionismo. E furono certamente meno pericolosi dei mafiosi collusi col potere che minacciavano le basi stesse della democrazia. Ma non potevano continuare a scappare così impunemente. Il New Deal aveva bisogno di regole ed eroi positivi. Fu chiamato un perfezionista delle cacce all’uomo. Uno di quei bounty killer specularmente leggendari ai banditi. 53 criminali uccisi nel curriculum, 17 ferite nel corpo massiccio. Grazie (forse) al tradimento di uno della banda, che Clyde aveva fatto evadere da un penitenziario, i rangers tesero una trappola.
Bonnie e Clyde finirono crivellati su una strada della Louisiana a bordo della loro auto. Bonnie, 23 anni, e Cylde 25, morirono sul colpo. Avrebbero voluto essere sepolti insieme, ma le famiglie si opposero. Lei, in una bara d’argento, con un mazzetto di gigli di un ammiratore sconosciuto, le unghie smaltate, i capelli ben pettinati e una poesia sulla lapide. Lui, accanto al fratello e ai nipotini. Il «New York Times» pubblicò la notizia in prima pagina, più o meno lo stesso spazio che talvolta otteneva quell’Adolf Hitler iniziatore di una carriera altrettanto inquietante al vertice della remota Germania. Curiosità: nel titolo venne citato solo il cognome di lui, Barrow. Lei è l’anonima «donna del bandito». Forse perché in quei tempi ancora maschilisti una signora sposata che scorrazzava per il Paese con un altro uomo, fumava sigari, sparava col mitra e sceglieva le rapine anziché il focolare, poteva suggerire pericolose emulazioni fin da morta. Altra curiosità: lo sceriffo Jordan, uno degli eroi sparatori, cercò di tenersi la Ford Fordor Sedan (De Luxe) traforata dai proiettili come trofeo e come indennizzo per il rischio corso. I legittimi proprietari, cui l’auto era stata rubata, ingaggiarono una battaglia legale per il recupero del rottame. Alla fine l’ottennero. Oggi è esposta in un casinò del Nevada, preziosa come una scheggia della croce di Barabba o un Van Gogh.
Belli di fama e di sventura, i due, ovviamente, erano destinati a sopravvivere alla breve parabola mortale nella cultura popolare. Dalla ballata di Georgie Fame a Brigitte Bardot & Serge Gainsbourg, da Eminem a Jay-z & Beyonce, dai Simpson a Steno. Ma per i cinefili, hanno il volto indimenticabile di Faye Dunaway e Warren Beatty. Arthur Penn li raccontò in una meravigliosa ballata visiva, Gangster story, uccisi in una scena di inusitata violenza, sobbalzando nelle raffiche, a rallentatore, con la cinecamera che induce sui corpi macchiati di rosso. Ormai eroi quasi buoni, anche perché l’America in crisi da Vietnam non aveva più le idee tanto chiare sul confine tra bene e male.
Chi siano stati quei due giovani bruciati è difficile stabilirlo. Né la versione ufficiale dei tribunali, né l’agiografia pulp restituiranno mai la verità. Sicuro, però, è che il tempo ha smacchiato le colpe più efferate, trasformandoli in un’icona, un copyright della ribellione e del libertarismo selvaggio.
Bruno Ventavoli, La Stampa 5/8/2014