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 2014  giugno 20 Venerdì calendario

LA SUPER POPSTAR LORDE, TEENAGER PIÙ “INFLUENTE”: «GENITORI, IMPARATE A NON TRATTARE I VOSTRI FIGLI DALL’ALTO IN BASSO, MA COME PERSONE VERE»


State a sentire la sua ramanzina: ci sarà un motivo se, secondo Time, lei è la teenager più “influente” del mondo... «Ciò che odio del vostro vecchio mondo è l’incapacità di ascoltare di tanta gente, anche argomenti importanti». Per esempio? «Lo vedo quando parlo di femminismo: non sanno che cosa è, lo rigettano, si rifiutano anche di capire». E che cosa c’è di bello, in questo nuovo mondo? «C’è più disponibilità ad accettare nuove idee. So che possono sembrare due cose in contraddizione. Ma io percepisco – forse sarà il risultato di vivere nell’era di internet – una volontà di cambiare e accettare cose che prima si negavano. Anche di ammettere che ci si può sbagliare».
Lorde ha 17 anni e viene dagli antipodi: dalla Nuova Zelanda. Non è una ragazza qualunque. Canta. Canzoni dai titoli semplici: Team, Tennis Court, Swingin Party. Versi tipo: “Viviamo in città che non vedrai mai sullo schermo/ non è un granché ma siamo sicuri di come si fa a correre liberi”. Il singolo Royals, in sei mesi, ha registrato 8 milioni di download (il 45 giri – per chi ancora ricorda il formato... – di Hey Jude dei Beatles, nello stesso tempo, vendette 5 milioni di copie). Il più prestigioso settimanale d’America, appunto, ha messo la nuova star del pop al primo posto fra gli adolescenti più “ascoltati” dai loro coetanei. Perfino più di Malala, la ragazzina pachistana sfregiata per la sua volontà di andare a scuola, candidata (peraltro invano, altro che ascoltata, da noi adulti…) anche al Nobel per la Pace. E in effetti, Lorde “parla” coi suoi coetanei, e non solo: l’industria discografica le ha assegnato due prestigiosi Grammy Awards, il nuovo sindaco di New York ha usato la sua hit come inno della vittoria e il Boss del rock, Bruce Springsteen, ha inserito i suoi brani nei concerti. E, anche se canta in inglese, pure i nostri teenager l’hanno adottata: del resto, se 30 anni fa i genitori d’oggi andavano a imparare a memoria i testi su Tv Sorrisi e Canzoni, figuriamoci quant’è facile raccogliere il suo messaggio nell’era di Google-Translator, Shazam e YouTube…
Ella Maria Lani Yelich-O’Connor («Il primo nome me l’hanno dato per la cantante Ella Fitzgerald, i due successivi sono quelli delle nonne»), in arte Lorde (vedremo perché), ha una sontuosa cascata di capelli scuri e occhi blu che – alla vecchia maniera – si direbbero magnetici. Look parecchio dark, anche quando veste di bianco, al polso destro bracciali d’argento e di cuoio, e un make-up che copre brufoli adolescenziali e l’ombra di una cicatrice. È il tipo di ragazza che non accetta di essere “photoshoppata” da una rivista e, per ristabilire la “verità”, mette su internet la foto in versione originale. E se le chiedi perché ha firmato un contratto pubblicitario con un’azienda cosmetica, risponde candida: «Ho una pelle orribile, ci combatto da anni. È difficile vedersi brutte: ma il trucco che pubblicizzo mi dà sicurezza».

