Andrea Giacobino, Avvenire 11/5/2014, 11 maggio 2014
DAL DADO STAR A TELECOM, LE 7 VITE DI MARCO FOSSATI
«La prima generazione costruisce, la seconda mantiene, la terza distrugge». Il motto corre spesso di bocca in bocca tra le famiglie di imprenditori, specialmente quando un "grande vecchio" sta per andarsene e guarda con preoccupazione al futuro dell’azienda da lui fondata e affidata agli eredi. Il motto non è però fortunatamente sempre valido. Non lo è, ad esempio, per Marco Fossati, 55 anni, figlio di quel Danilo che nel 1948 fondò la Star lanciando i famosi dadi inventati dal padre Regolo nel retro della sua macelleria di Muggiò, nel cuore della Brianza.
Fossati poteva fare l’industriale come papà, ma non ha voluto. Tanto che molti lo hanno considerato per anni un signore eccentrico, se non una scheggia impazzita, che ha preferito giocare da outsider anziché inserirsi in un’impresa in cui vigeva la disciplina ferrea del capostipite, il cui motto era: «Il primo ad entrare in azienda e l’ultimo a uscire». Da giovane Marco scappa negli Usa. In Italia restano gli altri figli di Danilo: Luca al quale passa la gestione della Star, Giuseppe, Daniela e Stefania. Dopo che papà Danilo muore nel 1995 e sei anni più tardi se ne va anche Luca in un tragico incidente, Marco prende in mano il timone della Star che vende però nel 2006 ad un gruppo spagnolo.
Troncato ogni legame con la creatura del padre, Fossati decide di giocare da grande: tra il 2007 e il 2008 sborsa 1,2 miliardi di euro per comprare il 5% di Telecom Italia. Dopo che nell’indebitatissimo ex monopolista dei telefoni erano passate le gestioni di Roberto Colaninno e Marco Tronchetti Provera, un industriale privato diventa socio di minoranza del colosso spagnolo Telefonica e di un gruppo di azionisti italiani pesanti, da Mediobanca a Intesa, dalle Generali ai Benetton. Che vuole Fossati in Telecom? Per molto tempo non si capisce. Il gruppo gestito da Franco Bernabè continua a perdere soldi e a soffrire in Borsa, dimezzando il valore dell’investimento dell’ex padrone della Star che ci perde 600 milioni. Così Fossati si agita: flirta con gli spagnoli tentando di vendere loro il suo 5%, poi attacca Bernabè e i soci forti. Nessuno se lo fila e nessuno lo fa entrare in cda.
Lo scorso anno, però, Bernabè salta. Alla gestione arriva Marco Patuano e i grandi soci, Telefonica esclusa, decidono di smobilitare. Fossati riprende a muoversi, ma questa volta i fondi internazionali, pure loro azionisti "cornuti e mazziati", lo ascoltano. E qualche settimana fa -anche se in assemblea non passa la sua proposta di revocare tutti i consiglieri - riesce tuttavia a far nominare nel board proprio tre esponenti degli investitori istituzionali. Telecom Italia inizia così faticosamente a diventare una vera public company, sul modello del capitalismo evoluto degli Stati Uniti amato e frequentato da Fossati, dove non sanno nemmeno cosa siano i ’salotti buoni’ di azionisti che con poche azioni pretendono di comandare. Se a seguito di questa piccola rivoluzione il titolo Telecom si riprenderà, vorrà dire che Marco ha fatto bene a liberarsi dei brodi e dei dadi di papà Danilo e nonno Regolo.