Paolo Baroni, La Stampa 4/8/2014, 4 agosto 2014
L’ESTATE CHE SPEGNE I FORNI ITALIANI DELL’ACCIAIO
A dispetto del meteo per l’acciaio questa è l’estate più calda. Questi sono i giorni in cui si decide il futuro della nostra industria siderurgica. In ballo ci sono migliaia di posti e pezzi importanti dell’economia di intere regioni. I nomi in ballo sono Ilva, Acciai speciali Terni ed ex Lucchini di Piombino.
Fatturati in caduta libera, utilizzo degli impianti ai minimi (attorno al 60%), occupazione scesa dell’8,1% tra il 2007 ed il 2013 (e impianti scesi da 68 a 42 negli ultimi 12 anni), con un boom di cassintegrati e di scioperi: questo è un comparto in crisi da anni. Situazione delicatissima, che fa dire al segretario della Cgil Camusso che il governo non può stare fermo a guardare pena la perdita di altri pezzi importanti della nostra industria. Renzi ha fatto sapere che nelle prossime settimane sarà a Piombino, Terni e Taranto. «Noi vogliamo che la siderurgia rimanga in Italia» ha confermato venerdì il ministro dello Sviluppo, Federica Guidi. Parlava di Ast, ma anche di tutte le altre realtà.
ILVA CERCA FONDI.... E SOCI
Con il decreto competitività il governo ha assicurato nuovi strumenti per affrontare la crisi dell’Ilva, che è crisi ambientale innanzitutto ma anche crisi finanziaria visto che la società perde 80-90 milioni di euro al mese. A disposizione del nuovo commissario di governo, l’ex ministro Piero Gnudi, ora c’è la possibilità di ottenere dalle banche un prestito ponte e quello di attingere ai fondi sequestrati ai Riva. Il suo compito è quello di trovare un compratore per quello che è ancora il più grande impianto siderurgico d’Europa (12mila occupati). Per questo sta trattando con le banche nuova finanza, puntava a 650 milioni di euro ma si dovrà accontentare di meno della metà, e quindi ha avviato colloqui col colosso franco-indiano Arcelor-Mittal. L’idea che tutti si sono fatti è che in Italia non esista un soggetto industriale in grado di caricarsi sulle spalle il peso dell’operazione Ilva, che stando ai piani del precedente commissario, Enrico Bondi, richiede almeno 4,3 miliardi di euro. Molto probabilmente a fianco di Arcelor ci sarà il gruppo Marcegaglia. Ma Gnudi vedrebbe bene anche la discesa in campo della Cassa depositi, attraverso il Fondo strategico. Venerdì scorso tutta Taranto si è fermata al grido di «Industria ultima fermata». Ma grossi problemi vengono segnalati anche a Cornigliano, dove a settembre scadono i contratti di solidarietà per 1400 lavoratori su 1700.
PIOMBINO AL BIVIO
Sfumato il sogno di rottamare la Costa Concordia a Piombino ci si aggrappa all’offerta vincolante presentata nelle scorse settimane dal gruppo indiano Jindal, interessato però soprattutto ai laminatoi e al porto. «La consideriamo una base di partenza – ha commentato il sindaco Massimo Giuliani -. Ora ci aspettiamo qualcosa di più nel piano industriale, in attesa di capire se c’è interesse a tornare a produrre acciaio a Piombino». Anche qui incombe il fattore tempo: solo giovedì scorso è crollato il tetto di un capannone. Nessun ferito, perché la produzione è ferma, ma l’incidente ha rivelato lo stato in cui versa l’ex Lucchini che ancora oggi occupa 3200 persone.
AST, QUESTIONE EUROPEA
Solo venerdì, dopo l’ennesimo intervento del ministero dello Sviluppo, i 2800 dipendenti delle acciaierie di Terni (15-20% del Pil dell’Umbria e 40% dell’export regionale) hanno sospeso le proteste: settimane di scioperi, una serie di cortei e presidi, da Terni al casello di Orte dell’Autosole sino all’assedio durato tutta la notte di giovedì all’ufficio dell’amministratore delegato di Ast, Lucia Morselli, che solo qualche ora prima aveva avviato in maniera unilaterale le procedure per licenziare 400 lavoratori. Dopo l’altolà del ministro Guidi i licenziamenti sono stati sospesi ed il confronto è stato aggiornato al 4 settembre. Il problema è che la nuova proprietà dell’Ast, dopo i finlandesi di Outukumpu lo stabilimento è tornato a Thyssenkrupp, ha presentato un piano industriale assolutamente irricevibile non solo per i sindacati ma anche per il governo: 550 licenziamenti, la chiusura di un forno, e 100 milioni di euro di risparmi all’anno. «Di fatto è lo smantellamento dell’impianto» denunciano i sindacati. Thyssen, anziché riscrivere il piano come richiesto dal governo, ha deciso di procedere. E così è divampato lo scontro. Sono scesi in campo gli eurodeputati ed ora il caso arriverà all’Antitrust europeo.
ALCOA VERSO GLENCORE
Non si parla di acciaio ma di alluminio, quello dell’Alcoa. Anche qui situazione delicatissima. La multinazionale americana, nonostante gli annunci dei mesi passati, non ha infatti ancora ricevuto una formale offerta d’acquisto. Rimasto senza seguito l’interessamento della svizzera Klesh si continua a trattare con l’anglosvizzera Glencore, che però pretende garanzie più certe sul costo dell’energia. Ministero dello Sviluppo, Regione, Enel e Terna, starebbero lavorando ad un ventaglio di strumenti. Se si trovasse la quadra non è escluso che presto si possa arrivare a siglare un primo memorandum. Magari già nei prossimi giorni. Magari.
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Paolo Baroni, La Stampa 4/8/2014