«Donne, è naturale essere uguali agli uomini». È così che si declina il “femminismo 2.014”. «Sì, è diverso da quello dei tempi di mia madre (che ha 49 anni ed è un’affermata poetessa, ndr). Allora, era molto più aggressivo. E acceso. Il fatto è che allora doveva essere così. Oggi le donne hanno meno limiti rispetto agli Anni 70 e 80. Eppure in giro si continua a considerare il femminismo come qualcosa di “non attraente”. Ovunque, nel mondo, viaggiando, vedo il suo “marchio negativo”. Io sono cresciuta con tutta un’altra idea. Ho respirato un’aria diversa, ho letto tanto: ecco, vorrei dire a tutte le donne che non è un crimine voler essere uguali agli uomini. È giusto, di più, e deve essere naturale».
Un “predicozzo” che viene da lontano. E vuole andare lontano. «Penso di saper incarnare davvero il modo di sentire dei giovani della mia età. E ne sento profondamente la responsabilità». Eppure Lorde è cresciuta nei sobborghi di Auckland, la seconda città neozelandese con un milione e mezzo di abitanti. «Il luogo da cui provengo è davvero parte di chi sono. Conoscevo ogni posto in cui nascondermi, ogni angolo in cui andare». Crescendo, però, le cose cambiano. Il successo trasforma le persone. «Quando sono tornata nella mia periferia dopo essere andata oltreoceano a cantare, le rocce che mi sembravano enormi, erano diventate piccole. Così ho ripreso le misure. Ora mi sento “cittadina del mondo”. Ma il senso vero del mio canto è rimasto lo stesso: desidero ancor di più parlare nel nome delle persone della mia età che non hanno la possibilità di farlo per se stessi. Scrivo a modo mio, ma cerco di indovinare cosa è vero per gli altri. A un livello più globale». Allora si capisce bene la scelta del suo “verso migliore” «È molto breve, nella canzone Team. So all the cups got broke shards beneath our feet but it wasn’t my fault», “quindi tutte le tazze si sono rotte e i cocci sotto i nostri piedi ma non è colpa mia”. Un verso che suona come il programma di una generazione che è stufa di vedersi ricadere addosso le colpe dei padri.
Forse i suoi coetanei hanno davvero trovato una portavoce con le idee chiare. La ragazza è il tipo di persona che sembra conoscere chiaramente ciò che vuole. C’è sempre un episodio, nella vita di ognuno di noi, che ci rappresenta: «Credo che il mio risalga a quando avevo tre anni. Mia madre mi portò all’asilo, e là dovevamo creare qualcosa con cartone, colori e giornali. A un certo punto la maestra mi urlò: “No, no, non devi dipingere lì”. Io la guardai: ero piccola ma sapevo ciò che volevo fare. E ho continuato a colorare. Anche oggi la gente apprezza il fatto che parli chiaro e tondo. Del resto, non credo che sarei piaciuta se avessi sempre detto cose noiose».

«Mia madre mi ha insegnato l’altruismo». Un giorno, questa ragazzina di 12 anni dalla voce purissima viene scoperta – secondo la leggenda nel video di un saggio scolastico – e “bloccata” con un contratto. «A 15 anni cantavo, ma non scrivevo musica. Avevo cominciato a creare piccole storie, però ero timidissima, quasi in modo doloroso. Non volevo neppure mostrare ciò che scrivevo, lo consideravo privatissimo. Finché Joel (Little, il musicista di Auckland con cui ha firmato il suo primo album, ndr) ha cominciato a coinvolgermi e a farmi aprire». È lì che nasce anche il suo nome d’arte. Lorde, che proviene dal termine “lord” con la femminilizzazione della “e” finale. «Mi ha sempre colpito il modo folle in cui vivevano gli aristocratici, i valori assurdi in cui credevano. La rivoluzione francese, l’incredibile storia dei reali… E poi la mia famiglia “preferita”: i Romanov, con la fine che fecero». La leggenda di Anastasia non c’entra, neppure nella sua “versione” disneyana («Non ho mai visto il film»). «Ricordo quanto mi colpì l’articolo di giornale del 2007 (aveva 10 anni, ndr) in cui si diceva che era stato confermato il ritrovamento dei resti degli ultimi due bimbi, e così si è potuto chiudere il cerchio sul loro destino».
La fascinazione per la nobiltà, però, resta confinata nell’attrazione per il “senso di decadenza” che incarnano. “E non saremo mai reali / Non scorre nel nostro sangue / Quel tipo di lusso non fa per noi / Noi vogliamo uno sballo diverso”, canta, in Royals, Lorde. Che invece cresce con modelli, diciamo così, più che “stagionati”: «Nella mia cameretta avevo appeso tante foto ritagliate dalle riviste. Ma, soprattutto, avevo una fotografia di Neil Young». Quello che cantava “Old man, look at my life / I’m a lot like you were”, “Vecchio, guarda la mia vita, somiglio molto a ciò che tu eri”.
Che cosa, allora, ha imparato da mamma e papà? «Mia madre mi ha insegnato che cos’è l’altruismo. Sarà che quando diventi genitore, dai tutto ai tuoi figli, togliendolo a te stesso. Il suo esempio costante (è in tour con lei, ma se ne sta diligentemente in disparte, ndr), mi ha fatto capire la potenza della generosità. E poi ho imparato a essere creativa. La sua lezione era che non ci fossero limiti a ciò che avrei potuto esprimere. Volevo fare danza? Si faceva in quattro per permettermi di seguire i corsi. Anche se sapeva che ero terribile…». E la lezione di papà? «Lui è un ingegnere e ha fatto lo stesso lavoro per 30 anni. È calmo, logico, al contrario di me. Ma crescendo con lui ho capito il potere di valutare bene le cose, di non perdere la serenità in ogni situazione».
Più vai avanti, più viene fuori una ragazza lucida. “Matura”, verrebbe da dire. Al vecchio modo. Eppure lei canta la solitudine delle liceali come lei, sceglie sonorità scarne, non ama le provocazioni alla Miley Cyrus e aggira le polemiche («Siamo tutte e due femministe, in modo diverso») e quando accenniamo alla politica, sorride imbarazzata: «A essere onesta non la trovo interessante, forse sono ancora piccola». È una ragazza del suo tempo anche con la tecnologia. Usa Twitter per comunicare direttamente con i fan «bypassando i giornali». «E so che suona strano, ma io non conosco il mondo senza Facebook: sono iscritta da quando avevo 11 anni... La cosa positiva, però, è che non ho più bisogno di starci attaccata continuamente. Uso i social network per il mio lavoro, però con gli amici abbiamo ricominciato a parlarci di persona».
Ma la giovanissima star è pronta a giocare a “che cosa salveresti del Vecchio e del Nuovo Mondo”. «I Beatles?». Sì, cominciamo dai mostri sacri… «Ok, mi piacciono…». Esita. «…ma non credo che, se dovessi lasciare una canzone agli alieni sarebbe una delle loro. Piuttosto The Chain, dei Fleetwood Mac. È del 1977, e contiene un messaggio forte della band: non importa che cosa dobbiamo affrontare, ciò che stiamo facendo “insieme” è più potente di “ciascuno” di noi. E questa è una metafora importante di ogni situazione e relazione umana. Oggi poi mi piace la musica elettronica strana di Ryan Lott, quella degli Arcade Fire. Ma i veri modelli sono persone come Kanye West (il rapper novello sposo della celebrity Kim Kardashian, ndr), che ha una percezione così forte di se stesso da non guardare mai ciò che fanno gli altri e da dire esattamente ciò che pensa. O David Bowie, che come Kanye ha la capacità di cambiare completamente ciò che fa, il suo stesso personaggio. Loro due riescono a continuare a fare le cose alla grande, ad avere persone che li seguono, non importa quanto stiano trasformandosi».

