gui.ruo., La Stampa 10/5/2014, 10 maggio 2014
ANCHE L’AUTO CON SCORTA TRA I FAVORI DI CLAUDIO ALLA MOGLIE DEL LATITANTE
Sostengono i magistrati antimafia reggini: «Le attività investigative hanno consentito di dimostrare in modo palese le cointeressenze finanziarie e imprenditoriali che legano Claudio Scajola e Amedeo Matacena».
E adesso, dunque, si scopre che i due non solo erano amici, ma anche soci in affari, compagni di merendine. Claudio Scajola e Amedeo Matacena, uno di Imperia e l’altro di Reggio Calabria. Un vecchio democristiano e un figlio dei Boia chi Molla. Per Matacena c’è anche un atroce sospetto, che non solo abbia aiutato la ’ndrangheta ma in qualche modo ne faccia parte integrante.
Quasi vent’anni fa, un pentito calabrese, Pasquale Nucera, raccontò ai pm di Palermo: «Nei miei precedenti interrogatori ho riferito di una riunione che si svolse tra l’agosto e il settembre 1991 nel Santuario di Polsi nel comune di San Luca. Il colletto bianco che aveva una parlata italiana con accenti inglesi o americani si chiama Giovanni Di Stefano. E’ un italiano, amico di Milosevic, leader militare della Serbia.
Di Stefano disse che bisognava appoggiare il nuovo “partito degli uomini” che doveva sostituire la Dc in quanto questo ultimo partito non garantiva gli appoggi e le protezioni del passato. Alla predetta riunione erano presenti tutti i vari esponenti dei locali della “’ndrangheta”. Era presente, seppure defilato, Matacena junior “il pelato”, appartato con Antonino Mammoliti di Castellace».
Siamo al post caduta del Muro di Berlino. ’Ndrangheta e Cosa nostra hanno da poco più di un mese ammazzato il giudice Giuseppe Scopelliti che in Cassazione avrebbe dovuto sostenere l’accusa nel maxi processo contro Cosa Nostra, e la cupola della ’ndrangheta si riunisce per decidere di mollare i referenti politici.
Da «osservatore» assiste alla riunione anche Amedeo Matacena che, per i pentiti, è «la stabile interfaccia della ’ndrangheta nel processo di espansione dell’organizzazione criminale, a favore di ambiti decisionali di altissimo livello». È quella ’ndrangheta che per i pentiti è fatta da «invisibili», e che dunque sono l’altra parte della ’ndrangheta che noi definiremmo l’ala militare e che loro chiamano dei «visibili».
E dunque Scajola e gli altri amici e parenti che volevano aiutare l’armatore reggino a eludere l’esecuzione della condanna a cinque anni per collusione con la cosca Rosmini, erano consapevoli dello spessore criminale del fuggiasco? Di certo, Scajola si sfoga con Chiara Rizzo a proposito di un certo «disagio» che lo fa soffrire: «Bisogna prendere delle decisioni perché io mi sono esposto...».
I pm reggini sono consapevoli che «Scajola è portatore di un interesse autonomo verso la pianificata conservazione dell’operatività diretta del Matacena». Il cui comportamento (concorso esterno in associazione mafiosa) un ex ministro dell’Interno dovrebbe «avversare con tutte le sue forze e che, invece, consapevolmente sostiene, agevola, rafforza».
Tantissime le intercettazioni telefoniche tra la moglie di Matacena, Chiara Rizzo e Claudio Scajola che colpiscono anche il gip, lasciando intendere che tra i due vi siano relazioni particolari, visti «gli assidui contatti». Di certo è lei che dovrebbe prendere le rendini, ovvero assumere la titolarietà delle azioni del marito.
Fa una certa impressione che al telefono un ex ministro dell’Interno confidi alla signora Matacena di aver parlato con una terza persona «da un telefono pulito», che utilizzi la sua scorta «per garantire alla moglie di Matacena agevoli spostamenti nel territorio italiano». Che vuole sapere di chi è un’auto che apparentemente ha seguito l’auto con lui a bordo.
L’ipotesi sulla quale lavoravano gli investigatori della Dia e la procura di Reggio è che per agevolare «gli interessi imprenditoriali ed economici della ’ndrangheta assume centrale rilievo una figura di grande rilevanza internazionale come quella del Matacena, ulteriormente rafforzata dalla comunione di interessi, anche imprenditoriali, con l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola, che nella fase storica successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna diviene la proiezione politico-istituzionale-imprenditoriale del primo».
gui.ruo., La Stampa 10/5/2014