Luciano Mondellini, MilanoFinanza 10/5/2014, 10 maggio 2014
CHI SI FIDA DI SERGIO?
La tre giorni nordamericana del Lingotto, che tra il 6 e l’8 maggio ha presentato i nuovi piani industriali di Fiat Chrysler e Cnh Industrial, ha lasciato la comunità politico-finanziaria col dubbio: Sergio Marchionne e i suoi obiettivi, giudicati da tutti ambiziosi e impegnativi, meritano o no la fiducia della comunità politico-finanziaria? Sotto i riflettori è stato messo soprattutto il nuovo piano industriale della casa automobilistica, che prevede 55 miliardi di investimenti complessivi per raggiungere l’obiettivo di vendere 7 milioni di auto entro il 2018.
Un traguardo che dovrebbe essere tagliato scommettendo forte sul rilancio dei marchi Alfa Romeo e Maserati e su una crescita esponenziale delle vendite di Jeep (si veda tabella in pagina)
Un primo giudizio in questo senso è arrivato dalla borsa, che nei giorni seguenti il piano ha affossato il titolo Fiat Spa facendogli perdere l’ 11,1% nelle tre sedute tra mercoledì 7 maggio e venerdì 9. Ma, come ha spiegato lo stesso manager italo-canadese, questo crollo, ovviamente non auspicato, era ipotizzabile. «Il titolo aveva corso molto nel 2014 (+46,5% nei quattro mesi dal 1° gennaio a venerdì 2 maggio, ndr).
Quindi era naturale che qualcuno vendesse. Inoltre, il nuovo piano è aggressivo, quindi è normale che una categoria di investitori disinvesta», ha spiegato Marchionne nella notte italiana tra giovedì 8 e venerdì 9 maggio.
Il nodo infatti non sta tanto nella reazione di borsa nel breve termine, quanto nella possibilità concreta che gli obiettivi contenuti nel piano (si veda tabella in pagina) siano raggiunti sul lungo periodo. Non a caso non appena è stato reso noto il piano a Detroit la parola d’ordine che circolava tra analisti e osservatori era «execution», ovvero ci si chiedeva se Marchionne sarà capace di tradurre obiettivi così ambiziosi nella pratica.
Gli operatori del settore, in particolare, sono stati colpiti dal salto che dovrebbe compiere in questi cinque anni l’Alfa Romeo. Il brand del Biscione, infatti, è chiamato a ottenere, in un segmento presidiato da colossi come Daimler, Audi e Bmw, immatricolazioni per 400 mila vetture nel 2018 partendo da una base di 74 mila vetture vendute nel 2013. Lo scetticismo del mercato non ha comunque scalfito le sicurezze di Marchionne: «Per me non è la prima volta; nel 2004 a Balocco, quando presentai il mio primo piano industriale in Fiat, gli osservatori si sono messi a ridere.
Poi gli obiettivi li abbiamo raggiunti», ha spiegato Marchionne, il quale ha anche annunciato che sarà a Londra il quartier generale della nuova società che nascerà dalla fusione Fiat-Chrysler.
Nonostante lo sfoggio di sicurezza, venerdì 9 maggio il manager italo-canadese ha dovuto incassare la prima mezza bocciatura al suo piano. L’agenzia di rating Fitch ha spiegato che il piano industriale ha target finanziari ambiziosi e soprattutto elevati rischi di esecuzione. L’agenzia, che comunque non ha cambiato il rating della società, ora a BB- con outlook negativo, ha anche fatto sapere che quello annunciato da Marchionne in settimana non è il primo tentativo di rilanciare Alfa Romeo e che i piani precedenti sono falliti. In questo quadro, ha concluso la nota, «Fitch giudica ambiziosa l’ipotesi di Fiat di aumentare la quota di mercato negli Stati Uniti al 15,8% nel 2018 dall’11,4% del 2013 e in Cina dove si punta a un 2,8% dallo 0,6%».
