Beda Romano, Il Sole 24 Ore 21/5/2014, 21 maggio 2014
SCHULZ, QUANDO STRASBURGO CONTA DI PIÙ
BRUXELLES.
Se i principali raggruppamenti politici hanno deciso di partecipare alle elezioni europee con un proprio candidato alla presidenza della Commissione la decisione è da attribuire a Martin Schulz, il gioviale, talvolta brusco, presidente del Parlamento di Strasburgo. Fu lui, nel 2013, a candidarsi da capolista per i Socialisti. La decisione dell’uomo politico tedesco è stata criticata da molti capi di Stato e di governo, gelosi del proprio diritto di nomina; ed è forse anche il tentativo di cavalcare le proprie ambizioni personali. Eppure, permetterà agli elettori di fare una scelta chiara quando voteranno.
Assumendo la presidenza del Parlamento nel 2012, Schulz aveva detto di volere «rendere l’assemblea udibile e visibile». Vi è certamente riuscito, anche per il ruolo sempre più importante che il Trattato di Lisbona ha affidato all’emiciclo di Strasburgo. Ormai i deputati hanno un potere di codecisione insieme ai governi che Schulz ha utilizzato per rafforzare l’influenza del Parlamento (e incidentalmente il ruolo del suo presidente). I dossier degli ultimi anni, a cominciare dall’unione bancaria e dalle trattative sul bilancio comunitario 2014-2020, hanno dato sicuramente man forte a Schulz.
Europeista, l’uomo politico lo è certamente, anche se ha escluso una qualche forma di mutualizzazione dei debiti. D’altro canto, in campagna elettorale è chiamato a una difficile quadratura del cerchio. Nel differenziarsi dalla sinistra radicale, è spesso costretto a difendere la politica di austerità sottoscritta da molti governi socialisti e da cui invece vorrebbe distanziarsi. Nel suo manifesto dice di voler rafforzare il coordinamento delle politiche economiche; migliorare la formazione dei giovani perché trovino lavoro; introdurre una Tobin Tax; ridurre le diseguaglianze tra i sessi; lanciare obbligazioni a progetto in campo ambientale.
Schulz può essere aspro. A proposito dei deputati socialisti, un giorno disse: «Sono come i piccioni della cattedrale di Strasburgo. Giù, vi mangiano nella mano. Su, vi sporcano in faccia». Nel 1999, ricorda Anna Colombo, oggi segretaria generale del gruppo socialista, si oppose alla nomina di Marcello Dell’Utri alla vice presidenza della commissione Giustizia. Nel 2009, convinse i parlamentari a modificare il regolamento interno per evitare che a presiedere l’assemblea nella sua seduta inaugurale dopo le elezioni di quell’anno fosse il decano del Parlamento: Jean-Marie Le Pen, il leader del Fronte Nazionale francese. Scelte oculate; o illiberali?
Schulz è nato nel 1955 a Eschweiler, in quell’angolo nella punta estrema del Nord-Reno Vestfalia alla frontiera con il Belgio, l’Olanda e il Lussemburgo, al centro dell’Europa carolingia. Oltre al tedesco, parla francese, olandese e anche un po’ di italiano. Patito di calcio, termina la scuola senza la licenza liceale e cade nell’alcolismo. Pentito, diventa libraio a Würselen, nei pressi di Aquisgrana, e successivamente sindaco della cittadina a 31 anni, il più giovane primo cittadino del suo Land natale. Basterà l’esperienza di sindaco in una città di 37mila abitanti per gestire la burocrazia comunitaria? Molti se lo chiedono.
Il presidente uscente del Parlamento europeo si è rifiutato di essere un Zeremoniemeister, un maestro di cerimonie, come dicono nella sua lingua. Eletto a Strasburgo per la prima volta nel 1994, diventò capogruppo del partito socialdemocratico tedesco nel 2000 e capogruppo dei Socialisti europei nel 2004, grazie anche a un battibecco in aula con l’allora premier italiano Silvio Berlusconi che lo rese improvvisamente popolare, in Italia. Schulz evocò in quella circostanza «il virus dei conflitti d’interesse». L’imprenditore gli rispose che lo avrebbe visto bene nel ruolo di «Kapò» in un film che un regista, suo amico, stava preparando.
«È un workaholic, un maniaco del lavoro - racconta Luca Fossati consigliere per gli affari economici del gruppo socialista all’assemblea di Strasburgo, che ha avuto modo di lavorare con Schulz -. Può essere molto esigente con i suoi collaboratori, ma mai in maniera ingiusta ed è sempre meritocratico. Non ha una preparazione tecnica particolare, ma studia accuratamente i dossier, e soprattutto ha una grandissima cultura storica». Molti osservatori fanno notare che l’uomo può essere al tempo stesso caloroso ma in alcune circostanze anche brusco. Certo, neppure in pubblico disprezza il linguaggio colorito.
Forte di un nuovo articolo dei Trattati che stabilisce come i capi di stato e di governo debbano scegliere il nuovo presidente dell’esecutivo comunitario «tenendo conto» dei risultati del voto, Schulz vuole che siano i cittadini europei a dire la loro, attraverso una scelta tra i diversi candidati. «Voglio diventare il primo presidente della Commissione europea che non sia il risultato di un accordo nell’ombra», ha detto in marzo, accettando la candidatura dei Socialisti europei, senza oppositori. Qualche mese prima aveva accusato i governi di gestire l’Unione europea «come ai tempi del Congresso di Vienna, a porte chiuse».
Eppure, nonostante le molte minacce di lasciare i diversi tavoli negoziali, Schulz ha sempre accettato l’accordo con i governi: sull’unione bancaria, sul bilancio del prossimo settennato, sul rinnovo della Commissione Barroso. I suoi detrattori dicono che si è piegato alla volontà dei Paesi per soddisfare ambizioni personali. Altri sottolineano che ha dato prova di realismo pur di evitare scontri istituzionali in un momento politico molto delicato. Pochi come lui hanno rafforzato il compito istituzionale del Parlamento europeo. A sorpresa, mentre in Italia è molto popolare, in Germania secondo un sondaggio Emnid solo il 17% dei tedeschi ammette di conoscerlo.
Beda Romano, Il Sole 24 Ore 21/5/2014