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 2014  giugno 04 Mercoledì calendario

4 GIUGNO 1989 IL GIORNO CHE CAMBIÒ IL MONDO


Il 4 giugno di 25 anni fa il mondo cambiò rotta. Era il 1989: le elezioni semilibere in Polonia diedero avvio alla fine del comunismo in tutto il blocco sovietico e il massacro di Piazza Tienanmen portò la Cina comunista su una traiettoria completamente diversa. Le conseguenze si manifestano a tutt’oggi, dall’Ucraina al Mar cinese meridionale.
Non dimenticherò mai quel pomeriggio. Ero nella redazione di un quotidiano di Varsavia circondato da amici polacchi entusiasmati dalla prospettiva di un trionfo storico e all’improvviso in tv apparvero le prime immagini sgranate dei corpi degli studenti e degli operai cinesi trasportati su barelle improvvisate per le strade di Pechino. Da quel giorno in poi il fantasma di Tienanmen ha perseguitato l’Europa dell’Est. «Ricordatevi di Tienanmen!» si sussurrava da Sofia a Berlino Est. «Se andiamo troppo oltre potrebbe accadere anche qui». E avevano ragione. A Lipsia, in Germania Est, ad esempio, si arrivò a un passo dalla repressione violenta.
In questo senso la tragedia cinese fu una manna per l’Europa. L’esempio negativo di Tienanmen aiutò gli europei a restare sulla via della non violenza, del negoziato e del compromesso.
In seguito si manifestò un’inversione di tendenza. I leader della Cina comunista trassero sistematicamente insegnamento dal crollo del comunismo in Europa. Così si espresse nel 2004 uno dei massimi leader cinesi in un discorso politico chiave: «Traiamo profonda ispirazione dalla dolorosa lezione della perdita di potere da parte dei partiti comunisti dell’Unione sovietica e dell’Europa dell’Est». Le parole d’ordine quindi furono: produrre crescita economica, non perdere il contatto con l’opinione delle masse, introdurre una rotazione regolare dei vertici governativi, arruolare nelle fila del partito comunista gli studenti più brillanti, energici e ambiziosi senza pregiudizi di classe. E soffocare spietatamente qualunque iniziativa volta all’autorganizzazione sociale e all’azione collettiva, perché queste furono le cause della rovina dei compagni europei. Il presidente Xi Jinping ha a sua volta ricordato in pubblico il crollo sovietico.
Entrambe le vie hanno prodotto notevoli successi nell’ultimo quarto di secolo. La Cina ha vissuto una crescita economica di livello stellare e un progresso notevolissimo nell’ambito delle libertà individuali. La televisione di Stato cinese ama mostrare le immagini del bagno di sangue e del caos in Ucraina. Il messaggio, non così implicito, è: “siate grati che da noi non si sia seguita la via della rivoluzione di velluto ispirata dagli americani. Guardate a cosa porta”. Meno spesso vanno in onda le immagini della Polonia libera, prospera e democratica.
Esiste un’altra interessante differenza. Il 4 giugno 1989 la Polonia sperimentò un originalissimo nuovo modello di cambio di regime pacifico. Dopo il 1989, pur facendo bene, non ha fatto nulla di originale. Il sistema politico, economico e giuridico della Polonia di oggi è una sorta di mescolanza di modelli collaudati esistenti nell’Europa dell’Ovest.
La Cina, invece, il 4 giugno 1989 fu tutt’altro che originale. Deng Xiaoping non fece altro che reiterare il tipico comportamento dei vertici comunisti confrontati con la sollevazione spontanea di uomini a donne anelanti alla libertà: sparare sulla folla. Dal 1989 in poi però la Cina è stata estremamente originale, combinando il dinamismo dell’economia di mercato con l’ininterrotto governo del partito unico. L’unica cosa che nessuno avrebbe mai immaginato 25 anni fa è il capitalismo leninista. Ecco perché trovo che la Cina oggi sia per uno studente di politica comparata il luogo più interessante della terra. Perché in politica è rarissimo trovare un esperimento realmente innovativo dal futuro totalmente incerto.
Nonostante Vladimir Putin ce la metta tutta per riportare indietro le lancette dell’orologio sono piuttosto sicuro di sapere cosa sarà la Polonia tra dieci anni: una democrazia liberale europea appartenente all’Occidente, sulla stessa barca della Francia e della Germania (sua nuova migliore amica). Ma la Cina? Continuerà nel suo itinerario improvvisato, senza mappe, “attraversando il fiume con i piedi sulle pietre”, secondo il famoso detto di Deng? Oppure le contraddizioni tra il sistema politico e sociale cinese e le crescenti tensioni a livello sociale condurranno a una nuova crisi? In questo ultimo caso la crisi sarà motore di una auspicabile riforma politica oppure porterà a un pericoloso nazionalismo diversivo — che si potrebbe manifestare con l’avventurismo militare nel Mar cinese meridionale? O quest’ultimo finirà per portare al primo, o a qualcosa di molto peggiore?
“Ritorneranno/a Tienanmen” scriveva il poeta James Fenton indignato a pochi giorni dal massacro. È possibile che le vittime siano in futuro glorificate come martiri ed eroi proprio sulla piazza della Pace Celeste? Se nei primi anni Ottanta aveste detto che prima della fine del decennio i leader della rivoluzione ungherese del 1956 avrebbero ricevuto sepoltura ufficiale con cerimoniale di Stato in Piazza degli Eroi a Budapest, nessuno vi avrebbe creduti. Ma è successo realmente qualche giorno dopo le storiche elezioni polacche.
Che lo stesso accada in Cina è possibile, ma al momento non sembra probabile. La Cina pare più propensa a continuare il suo peculiare percorso. Veniamo qui a un’ultima differenza rivelatrice. A Varsavia i polacchi celebrano fieri il loro 4 giugno, assieme al presidente Barack Obama. A Pechino le realtà fondamentali del 4 giugno cinese, le fotografie, i nomi stessi, persino i riti funebri delle madri in lutto, saranno soppressi, con fare orwelliano. C’è chi ancora ha paura del fantasma di Banco.
Personalmente spero e prego che la Cina trovi la via per un progresso pacifico sulla scia degli indubbi successi raggiunti dopo il 1989 e ponendo rimedio ai suoi altrettanto palesi insuccessi. Ma di una cosa sono certo: potremo dire con sicurezza che la Cina ha costruito un sistema stabile, seguendo una traiettoria completamente diversa rispetto all’Europa post-comunista solo quando sarà capace di confrontarsi serenamente e pubblicamente con il suo difficile passato. (Traduzione di Emilia Benghi).

Timothy Garton Ash, la Repubblica 4/6/2014