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 2014  maggio 11 Domenica calendario

DAL DADO STAR A TELECOM, LE 7 VITE DI MARCO FOSSATI

«La prima generazione costrui­sce, la seconda mantiene, la terza distrugge». Il motto cor­re spesso di bocca in bocca tra le famiglie di imprenditori, specialmente quan­do un "grande vecchio" sta per andarsene e guarda con preoccupazione al futuro dell’a­zienda da lui fondata e affidata agli eredi. Il motto non è però fortunatamente sempre va­lido. Non lo è, ad esempio, per Marco Fossati, 55 anni, figlio di quel Danilo che nel 1948 fondò la Star lanciando i famosi dadi inventati dal pa­dre Regolo nel retro della sua macelleria di Mug­giò, nel cuore della Brianza.
Fossati poteva fare l’industriale come papà, ma non ha voluto. Tanto che molti lo hanno con­siderato per anni un signore eccentrico, se non una scheggia impazzita, che ha preferito gio­care da outsider anziché inserirsi in un’impre­sa in cui vigeva la disciplina ferrea del capostipite, il cui motto era: «Il primo ad entrare in azienda e l’ultimo a uscire». Da giovane Marco scappa negli U­sa. In Ita­lia resta­no gli al­tri figli di Danilo: Luca al quale passa la gestio­ne della Star, Giuseppe, Daniela e Stefania. Do­po che papà Danilo muore nel 1995 e sei anni più tardi se ne va anche Luca in un tragico incidente, Marco prende in mano il timone del­la Star che vende però nel 2006 ad un gruppo spagnolo.
Troncato ogni legame con la creatura del padre, Fossati decide di giocare da grande: tra il 2007 e il 2008 sborsa 1,2 miliardi di euro per comprare il 5% di Telecom Italia. Do­po che nell’indebitatis­simo ex monopolista dei telefoni erano passate le gestioni di Rober­to Cola­ninno e Marco Tronchetti Provera, un industriale privato di­venta socio di minoranza del colosso spagno­lo Telefonica e di un gruppo di azionisti italia­ni pesanti, da Mediobanca a Intesa, dalle Ge­nerali ai Benetton. Che vuole Fossati in Tele­com? Per molto tempo non si capisce. Il grup­po gestito da Franco Bernabè continua a per­dere soldi e a soffrire in Borsa, dimezzando il va­lore dell’investimento dell’ex padrone della Star che ci perde 600 milioni. Così Fossati si agita: flir­ta con gli spagnoli ten­tando di vendere loro il suo 5%, poi attacca Ber­nabè e i soci forti. Nes­suno se lo fila e nessuno lo fa entrare in cda.
Lo scorso anno, però, Bernabè salta. Alla ge­stione arriva Marco Patuano e i grandi soci, Te­lefonica esclusa, decidono di smobilitare. Fos­sati riprende a muoversi, ma questa volta i fon­di internazionali, pure loro azionisti "cornuti e mazziati", lo ascoltano. E qualche settimana fa -anche se in assemblea non passa la sua pro­posta di revocare tutti i consiglieri - riesce tut­tavia a far nominare nel board proprio tre e­sponenti degli investitori istituzionali. Telecom Italia inizia così faticosamente a diventare una vera public company, sul modello del capitali­smo evoluto degli Stati Uniti amato e frequen­tato da Fossati, dove non sanno nemmeno co­sa siano i ’salotti buoni’ di azionisti che con poche azioni pretendono di comandare. Se a se­guito di questa piccola rivoluzione il titolo Te­lecom si riprenderà, vorrà dire che Marco ha fat­to bene a liberarsi dei brodi e dei dadi di papà Danilo e nonno Regolo.