Gino Castaldo, la Repubblica 11/5/2014, 11 maggio 2014
SONO STATA LA SEGRETARIA DEI BEATLES
[Intervista a Freda Kelly] –
MILANO
Una donna normale, normalissima, come se non fosse stata per undici anni la segretaria dei Beatles. Una simpatica, gioviale, riservata signora inglese che sulla sua fantastica esperienza ha tenuto la bocca rigidamente chiusa per quarant’anni. Niente libri, niente interviste, silenzio assoluto in nome di un understatement quasi eccessivo. «Ero solo una segretaria» dice oggi, a cena in un ristorante milanese, ma sa bene di aver incarnato il sogno segreto di milioni di ragazzine che al tempo avrebbero dato qualsiasi cosa per essere al suo posto.
Il suo nome, Freda Kelly, era molto noto ai fan perché era lei a gestire l’immenso lavoro legato al fanclub, un incalcolabile numero di lettere e richieste di ogni tipo che arrivavano da ogni luogo. «Oh sì», racconta con gli occhi che ancora splendono di quei ricordi, «arrivava di tutto, c’era una ragazza che chiedeva se per favore George poteva passare da lei alle 5 di quel tale giorno perché faceva una festicciuola di compleanno e avrebbe gradito la sua presenza, chi chiedeva semplicemente autografi, brandelli di stoffa, ciocche di capelli, qualsiasi cosa fosse legata a uno dei quattro. Io cercavo di accontentarle, quando potevo. Del resto io stessa ero una fan, le capivo, e proprio per quel motivo mi ero ritrovata improvvisamente accanto a loro».
Freda lavora ancora oggi come segretaria. Stasera tornerà in Inghilterra, vicino Liverpool, perché lunedì deve essere al lavoro e non può prendersi troppi giorni di ferie. È una talmente discreta che molte delle persone che lavorano con lei solo ora cominciano ad accorgersi che di lei si inizia a parlare ovunque. Fosse stato per Freda nessuno si sarebbe accorto di nulla, il segreto meglio custodito nella storia dei Fab four. Poi, improvvisamente, la decisione di raccontare. Ma perché proprio oggi, cosa le ha fatto cambiare idea? «Il mio nipotino» risponde candida. E spiega. «Tre anni fa sono andata in America, per un festival dedicato ai Beatles, e sono rimasta impressionata dall’accoglienza che ho ricevuto. Dicevo: ragazzi, ma io non sono una dei Beatles, e neanche una loro fidanzata. Ma nonostante ciò la gente continuava a insistere: devi assolutamente raccontare la tua storia. Ero indecisa. Poi, quando sono tornata a casa, mia figlia mi ha detto: mamma stai invecchiando, la tua scatola della memoria potrebbe svuotarsi, perché non fai qualcosa, se non per me e per tuo figlio perlomeno per tuo nipote Niall?».
«Tuo nipote non saprà nulla di nulla di tutto quello che ti è successo se non lo racconti oggi. E allora ho detto sì. Un mio amico aveva a sua volta un nipote, Ryan, che faceva documentari. Era interessato alla storia e così abbiamo fatto una prima seduta, mi sono accomodata sul divano e ho cominciato a raccontare. Un anno dopo Ryan è tornato e mi ha detto: abbiamo bisogno di un altro weekend». Così è nato La segretaria dei Beatles, il docu-film che si vedrà nei cinema italiani solo per un giorno, il 27 maggio. Tuttò cominciò al Cavern di Liverpool. Freda aveva sedici anni. Fu portata da un’amica a vedere questa nuova band che suonava nel locale e da quel giorno non si staccò più dai Beatles. «Credo che abbiano suonato al Cavern qualcosa come duecentonovanta volte, beh io devo esserci stata almeno centonovanta. Ero una fan, come tutte le altre, e il Cavern divenne come una seconda casa per me». Fu lì che Brian Epstein si accorse di lei e la scelse tra tante proponendole di gestire il neonato fanclub. Roba da poco all’inizio, tanto che incautamente Freda mise a disposizione il suo indirizzo di casa: The Beatles Fan club c/ o Freda Kelly, 1-07 Brookdale road, Liverpool 1-5. Nel giro di poco tempo le lettere cominciarono a essere centinaia. Lei stava sempre vicina a quei quattro ragazzi, cominciò a svolgere il suo lavoro con devozione e lealtà, si faceva firmare autografi per inviarli alle fan, e pian piano cominciò a occuparsi di tutte le questioni legate al gruppo. Quanto vicina? Da brava fan si potrebbe legittimamente immaginare che ci possa essere stato anche qualcosa di più, ma su quest’argomento Freda è brutalmente schiva. Sorride, lascia intendere che sì, probabilmente, qualcosa, ma sono faccende molto private e non ha alcuna intenzione di rivelare alcunché: «All’inizio, come tutte le altre, ero ovviamente innamorata di loro. Un giorno era Paul, ma poi bastava che John mi parlasse e il preferito diventava lui». Confessa però di avere avuto una relazione con uno dei Moody Blues, gruppo a metà dei Sessanta molto di moda. La cosa fece piuttosto ingelosire i quattro che per farle uno scherzo la licenziarono. Addirittura John le disse: vai a lavorare per loro. Salvo poi, per scusarsi, e su imperiosa e serissima richiesta di Freda, inginocchiarsi e implorarla di tornare con loro.
