Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  maggio 11 Domenica calendario

SE LO TENGONO STRETTO BEIRUT: “IMPOSSIBILE ESTRADARE DELL’UTRI”


È molto difficile, se non impossibile, che il Libano conceda l’estradizione di Marcello Dell’Utri nei prossimi giorni”: da Beirut ambienti governativi blindano l’ex senatore condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Il cofondatore di Forza Italia, braccio destro di Silvio Berlusconi negli affari e in politica è stato condannato definitivamente a 7 anni per un reato che non consente pene alternative. Ma Dell’Utri ieri non è stato trasferito in carcere, come sarebbe accaduto a un altro qualsiasi cittadino e con molta probabilità non ci finirà mai. Non a caso, infatti, in previsione dell’esito nefasto della pronuncia della Cassazione è fuggito per tempo a Beirut, dove, raggiunto da un ordine di custodia cautelare preventiva, è stato arrestato per poi essere trasferito all’ospedale Al Hayat per problemi cardiaci. E ora l’estradizione è una strada impervia per il Ministero della Giustizia di Roma che ha inviato il corposo dossier, migliaia di pagine, tradotte in francese e alcune in arabo, per motivare la richiesta. Nella legislazione giudiziaria libanese, infatti, non esiste il reato di concorso esterno in associazione mafiosa per il quale è stato condannato, che non può essere equiparato alla prevista “associazione dei malfattori” libanese. O meglio come spiega Akram Azoury, il difensore dell’exsenatore (appartenente a una delle più antiche famiglie maronite, legale dei maggiori finanzieri e uomini potenti del mondo arabo, compreso il dittatore tunisino Ben Alì rifugiatosi in Arabia Saudita), “l’associazione dei malfattori potrebbe anche essere estesa all’associazione mafiosa ma non certamente al concorso esterno che qui non esiste”. E non è tutto. A questo si aggiunge un altro particolare non trascurabile. L’articolo 16 del trattato Italia-Libia firmato a Beirut il 10 luglio del 1970, entrato in vigore nel ’76, recita: “Saranno sottoposti a estradizione: gli individui che sono perseguiti per crimini o delitti puniti dalle leggi delle parti contraenti con una pena restrittiva delle libertà di almeno un anno”. E l’art. 20 che “l’estradizione sarà rifiutata se all’atto di ricevimento della domanda da parte dello Stato richiesto, l’azione penale o la pena è estinta in base alla legislazione dello Stato richiedente o di quello richiesto”. Tradotto: sia il reato che la pena debbono esistere in Italia e in Libano, uguale: principio della “doppia incriminazione”. Ma come sostiene il difensore libanese e autorevoli esperti di diritto internazionale e giuristi, visto che per la legge libanese i reati sono prescritti, l’estradizione verrà negata anche perché decadono le motivazioni. Un altro aspetto su cui punterà la difesa è il fatto che Dell’Utri quando è arrivato a Beirut era un uomo libero, entrato con un regolare passaporto italiano e questo è utilissimo per dimostrare che non è fuggito in Libano ma aveva scelto Beirut per un periodo di riposo, esattamente come spiega l’avvocato Azoury: “La Corte d’Appello di Palermo aveva respinto la richiesta dei pm del divieto di espatrio, tant’è che il senatore Dell’Utri godeva di un regolare passaporto, non è entrato in Libano con documento falso”.
Osservazione ineccepibile. Sarebbe interessante scoprire con quale motivazione è stata negata la richiesta dei pm. L’avvocato ribadisce il principio sancito dall’art. 20 del trattato: “Il reato di cui è stato accusato in Libano è prescritto. Questo lo ha detto la Cassazione: non può essere processato per i reati per fatti accaduti dopo il 1992”. E continua: “Questo per noi non è un caso politico come lo è in Italia, è esclusivamente un caso da risolvere tecnicamente”. E dice di comprendere che la mafia per il nostro Paese sia un enorme problema ma non capisce cosa c’entri Marcello Dell’Utri, che “ha pagato una condanna politica per essere stato il braccio destro di Silvio Berlusconi”. A prescindere dall’esito si prevedono tempi lunghissimi.
La documentazione di tutti gli atti del processo, arricchita dalla sentenza di condanna emessa dalla Corte di Cassazione inviata dal ministro della Giustizia Andrea Orlando e pervenuta al Ministero della Giustizia libanese è appena arrivata sulla scrivania del procuratore generale Samir Hammoud. Procuratore che prima dovrà studiare le migliaia di fascicoli poi interrogare l’ex senatore di Forza Italia, che ad ora non ha mai incontrato, e infine prendere una decisione e comunicarla al potere esecutivo: al primo ministro e al presidente della Repubblica che potranno accettare o rifiutare il parere del procuratore generale. Ragione per cui suona infondata la notizia attribuita a non ben specificate fonti giudiziarie apparsa sul sito locale NowLebanon secondo cui “il ministero della giustizia di Beirut ha già avviato le procedure per l’estradizione” che avverrebbe “la prossima settimana” tanto che sarebbe già stata allertata l’Interpol per garantire il trasferimento di Dell’Utri a Roma. Infatti fonti governative libanesi chiariscono: “Difficile se non impossibile che le autorità libanesi concedano presto l’estradizione”. Se fosse stato così semplice essere estradato Dell’Utri non avrebbe scelto Beirut per riposare.

Sandra Amurri, Il Fatto Quotidiano 11/5/2014