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 2014  maggio 11 Domenica calendario

LA SOPRAVVISSUTA AL MANIACO SERIALE «HO PAURA, LO VEDO NEI MIEI INCUBI» LA SUA DENUNCIA DECISIVA: «AVEVO CAPITO CHE ERA LUI IL KILLER»


DALLA NOSTRA INVIATA FIRENZE —Scende in ciabatte e si fa strada fra i bambini che giocano lì davanti: «Sono Marta, sì, quella della violenza di tre anni fa. L’hanno beccato, finalmente, quel gran bastardo... Ma io non sono per niente tranquilla, me lo sogno ancora di notte. E se avesse degli amici come lui? Se qualcuno venisse qui a cercarmi?». Marta è una donna sulla cinquantina, capelli neri come la pece, non proprio snella, né disperata né tossicodipendente come le ultime vittime della brutalità di Riccardo Viti, l’idraulico stupratore di prostitute che una settimana fa ha legato a una sbarra, violentato e lasciato a morire Andreea Cristina Zamfir, romena di 26 anni con problemi di droga e prostituta per disperazione, appunto. Erano amiche, Marta e Cristina. Connazionali e compagne di strada, di notti e notti passate lungo il vialone delle lucciole al Parco delle Cascine. «Lei viveva a casa mia» racconta Marta che dice di essere arrivata in Italia sette anni fa. «Finché è stata con me stava bene, era una bella ragazza e non era così magra, con la faccia così scavata... ».
Anche Marta, come Cristina, è finita nelle mani di quell’uomo. Ne è uscita viva ma non sa nemmeno lei come ha fatto: «Io mi ricordo soltanto che a un certo punto, mentre ero legata, l’ho visto prendere delle tenaglie da una borsa e lì mi sono sentita morire. Ho cominciato a urlare e gli ho mollato un calcione, Dio mi ha aiutato ed è scappato via ma io ero ferita e sanguinante. Mi ci sono voluti giorni e giorni per guarire e la paura non è mai passata. Ci penso ogni volta che salgo in macchina con un cliente».
Fra la morte di Cristina e il momento in cui carabinieri e polizia sono andati a prendere a casa Riccardo Viti sono passati cinque giorni. Le prostitute delle Cascine sapevano di essere in pericolo, si sono organizzate: se una saliva in macchina l’altra prendeva la targa, se uno stava fuori troppo tempo l’altra telefonava, se c’era un tizio sospetto partiva la chiamata al 112 o al 113. Ma lui, l’idraulico, non si è più visto. «Io avevo capito benissimo chi era quel bastardo che aveva ammazzato Cristina ma non avrei saputo come rintracciarlo e la mia descrizione l’avevo già data alla polizia la sera dell’aggressione, nell’autunno del 2011».
Marta dice di avere dieci figli: «Sono tutti in Romania, vanno a scuola, sono felici e lontani da questa vita infame. Una di loro è una dottoressa e fra poco si sposa. Vorrei tanto comprarle un’auto come regalo di nozze, per questo continuo ancora a lavorare in strada». C’è andata anche venerdì sera, sul viale delle Cascine. Viti era in carcere da qualche ora, le televisioni avevano parlato di lui per tutto il giorno ma lei si sentiva lo stesso in pericolo. «A un certo punto è passato un tipo esattamente uguale a lui. Ho pensato: oddìo, è un suo parente, magari un fratello che viene a cercarmi per farmi del male. Gli ho urlato contro. Gli ho detto: guarda che ci sono agenti in borghese ovunque, se non te ne vai li chiamo. Per me non passerà mai il ricordo di quello che mi ha fatto». Lei si agita, alza la voce. E dal casolare abbandonato dove vive sbucano altri bambini, donne e uomini. Marta racconta e loro ascoltano, come se fosse una favola. Ma è la storia triste di Cristina oppure è quella dell’aggressione subita da lei, che tra una frase e l’altra piazza improperi e parolacce. «Voglio proprio vedere, adesso, quanti anni di galera si farà quello... Deve sapere che io voglio esserci, quando lo processeranno. Sarò lì a chiedergli i danni e a pretendere giustizia».
La stessa giustizia che, dall’altra parte della barricata, chiede la madre dello stupratore. Non che voglia assolvere suo figlio, non che voglia giustificarlo. «In 57 anni di matrimonio io e tuo padre non ti abbiamo mai insegnato tutto questo male» gli aveva detto piangendo mentre lo arrestavano. Ieri si è sfogata con l’avvocato che lo difende: «L’immagine che hanno costruito di mio figlio non corrisponde alla realtà. Riccardo non è una bestia». Tutta qui la sua difesa di madre disperata e le parole che le sembrano giuste: «Riccardo non è una bestia».
L’aveva invece definito proprio così il questore Raffaele Micillo annunciando che i suoi uomini lo avevano scovato. Trovato grazie all’indicazione preziosa dell’auto (una Fiat Doblò) arrivata dai carabinieri, grazie a un bel po’ di indizi messi assieme con le indagini ma, soprattutto, grazie alla memoria di un ragazzo che lavorava alla squadra volanti fino a pochi mesi fa. Si chiama Paolo De Giorgi, ha 36 anni, e l’altro giorno parlando con i colleghi delle caratteristiche fisiche del violentatore si è ricordato che uno così lo aveva identificato proprio al Parco delle Cascine mentre era di pattuglia su una volante. Quel tipo litigava con una prostituta per questioni di soldi e gli agenti si erano avvicinati per capire cosa stesse succedendo. Ieri il questore ha annunciato di voler chiedere una promozione per De Giorgi che adesso lavora alla squadra mobile: un riconoscimento per meriti straordinari che gli valga il passaggio da assistente capo a sovrintendente dopo il contributo dato a quest’inchiesta. Può darsi che quella sera la pattuglia dell’assistente capo abbia salvato la vita alla ragazza di turno. Il destino non ha voluto nessuna volante invece, domenica sera. Nessun De Giorgi piazzato sul percorso fra Cristina e la morte.