«Leggo libri di carta». Lorde è anche una gran lettrice di libri. «Ho cominciato prestissimo, non ricordo neppure quando. E leggo rigorosamente sulla carta, solo viaggiando passo al più comodo e-book». Qui la scelta è difficile. Troppo. «Li compro sempre nello stesso negozio, Unity Books, a Auckland: i commessi sono super a consigliarti, e ormai conoscono i miei gusti. Ogni tanto, però, leggo anche le critiche dei siti online». Ma il “migliore” – di ieri e di oggi – non salta fuori: «Posso dire quello che ho appena finito: Serena, di Ron Rush». Un libro del 2008, la storia di una donna nel business del legno negli Anni 30. «I suoi racconti mi erano piaciuti di più». Più semplice il gioco con i film: «Il mago di Oz è l’esempio di come raccontano le favole: l’ho visto e rivisto. Un bel film di oggi? Grand Budapest Hotel, di Wes Anderson. E poi il migliore di sempre: Take Shelter, con Michael Shannon, racconta il declino della mente del protagonista, che proietta davanti a se la minaccia di una tempesta che solo lui pensa che arriverà».
Punti di riferimento che Lorde “trasmette” anche ai coetanei di tutto il mondo. Resta una domanda: che consiglio darebbe ai genitori dei teenager per comunicare con i propri figli? «Mio dio, una domanda difficile…», si ritrae. Poi però va dritta al punto: «I teenager, innanzitutto, sentono un grande bisogno di indipendenza. Ciò che noi giovani cerchiamo di fare è tentare di capire che cosa significhi essere una giovane persona. Così ogni tanto ci sentiamo costretti, limitati. La morsa tra la richiesta di disciplina e l’insieme di sentimenti che si hanno quando si è adolescenti è particolarissimo e intenso. Qualcosa che tutti ricordano, ma poi, in qualche modo, dimenticano quando si diventa adulti…». Quindi… «Ecco, direi: provate a dare loro spazio. Fate sentire loro che sapete che i sentimenti che provano sono reali, veri, e non solo emozioni di bambini. Non sottovalutateli. Gli adolescenti crescono bene quando sentono che i grandi li rispettano e che non li trattano dall’alto in basso. Trattateci come persone vere».