Francesco Daveri, Corriere della Sera 5/8/2014, 5 agosto 2014
LA SCELTA DI PECHINO E L’IMPATTO (IMPREVEDIBILE) SUGLI EQUILIBRI AZIONARI
Come annunciato dalla Consob, la Banca centrale cinese ha acquistato quote del capitale azionario di Fiat Chrysler, Telecom Italia e Prysmian di poco superiori al 2%. Con gli ultimi acquisti, lo shopping della Cina in Italia si estende dunque dall’energia (Eni ed Enel, dove i cinesi erano già presenti) all’automobilistico, ai servizi e alle reti di telecomunicazione e ai cavi. Il viaggio del presidente del Consiglio Matteo Renzi in Estremo Oriente sembra aver prodotto i suoi frutti. Per la Cina le partecipazioni azionarie in grandi aziende italiane sono il tassello di un mosaico che descrive una strategia in rapida evoluzione. L’obiettivo del governo cinese è sempre quello di investire i proventi dei suoi avanzi commerciali attraverso i fondi sovrani come la China Investment Corporation (CIC) — e le sue grandi banche, ora inclusa la Banca centrale. Ma finora gli investimenti esteri di Pechino avevano scopi essenzialmente strategici. Da un alto, gli investimenti esteri in Africa e in America Latina servivano ad assicurare l’accesso alle materie prime necessarie al manifatturiero cinese e le risorse agricole per alimentare un miliardo e trecentocinquanta milioni di cinesi il cui consumo alimentare, con il procedere dell’urbanizzazione, è in rapida crescita. Dall’altro, gli acquisti di titoli pubblici americani ed europei — spesso non motivati dalla motivazione del rendimento finanziario — hanno documentato la volontà della Cina di contribuire in modo tangibile al mantenimento della stabilità del sistema finanziario mondiale al di là delle chiacchiere del G20. L’entrata consistente in grandi aziende del mercato azionario italiano rappresenta un nuovo tassello del mosaico e cioè la ricerca di rendimenti in grandi società globali in un mondo forse dominato da tendenze deflattive in cui cioè i rendimenti dei titoli e delle risorse energetiche potrebbero essere vicini allo zero per un lungo periodo di tempo.
Per l’Italia, peraltro, gli acquisti cinesi sono solo gli ultimi di una serie che è cominciata con il ritorno di interesse del capitale americano per i titoli pubblici italiani e che è poi continuata con i massicci acquisti di grandi fondi di investimento americani di azioni delle grandi banche italiane (con BlackRock che si è comprato il 5% del capitale delle più grandi banche italiane). Il tutto con un duplice significato. Nonostante il suo debito pubblico, nonostante la stagnazione infinita dell’economia e nonostante i suoi problemi strutturali eternamente irrisolti (e anche grazie alle missioni dei suoi manager e dei suoi politici), l’Italia riesce ad attrarre capitali dall’estero. Ma questi capitali non sono gratuiti. Sono capitali di investitori che fanno scelte strategiche, mettendo in movimento capitali ingenti. E che quindi richiedono rendimenti stabili e quantificabili in modo trasparente prima che l’investimento venga effettuato. E’ una sfida nuova a cui la politica, l’industria e la finanza italiana devono imparare a dare una risposta in tempi rapidi.