Annalena Benini, IoDonna 10/5/2014, 10 maggio 2014
SIAMO QUELLE CHE COSTRINGONO UN UOMO A CHIUDERSI IN BAGNO. PER SCRIVERCI TI AMO
Quando la vita procede diritta e fiera verso i nostri scopi, capita di non lasciarsi spettinare dai venti della sera, ma di venire conquistate dalle certezze. Il male e il bene, le brave e le cattive ragazze. Le sfasciafamiglie e quelle che una famiglia se la costruiscono. È un modo per difendersi, anche, per sapere sempre da che parte stare, per prendere le misure del mondo. E in queste misure, molto approssimative e quindi molto rassicuranti, l’amante è una stronza. La donna che si infila dentro una coppia, che porta via il marito, che lo costringe a chiudersi in bagno per scriverle “Mi manchi”, che crea un tale scompiglio nei sentimenti e nelle abitudini da mandare in pezzi la famiglia, o almeno da farle attraversare una tempesta. Non un’avventura di una notte lontano da casa, ma un assalto ambizioso, spregiudicato: una storia d’amore. Guardiamo dall’alto, o dal nostro lato del giardino, e giudichiamo, spaventate che ci possa accadere, fiere del fatto che non lo faremmo mai, ci riuniamo con le amiche per escogitare la vendetta verso quella bionda pallida scovata sul telefonino di lui: rigarle la macchina, almeno. A volte però succede qualcosa che cambia tutto, che ci scaraventa dentro un altro pezzo di universo, e manda in frantumi il buonsenso, ma anche la ferocia dei giudizi.
COME CI SI SENTE adesso, adesso che quella stronza sei tu? O la tua migliore amica, che con gli occhi pieni di lacrime ti racconta che lui non lascerà mai la moglie, e che lei senza di lui non ce la fa. Sei tu quella con lo sguardo fisso sul telefono, in attesa che si illumini di un messaggio che dica: “Lei è partita, a che ora ci vediamo?”. Sei tu quella che sa quando i figli non tuoi hanno le recite e i compleanni e la varicella, e la grande ha fumato una canna e in casa è successo il putiferio. Ma tu eri dall’altra parte, a casa, in attesa che lui si chiudesse in bagno o uscisse con il cane. Ci vuole coraggio ad ammettere che cambia tutto. Cambiano gli alberi, le case, le strade, cambia la luce della domenica mattina. Cambia lo sguardo sulle mogli, perfino, in questa vita umanissima in cui la felicità e l’infelicità camminano spesso abbracciate. Elvira Serra, giornalista del Corriere della Sera, ha deciso non solo di raccontare il suo lato della barricata, quello impensabile fino a un istante prima che accadesse, ma ha scelto di distruggere le barricate. Il suo romanzo L’altra (Mondadori) è un memoir sentimentale sincero e nudo, “la verità tutta la verità nient’altro che la verità”, è la sua vita di “altra”, di donna che aspetta il marito di un’altra. Lui la ama, glielo dimostra, glielo ripete, quelle ore rubate insieme sono sempre magnifiche, ci sono le foto di loro due insieme sul frigorifero di lei, ma è una vita sommersa, nessun altro deve vedere quel frigo, o quel posacenere accanto alla finestra lasciato lì per lui, perché la notte possa alzarsi e fumare, e pensare alle scelte, perché non si può più aspettare, non è giusto. La leggerezza abbraccia il dolore, a poco a poco, mentre l’innamoramento va sempre più in profondità, e allora fa male. E il compleanno da sola è triste, e quel mal di testa fortissimo non ha spiegazioni fisiche, ma viene dal cuore. È un libro nudo che rompe le barricate: «Ho dovuto imparare a essere più buona» ha detto Elvira Serra «ho dovuto capire che non c’è un colpevole, ma nessun libro, nessun film ce lo può spiegare».
IL CAPITOLO più difficile da scrivere, in mezzo alle speranze deluse, agli ultimatum e ai penultimatum, è stato quello sulla moglie del signor Darcy (l’uomo che ha letto questo libro prima che venisse pubblicato ne è rimasto turbato, forse anche spaventato, ma non le ha chiesto di bruciarlo, di diventare un’altra): quando sei l’Altra, speri che la cattiva sia lei, la titolare. «Dirottavo ogni responsabilità sull’ombra, il totem, la sintesi di tutte le possibilità negate ». Era severa, generalessa, egoista, era un mostro. Fino a che una sera, al ristorante, dentro il perimetro stretto di quella felicità, Elvira ha chiesto a Darcy una foto della moglie. Una donna carina, semplice, in piedi con un bambino davanti, forse infelice, forse no. Non era la strega cattiva, era una moglie, forse era anche simpatica. In quel piccolo schermo c’era «una vita che non era la mia», ma che la riguardava ogni istante. È così che crollano le barricate, spostando lo sguardo, cambiando posizione. Quel che succederà, poi, nemmeno il cuore può saperlo.