Francesco Caruso, La Gazzetta dello Sport 23/7/2014, 23 luglio 2014
MARESCA: «IO, EMIGRANTE DI RITORNO»
Enzo Maresca arriva bevendo mate, strano per un italiano coltivare una passione tipicamente argentina. «Ho cominciato in Spagna quando i compagni mi regalarono la tradizionale zucca a fiasco. Stranamente però continuo a bere anche il caffè».
Lei è cresciuto fra Milan e Cagliari ma ha iniziato la carriera in Inghilterra, perché?
«Detto che per me giocare all’estero è stata una fortuna, a 18 anni ero al Cagliari e per avere un contratto da professionista avrei dovuto aspettare, così decisi di passare al West Bromwich in First Division e rimasi un anno e mezzo».
Poi l’acquistò la Juve per 14 miliardi di lire, ma senza impiegarla molto: strano, no?
«Precisiamo che era la Juve di Zidane, di Davids ed era difficile trovare spazio ed io arrivai a gennaio. Poi andai in prestito al Bologna. Tornato in bianconero c’era ancora Lippi e non giocai poco perché in 2 anni e mezzo disputai 60 gare vincendo scudetto e Supercoppa d’Italia. Dopodiché Fiorentina, ancora in prestito, un’altra bell’annata: 25 partite e 4 gol».
Ha scelto lei di emigrare in Spagna?
«Dovevo rinnovare con la Juve ma ci furono problemi: se fossi rimasto avrei guadagnato la metà. Ero in ritiro, allenatore Capello, e una sera mi telefonano in camera per dirmi di presentarmi alle 8 del mattino dopo in sede. Mi fecero entrare in una stanza e c’erano i dirigenti del Siviglia che mi dissero di essere a Torino da una settimana. Fui colpito dal fatto che sapevano tutto di me, capii che mi volevano davvero».
Arrivarono 2 Coppe Uefa, una Supercoppa europea, una Coppa di Spagna e una Supercoppa di Spagna e lei diventò l’idolo «Marecca».
«Gli spagnoli si mangiano la “esse” e il mio nome veniva storpiato. Quattro anni bellissimi che mi hanno dato tanto non solo calcisticamente».
Ma a Siviglia ha vissuto anche una brutta esperienza.
«La peggiore che possa capitare ad un calciatore: veder morire un compagno. C’ero anch’io quel giorno che Antonio Puerta si accasciò a terra. Aveva solo 22 anni».
Non s’è mai pentito di aver lasciato la Juve, soprattutto in chiave azzurra, visto che lei ha giocato in tutte le Under?
«No, per nulla. Anche perché comunque in bianconero mi sono preso belle soddisfazioni, e ho avuto la fortuna di lavorare con campioni come Zidane e Del Piero. Quanto alla Nazionale, sì, credo di aver pagato il fatto di giocare fuori. L’unico rammarico semmai è quello di essere rientrato in Italia: avevo ancora un anno di contratto a Malaga dove avrei giocato la Champions. Ma ero stato fuori già 9 anni, i miei genitori cominciavano a invecchire e a 32 anni avevo la voglia di chiudere nel mio Paese. Pur sapendo che me ne sarei pentito. E infatti».
Eppure col Palermo ha conquistato la promozione...
«Una bella annata, pur arrivando a gennaio mi sento protagonista di quella cavalcata».
A giugno le scade il contratto: rinnova?
«Oggi non ci penso. Prima c’è da salvare la A».
Che cosa farà da grande?
«Rimarrò nel calcio, il mio allenatore al Malaga, Pellegrini, oggi al Manchester City, mi invogliava a fare il tecnico. Chissà».