Anna Zafesova, La Stampa 21/5/2014, 21 maggio 2014
INTESA STRATEGICA. MA ORA È MOSCA IL PARTNER MINORE
Vladimir Putin non è più benvenuto in Occidente e quindi vola a Oriente dove trova «partnership globale e cooperazione strategica» con Xi Jinping. A un vertice a Shanghai il presidente russo porta un pacchetto di più di 40 accordi bilaterali e ricorda che il primo partner commerciale russo non è più la Germania, ma la Cina, con 89 miliardi di dollari di interscambio, che punta a far diventare 200 nel 2020. Unica astenuta al voto sull’Ucraina nel Consiglio di Sicurezza, la Cina è stata indicata da diversi politici russi come sponda economica e politica su cui rifugiarsi. E Xi ieri non ha deluso il collega russo: insieme hanno firmato una dichiarazione contro le sanzioni occidentali e le «ingerenze di altri Paesi» nella crisi ucraina. Unanimità anche su altri dossier, come «l’uso della tecnologia contro le sovranità nazionali», un’allusione a Twitter e Google. E poi ci sono contratti in diversi settori, dall’energia all’aviazione alle tecnologie, una Expo russo-cinese e la decisione di celebrare insieme i 70 anni della vittoria contro il nazismo e il «militarismo giapponese». Un riconoscimento importante per Putin che rivendica i diritti geopolitici acquisiti dalla Russia nel 1945, che coincide con i contenziosi territoriali di Pechino con Tokyo (che infatti ha reagito con stizza).
Ma dietro alle dichiarazioni sulla «partnership strategica» si nascondono alcune spine. Anche stavolta Putin non è riuscito a far firmare a Xi il supercontratto che Gazprom negozia da quasi dieci anni. «La firma può avvenire in qualunque momento», non perde la speranza il Cremlino ma i «dettagli» da concordare non sono secondari: innanzitutto il prezzo, troppo alto per i cinesi, e poi la durata, trentennale, come per i clienti europei. Pechino considera l’impegno troppo vincolante, e si rende conto che oggi Putin ha meno carte da giocare che mai. Con l’economia in recessione e il rischio di isolamento dall’Occidente i russi hanno già fatto passi inediti. Secondo l’agenzia Bloomberg, che cita anonime fonti governative, dopo la crisi della Crimea sono stati tolti i divieti «informali» per i cinesi a investire nei settori strategici dell’economia russa, mantenendoli solo sui metalli preziosi, diamanti e high-tech. Pechino si vede aprire progetti infrastrutturali nella neo-annessa Crimea, giacimenti di gas e petrolio, impianti di gas liquido e la nuova metropolitana di Mosca. I russi stanno meditando di aderire alle carte di credito cinesi Union dopo le sanzioni di Visa e Mastercard, e sognano crediti per le aziende indebitate con banche europee e americane. E sono in corso trattative per escludere il dollaro dall’interscambio bilaterale, usando direttamente rubli e yuan.
Putin cerca un’alleanza anti-occidentale, ma è una «svendita ai cinesi», accusa Vladimir Milov, direttore dell’Istituto di politica energetica. La Russia è stata per anni prudente, temendo l’invasione economica e demografica cinese già in atto nell’Estremo Oriente russo. Dai tempi dell’alleanza tra Stalin e Mao i ruoli si sono invertiti, e in un asse Mosca-Pechino i russi non potrebbero che essere partner minori, fondamentalmente fornitori di energia. Il supercontratto firmato l’anno scorso con Rosneft che ha triplicato le forniture di petrolio russo alla Cina, non conviene a Mosca: il prezzo è inferiore a quello praticato per gli europei e i costi sono più alti. Ma il Cremlino non ha più molta scelta, e il pragmatico Xi lo sa.
Anna Zafesova, La Stampa 21/5/2014