«Senza offesa» dice all’improvviso fissandomi dritto negli occhi, «capisco che una donna della mia età ami questa storia: ci sono i Beatles, c’è la mia gioventù, c’è il punto di vista di una ragazza. Ma davvero non arrivo a capire come possa interessare a un uomo della sua età. Il mio è solo un piccolo racconto…». Cara Freda ci sono molte ragioni per spiegare il fascino di questo racconto, ma la principale è che sembra un’alla finestra aperta sulla più bella storia che abbia attraversato la cultura popolare dei nostri tempi. Lei per esempio, sembra essere convinta che la vera fine della band sia cominciata il giorno in cui è morto Brian Epstein, è così? «Di sicuro è quello che pensarono tutti al momento della morte di Brian. Fu uno shock troppo forte, sembrava difficile che potessero continuare senza di lui, era il perno di tutto. Eppure è vero che riuscirono ad andare avanti, si rimisero subito al lavoro. Epstein era il mio capo, ed era un uomo speciale, in un certo senso scisso, come se in lui convivessero due personalità: sul lavoro era uno super preciso, che non ammetteva errori, si arrabbiava anche, e molto; finito il lavoro era estremamente gentile, e mi portava spesso a mangiare fuori. A quei tempi si usava ancora chiamarsi per cognome, Mr. Smith, Mrs. Smith eccetera. Da noi eravamo tutti più friendly, ma si voleva comunque mantenere una certa forma di rispetto, e così Epstein era Mr. Brian in ufficio e fuori solo Brian».
Mi mostra sul telefonino un filmato dei Beatles al Cavern, unica copia, e dice che quello è il suo ricordo preferito, il momento in cui tutto era genuino: «Amavo i fan che venivano a vedere i Beatles al Cavern, li conoscevo uno per uno. E anche i Beatles li conoscevano, erano capaci di accorgersi dal palco se uno di loro si era tagliato i capelli. Ma il ricordo più emozionante è la cerimonia al municipio di Liverpool. Quando lavoravo per loro stavo sempre in ufficio, quasi non mi ero resa conto che fuori era scoppiata la beatlemania . A un certo punto ci fu una grande cerimonia in Comune per dare a quei quattro un riconoscimento ufficiale. Ricordo che stavamo tutti dentro, e alla fine loro uscirono sul balcone per salutare la gente. Le finestre si aprirono e fuori c’era una folla enorme che urlava. Mi resi conto così, improvvisamente, che era successo qualcosa, qualcosa di grandioso». Ma lei restava sempre al suo posto, a sgobbare in ufficio, anche quando il grosso del lavoro si spostò a Londra. «Sì, di solito io rimanevo a Liverpool, andavo a Londra solo ogni tanto, magari la sera, in giro per club, con loro. Magari c’erano gli Stones, o altri musicisti, poi me ne tornavo a Liverpool, alla vita normale. In un certo senso le cose sono filate via quasi normalmente fino al 1964, e in parte fino al 1965. Poi tutto diventò eccessivo, incredibilmente eccessivo. Tornava a essere relativamente tranquillo solo quando me ne restavo in ufficio, esattamente come succede quando si sta nel centro di un ciclone. Pian piano riorganizzai il lavoro, e quando diventò davvero enorme presi una segretaria per il fanclub in ogni regione dell’Inghilterra, e poi anche una per gli altri paesi. C’era una ragazza in Italia, una in Francia, perfino una in Giappone e con alcune sono rimasta amica ancora oggi». Mi mostra un’altra foto, anno 1967, gli storici uffici della Nems, il grande negozio di elettrodomestici e dischi degli Epstein: «La parete era piena, strapiena di dischi, copertine, firme di gente famosa che era passata per quelle stanze. Quando abbiamo spostato l’ufficio avrei voluto portarmi dietro anche quel muro, ma fu impossibile. Il fratello di Brian, Clive, mi disse: per favore, Freda, basta muri». Il volto di Freda si intravede anche nel film Magical Mistery Tour. «La situazione era abbastanza caotica. Il film si girava all’impronta, la sera si decideva per il giorno dopo. Io avevo portato altre tre ragazze che lavoravano con me. Paul voleva che stessi seduta sul bus vicino a loro, ma io dissi no, ero timida, mi sedetti in fondo: ci sono sul bus, ma sto dietro». E oggi? È rimasta in contatto con i Beatles? «Solo occasionalmente. Sono amica del fratello di Paul, che vive non lontano da me, dall’altra parte del fiume (il mitico Mersey, ndr ), del cugino di Paul, John, che lavorava con me al fanclub, e anche dei parenti di Ringo. Ma quando ho smesso di lavorare per loro abbiamo fatto vite molto diverse. Qualche volta sono anche andata a vedere i loro concerti. Ringo, per dire, ha suonato a Liverpool due anni fa, e sono andata a sentirlo, però poi no, non mi andava di andare a salutarlo nel backstage». A Ringo probabilmente avrebbe fatto piacere. «Non lo so, può darsi, è vero che con me sono stati deliziosi. Sono rimasta anche molto sorpresa dal fatto che abbiano concesso l’uso delle loro canzoni per il documentario. Sono decisioni non facili, che ogni volta devono prendere in quattro: Paul, Ringo, Olivia, la moglie di Harrison, e Yoko Ono. No, Olivia non l’ho mai incontrata, Yoko sì, ma non siano amiche. Comunque, per tornare a noi: sono stati tutti d’accordo nel darmi le loro canzoni. Succede molto di rado, sa?, vuol dire che si ricordavano di me». Voi la dimentichereste una così?
Gino Castaldo, la Repubblica 11/5/2014