Giulia Merlo, Il Fatto Quotidiano 2/6/2014, 2 giugno 2014
LA GRANDE CORSA PER CONQUISTARE IL PIANETA ROSSO
Basta crudeli omini verdi con enormi calotte craniche, che invadono la terra a bordo dei loro dischi volanti in stile Mars Attacks!, la scienza dice che saremo noi terrestri a colonizzare il pianeta rosso. Nel 1969 fu la Luna, luogo del piccolo passo per Neil Armstrong, che fu il grande passo per l’umanità verso la scoperta dello spazio. Oggi è Marte la chimera astronomica del nostro millennio, inseguita da scienziati e da appassionati scrutatori dei cieli, alla ricerca di nuovi mondi.
Il suo fascino è sempre stato forte, sin dall’antichità. Complici i suoi bagliori fulvi, visibili anche dalla Terra e che i babilonesi nel 1000 a.C. immaginarono come le fiamme di Negral, il dio della guerra.
I greci fecero lo stesso, identificando come la stella di Ares quel puntino rossastro che si accendeva nel cielo notturno. Ares, diventato Marte per i romani, e così è rimasto anche per gli astronomi. Il primo a osservarlo attraverso le lenti di un telescopio fu Galileo Galilei, nel 1609, ma il vero padre della “mitologia” marziana fu l’astronomo Giovanni Schiaparelli, che nel 1877 individuò sulla superficie del pianeta quelli che sembravano dei canali artificiali, opera di una civiltà autoctona.
Nessun uomo ci ha ancora messo piede: fin’ora a toccare il suolo del pianeta rosso sono stati solo gli arti robotici delle sonde. La prima, nel 1964, è stata la Mariner 4 della Nasa, che raggiunse Marte dopo otto mesi e mezzo di viaggio e ne fornì le prime immagini. Un risultato eccezionale dopo i lanci a vuoto e dei programmi Mars dell’allora Unione Sovietica e delle altre onde Mariner, ma una sconfitta per la fantasia degli scienziati. Fino ad allora il pianeta era stato osservato attraverso telescopi, e gli astronomi avevano ipotizzato che le variazioni di colore della superficie fossero dovute alla presenza di vegetazione stagionale. Le fotografie trasmesse da Mariner 4, invece, mostrarono un pianeta deserto e arido, spazzato da violentissime tempeste di sabbia e senza alcuna traccia d’acqua. Nonostante i lanci successivi e i continui studi, le immagini avevano definitivamente eliminato l’ipotesi che Marte potesse ospitare la vita, facendo scemare anche l’interesse degli scienziati per quello che era sembrato subito il nostro pianeta gemello. La speranza, però, si è riaccesa nel 2008, quando la sonda Phoenix Mars Lander ha trovato traccia di acqua, sia pur sotto forma di ghiaccio. Acqua significa vita, e la scoperta ha ridato forza ai progetti che immaginano Marte come la nostra prima colonia spaziale. Nel 2011, infatti, è stata lanciata Curiosity, il rover da esplorazione della missione spaziale della Nasa, che rimarrà due anni sul pianeta rosso, scattando fotografie e analizzando campioni di roccia, per cercare tracce di vita preistorica e studiare la costituzione di quella che sembra destinata a diventare futura terra di conquista. Impossibile, dicono alcuni. Altri, invece, sono convinti che sia solo questione di tempo e di evoluzione tecnologica.
Anche se Marte è il pianeta più facile da raggiungere partendo dalla Terra, le difficoltà che rendono il viaggio un’avventura ai limiti della fantascienza ci sono tutte. Innanzitutto i 240 giorni di viaggio ipotizzati per percorrere i 225 milioni chilometri, la distanza media che ci separa dal pianeta rosso. Il problema maggiore, però, è il mezzo: ad oggi non esiste uno shuttle che permetta viaggi così lunghi senza rimanere senza carburante.
Una volta arrivati, però, come sarebbero le giornate – o i sol, come sono stati chiamati i giorni marziani – dei novelli Armstrong? Innanzitutto, durerebbero come quelle terrestri. Marte, infatti, ruota su se stesso con la stessa velocità della terra, mentre la sua rivoluzione intorno al Sole impiega quasi due anni. I coloni si godrebbero, quindi, anche i cambi di stagione, ma più lenti rispetto a come erano abituati sulla Terra, e con temperature da cella frigorifera, con l’escursione termica che va dai -140 ai 20 gradi. E poi addormentarsi con Fobos e Deimos (Paura e Terrore, i due satelliti di Marte) invece che con la Luna, guardare meteoriti schiantarsi al suolo aprendo crateri del diametro di 50 metri – cosa che accade di frequente perché l’atmosfera a bassissima densità non li blocca – e passeggiare a balzelli, molto più goffi del moonwalk di Armstrong, perché la gravità su Marte un terzo rispetto a quella della Terra.
Ormai sembra che la corsa allo spazio in versione 2.0 sia realmente partita. Questa volta, però , a contendersi il primato non sono più le due superpotenze della Guerra Fredda, ma numerosi progetti privati internazionali.
Il più avviato si chiama Mars One, e prevede di mandare i primi coloni nel 2023. Non normali astronauti, però, perché il programma spaziale è pensato per essere reality show, con candidati scelti dal pubblico e osservati dalle telecamere durante tutta la fase di preparazione. Unico inconveniente, per minimizzare i costi il biglietto per Marte sarà di sola andata. Un prezzo alto, per spingersi oltre il limite e varcare per primi le colonne d’Ercole del nostro sistema solare.
Giulia Merlo, Il Fatto Quotidiano 2/6/2014