Carlotta Magnanini, D la Repubblica 10/5/2014, 10 maggio 2014
DOPO IL PUNTO IL BUSINESS
Mettiamo che vogliate comprare online una chitarra elettrica. Accendete il computer, andate su Google e, visto che quelle Usa sono il meglio, digitate la parola guitar per suggerire al cervellone di mostrarvi una vetrina più ampia, con indirizzi internazionali. Non che la risposta aiuti granché, con quelle migliaia di risultati e sfilze di rivenditori sconosciuti dai nomi criptici. Quindi, che fate per accelerare i tempi? Date un’occhiata alle chitarre sul sito www.pincopallino.com o vi attirano di più quelle su www.pincopallino. guitar? La risposta è scontata, ma fino a qualche settimana fa la domanda non poteva nemmeno essere posta. Perché su Internet quel “punto guitar” non era ancora arrivato. E nemmeno “punto bike”, “punto shoes”, “punto coffee”, eccetera (comprese parole in cirillico o ideogrammi): centinaia di “punto e qualcosa” che da qui a pochi mesi cambieranno
il nostro modo di navigare.
Saranno più di 700 le nuove estensioni gTLD, generic Top Level Domains, le lettere a destra del punto in un indirizzo web, e il loro ingresso riporterà in auge la specializzazione contro l’anti-globalizzazione, facendo un
gran bene alla visibilità delle aziende, al marketing e forse un po’ di male ai colossi dei motori di ricerca:
che senso avrà chiedere a Google di trovarti un indirizzo, se con un po’ di intuizione lo puoi digitare direttamente da te?
Ma facciamo un passo indietro, a quando tutto è cominciato. Siamo nel 2012 e l’ICANN, l’ente sovranazionale responsabile del sistema dei nomi a dominio nel mondo, apre una finestra temporale di alcuni mesi per consentire a chi vuole (aziende, privati,
città) proporre la propria estensione, da lanciare nel cyberspazio. Dai primordi della Rete la rosa di possibilità
si limitava ai domini geografici (.it, .fr, .de, eccetera) e ad appena una ventina di generici (.com, .org, .net...). Era ora di ampliare le opportunità, incentivare la competizione. Un “liberi tutti” che però è meno democratico di quello che sembra: «Ogni “candidatura” ha un costo molto alto, sui 200mila dollari», spiegano da Dada, gruppo leader nella gestione dei servizi digitali professionali che, con Register.it, detiene una quota dell’1% del mercato mondiale dei nuovi gTLD.