I report della casa d’affari invece hanno dato maggiori chance a Marchionne. Se Mediobanca ha tagliato la raccomandazione da outperform a neutral, Banca Imi ha confermato il giudizio buy incrementando il target price da 8,8 e 10,5 euro in virtù delle prospettive di più lungo periodo. Berstein Research, invece, broker solitamente addentro alle cose di casa Fiat, ha confermato la raccomandazione outperfom ritenendo «raggiungibili» gli obiettivi, ma mettendo anche in guardia sul fatto che «questa società ha bisogno di un aumento di capitale». Berstein ritiene infatti che la Fiat abbia un «debito enorme che è quasi unico nel settore auto di oggi (29,9 miliardi come totale dei debiti finanziari al 31 dicembre 2013, ndr)» e che quindi abbia bisogno di rafforzarsi patrimonialmente per sostenere lo sviluppo promesso.
Nel piano, infatti, non è stata annunciata alcuna operazione straordinaria volta a rafforzare la struttura di capitale della società. Anche se bisogna ricordare come Marchionne abbia annunciato che durante l’arco temporale del piano non saranno distribuiti dividendi. Insomma al momento ai soci non è stato chiesto uno sforzo sotto forma di apporto di capitale; ma è stato chiarito che non ci saranno cedole, viste le necessità della società.
Ciò tuttavia non esclude eventuali sorprese in questo senso. Parlando alla conclusione dell’Investor Day di Cnh Industrial, Marchionne ha spiegato che il calo registrato dal titolo Fiat «rafforza la convinzione che emettere capitale adesso non sarebbe una buona idea. È una decisione che dovrà essere presa nel consiglio di amministrazione dopo la fusione tra Fiat e Chrysler e prima dello sbarco a Wall Street del titolo azionario della società post fusione», ha proseguito l’amministratore delegato. Come dire che l’ipotesi del prestito convertendo da 1,5 miliardi non è stata scartata ma solo momentaneamente accantonata in attesa di tempi più propizi per un’operazione del genere.
Secondo indiscrezioni, inoltre, non è stata del tutto scartata nemmeno l’ipotesi di uno scorporo da Fiat Group Automobiles del brand Alfa Romeo. L’idea resta di attualità e dovrebbe essere approfondita una volta che il nuovo piano industriale, che punta forte proprio sul Biscione, si sarà messo in moto riorganizzando il brand. D’altronde, se si analizzano le slide illustrate dal vertice Fiat in occasione della presentazione del nuovo piano, si nota che l’Alfa sarà già da subito un universo a sé stante. Marchionne infatti non ha lesinato sforzi per rilanciare il brand; sono previsti 5 miliardi di investimenti e il lancio di otto nuovi modelli. Il responsabile del marchio Harald Wester ha anche spiegato che il Biscione avrà a disposizione due tecnici Ferrari per gestire le operazioni e da fine 2015 potrà contare su 600 ingegneri selezionati all’interno del gruppo o ingaggiati dall’esterno in virtù della loro specializzazione nella nicchia premium. Inoltre, a conferma che l’Alfa sarà un universo a parte, Wester ha spiegato che «non ci saranno interferenze con il resto della società». Con queste linee strategiche, spiega un esperto del settore, sembra evidente che se le cose dovessero iniziare a funzionare allora sarà semplice scorporare l’Alfa Romeo. Un’operazione che renderebbe il Biscione maggiormente visibile anche in termini di conti, così come lo sono ora sia Maserati che Ferrari.
A proposito di Ferrari, infine, il marchio del Cavallino rappresenta un’altra opzione di rafforzamento patrimoniale. Ad Auburn Hills Marchionne ha ribadito «in maniera categorica» che Ferrari, di cui Fiat ha il 90%, non è in vendita. Tuttavia il manager sa benissimo che la Rossa, in virtù sia del suo mito sia degli ottimi risultati finanziari, ha un valore inestimabile e la cessione di una quota di minoranza attraverso un’ipo rappresenta una sorta di riserva di valore che il Lingotto potrebbe utilizzare in caso di estrema necessità. In questo senso a Detroit non è passato inosservato che, in assenza di Montezemolo impegnato in Spagna con la Formula 1, è stato lo stesso Marchionne a illustrare le strategie future del brand Ferrari. Il manager insomma sta cominciando a osservare sempre più da vicino le cose di Maranello.
Luciano Mondellini, MilanoFinanza 10/5/2014