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 2014  maggio 21 Mercoledì calendario

PESTE ROSSA O NERA? – IL MORBO MONITORATO DALL’OMS E INTANTO RIAPPARE CON GRILLO


IL POTERE MEDIATICO DELLA PESTE NEL VENTUNESIMO SECOLO: COME SCIENZIATI E GIORNALISTI SI TROVANO ALLEATI NELL’EVOCARE IL TERRORE ANCESTRALE CHE QUESTA PAROLA ANCORA SCATENA NEL GRANDE PUBBLICO PER CATTURARNE L’ATTENZIONE. LA MORTE NERA POTREBBE RIAPPARIRE? È l’angoscioso dilemma proposto e riproposto da mesi su riviste scientifiche specializzate, pubblicazioni divulgative e quotidiani; c’è da chiedersi se prima o poi dei monatti ci chiameranno al citofono per sapere se abbiamo cadaveri da smistare o ammalati da trasferire al più vicino lazzaretto.
Ma andiamo con calma: in questi ultimi anni sono stati fatti passi in avanti particolarmente significativi nel settore della paleopatologia, la disciplina medica che studia le malattie del passato. Il problema principale del paleopatologo che, normalmente, ha a disposizione solo ossa, è quello di formulare diagnosi per le infezioni del sangue ad evoluzione acuta e mortale che non lasciano traccia sullo scheletro. La peste rientra in questi casi.
Diversa è la situazione della lebbra, della sifilide e della tubercolosi ossea, malattie croniche che lasciano stimmate che il paleopatologo è in grado di identificare. Quando, negli anni ’80, vennero compiuti dei tentativi pioneristici di isolare Dna da antichi scheletri e mummie, molti paleopatologi videro in questo tipo di analisi la soluzione dei loro problemi. Presto ci si accorse, purtroppo, che l’identificazione del Dna dei patogeni era difficilmente realizzabile in campo archeologico, vuoi per la scarsa durevolezza del Dna in certi ambienti, vuoi per il problema di distinguerlo da quello di innocui microrganismi del suolo.
Negli ultimi duemila anni ci sono state tre pandemie di peste di cui possediamo una precisa documentazione storica. La prima, che causò la morte di forse 50 milioni di persone, imperversò in Asia minore. Europa e Africa settentrionale nel VI secolo dopo Cristo; è conosciuta come peste di Giustiniano. Negli anni, gli esperti di archeogenetica hanno fatto più di un tentativo infruttuoso di dimostrare la presenza del Dna del batterio Yersinia pestis, agente patogeno della peste, nei resti di individui che, si riteneva, perché sepolti in fosse comuni risalenti all’epoca di una pandemia conosciuta, fossero deceduti in seguito a questa malattia.
Ora, però, le cose sono cambiate. Grazie a un metodo di estrazione del Dna dai residui della polpa dentaria e alle tecniche di sequenziamento di ultima generazione, ricostruiamo il genoma completo del bacillo. Ci è quindi possibile paragonare geneticamente tra di loro i ceppi di Yersinia. Il risultato più significativo è stato la ricostruzione del genoma dello Yersinia pestis che, verso la metà del 1300 causò la pandemia conosciuta nell’Europa settentrionale come «Morte nera».
Si è poi visto anche che il ceppo di Yersinia pestis che causò la peste di Giustiniano che, circa 800 anni prima aveva diffuso una pestilenza altrettanto temibile era geneticamente diverso. È la prova, dicono gli autori degli studi, che, per effetto di mutazioni, compaiono, a secoli di distanza, ceppi di Yersinia pestis particolarmente virulenti e in grado di sviluppare catastrofiche pandemie.
Torniamo ora al problema iniziale, quello dei monatti che ci chiamano al citofono: dopo l’ultima pandemia che si è scatenata in Asia alla fine dell’800, la peste, che è ancora l’aborrita Peste nera del ’300, è rimasta, in forma strisciante, in molte parti del mondo; per questo è tenuta costantemente sotto controllo dall’Oms, che segnala dai mille ai tremila casi di peste ogni anno, e dalle organizzazioni sanitarie nazionali; difficilmente potrà colpire di sorpresa su larga scala come nel medioevo.
Per la tranquillità del lettore aggiungo che si possono ottenere informazioni aggiornate sulla peste consultando, come ho fatto io, il portale Epicentro nel sito dell’Istituto superiore di Sanità: troviamo che la peste è una malattia infettiva di origine batterica tuttora diffusa in molte parti del mondo, anche in alcune regioni dei paesi industrializzati. È causata dal batterio Yersinia pestis che, normalmente, ha come ospite le pulci parassite dei roditori. Non è disponibile un vaccino per la peste, ma viene curata con una serie di antibiotici che possono essere usati anche per misure di profilassi.
L’Oms lo esclude, ma anche l’Italia è interessata dal problema peste. Per fortuna, non quella trasmessa da Yersinia pestis. A Piombino, davanti agli operai della Lucchini, Beppe Grillo ha attaccato il Pd usando il termine spregiativo «peste rossa». Nei social network qualcuno ha fatto notare, con scandalo, che lo stesso termine è stato usato dai nazisti. Effettivamente nell’inno SS Marschiert in Feindesland (le SS marciano in terra nemica) ricorre l’espressione Rote Pest (peste rossa). Secondo la modesta opinione di chi scrive è tuttavia poco verosimile che Grillo prepari i suoi comizi scartabellando tra vecchi testi (in tedesco e in chissà quante altre lingue straniere?) alla ricerca di insulti da lanciare sugli avversari; la spiegazione più immediata e verosimile è che il capo di M5S sia stato influenzato dalle notizie sul tema della peste e delle pestilenze profuse in abbondanza dai mezzi di informazione negli ultimi tempi.
In Italia, grazie al Manzoni e ai Promessi Sposi, siamo tutti più o meno ferrati sulla pandemia del ’500-’600 che adesso, grazie agli studi di archeogenetica sullo Yersinia pestis, sappiamo essere una riemergenza della Morte nera del XIV secolo. Nel 2006 la scoperta di una fossa comune della peste del 1590 sull’isola di Lazzaretto nuovo, a Venezia, assurse agli onori della cronaca nazionale solo perché l’antropologo Matteo Borrini aveva ritrovato, nello scheletro di un’anziana donna, le tracce di un rituale macabro destinato a contrastare l’azione di un Nachzehrer, sorta di vampiro responsabile della diffusione delle epidemie. Di gran lunga meno popolare è la peste di Giustiniano, che rappresenta la vera novità della stagione. È perciò comprensibile il risalto che è stato dato al ritrovamento di una serie di tombe risalenti al V-VI secolo dopo Cristo, il periodo della peste di Giustiniano, a Firenze, sotto il complesso degli Uffizi, in corrispondenza della Biblioteca Magliabechiana. Come ha riferito Repubblica del 12 febbraio 2014, hanno sottolineato l’importanza della scoperta le più alte cariche cittadine e regionali nel settore dei beni culturali. Non risulta a chi scrive che si sia fatto sentire Matteo Renzi, forse perché più interessato alla peste rossa di Grillo che alla peste di Giustiniano.